19 gennaio 2010

Rosarno – Ministro Maroni, come è umano lei!

rosarno Oggi ho letto sul giornale che ieri sera il ministro dell’Interno Roberto Maroni, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha affermato “A una decina di immigrati irregolari coinvolti negli scontri di Rosarno e sottoposti a violenza, sarà concesso lo status di protezione internazionale”. Mi è venuta subito nella testa la battuta di Fracchia/Villaggio “Com’è umano lei!”.

Digitando su Google la parola Rosarno per cercare notizie, esce tra i primi un titolo che colpisce per la sua durezza “Rosarno: gambizzati 2 immigrati”. E il sottotitolo “Feriti da colpi di fucile da caccia”. La cosa peggiore è il fucile da caccia: l’arma che può avere in casa una persona comune, non un delinquente o un poliziotto. E’ una notizia dell’Ansa della sera in cui è iniziato tutto: l’8 gennaio.

Voglio provare a ripercorrere le varie fasi di questo episodio, perché penso che questa pagina di storia per il terzo governo Berlusconi sarà ricordata – come il G8 di Genova per il secondo – come una delle più oscure e significative dal punto di vista dei diritti umani. Peggio dei respingimenti, perché anche qui – come a Genova – c’è stata una battaglia che era una comunicazione. Un fatto di linguaggio, nei confronti del quale il governo ha espresso la sua reazione. E tutto questo resterà. Come uno scritto.

Cosa hanno fatto gli immigrati a Rosarno?

Nel vivace e documentato blog siciliano Nuovo Soldo “Centinaia di immigrati, lavoratori agricoli della Piana di Gioia Tauro, per lo più neri, si sono rivoltati oggi pomeriggio e stasera contro chiunque si trovasse a tiro per le strade di Rosarno. Il tutto è scaturito dal ferimento di due di loro, uno rifugiato politico del Togo, provocato dall’esplosione di colpi d’arma ad aria compressa. Sono centinaia le auto distrutte, i cassonetti bruciati e le abitazioni danneggiate. (…) A maggio del 2009, proprio a Rosarno sono state arrestate tre persone con l’accusa di riduzione in schiavitù di lavoratori immigrati. Già alla fine di dicembre del 2008 erano stati esplosi colpi di arma da fuoco contro gli immigrati da giovani razzisti e/o mafiosi della zona.”

Sin dalla sera dell’8 il blog prevedeva quello che sarebbe successo in seguito “Probabilmente i fatti di oggi non rimarranno senza conseguenze, perché la ‘ndrangheta non dimentica, così come non ha dimenticato la camorra casalese di Castel Volturno, nel casertano, quando fece strage di sei immigrati africani”.

Infatti, quello che hanno fatto gli immigrati a Rosarno è stata soprattutto una protesta contro la ‘ndrangheta. Le indagini giornalistiche hanno raccontato agli Italiani le condizioni di sfruttamento di queste persone: lavoro in nero per 20 euro per 12/14 ore di lavoro al giorno, di cui 5 da dare al caporale e 3 al pulmino. All’immigrato lavoratore ne restano 12 per una giornata di 12 ore, cioè 1 euro all’ora. Una situazione conosciuta e tollerata da tanto tempo, perché inserita nel tessuto mafioso dell’economia del territorio.

La protesta degli immigrati, bisogna dirlo, è stata violenta. D’altronde che tempo e possibilità hanno degli schiavi per fare riunioni sindacali e collettivi per organizzare una manifestazione con tanto di bandiere, comunicati stampa e permesso di occupazione del suolo pubblico?

Cosa è successo dopo questa protesta?

Dopo la protesta degli immigrati, c’è stato un pogrom. Sì, si può usare questa terribile parola, con cui venivano indicate le sommosse popolari e i massacri antisemiti, avvenuti in Russia con il consenso delle autorità, e che poi è stata usata per indicare la persecuzione sanguinosa del popolo verso una minoranza. Rileggendo le cronache di Rosarno infatti mi vengono in mente le scene che ricordo meglio del romanzo di Alejandro Jodorowsky, Quando Teresa si arrabbiò con Dio, dove l’autore rivisita in chiave epica la saga della sua famiglia ebraica, che dalla Russia inizia un viaggio che la porterà in Cile, passando appunto da un pogrom all’altro.

Il coordinamento migranti Itali ha affermato “Nell’era del ‘pacchetto sicurezza’, in Italia si è aperta la caccia al migrante che alza la voce. Rosarno non è un puro frutto della criminalità: la violenza della ‘ndrangheta si è nutrita negli anni della legge Bossi-Fini e delle connivenze dello Stato. A tutto questo, il razzismo ormai diffuso ha fatto da perfetta cornice. Un razzismo istituzionale coltivato nel tempo e che oggi esplode di fronte alla crisi.”

Bisogna dire che la reazione di alcuni cittadini di Rosarno è evidentemente il segno di un tessuto sociale disgregato, dove non si è fatto nulla nel campo delle politiche di integrazione. Queste sono, sì, costose, complesse, soggette a fallimenti, ma sono l’unica via per evitare che scoppino queste guerre tra poveri.

Questi immigrati in fondo hanno fatto quello che gli Italiani non hanno avuto il coraggio di fare: ribellarsi. Ha scritto su MicroMega don Paolo Farinella “Gli immigrati in Calabria si ribellano alla ‘ndrangheta e al sistema perverso dei caporalato (…). Invece di ringraziare questa gente, il ministro Maroni non trova di meglio che le parole d’ordine della sua cricca: ‘tolleranza 0′”.

Cosa ha fatto il ministro Maroni?
A parte l’intervento delle forze dell’ordine locali, il ministro ha reagito così: ha fatto trasferire gli immigrati in centri di prima accoglienza a Crotone e Bari e ha affermato subito che queste persone sarebbero state identificate e, se trovate prive di documenti di soggiorno, espulse. Il che equivale a una legittimazione dell’azione violenta condotta dalle ronde di Rosarno e a un guadagno per quei datori di lavoro che non hanno pagato le misere paghe dovute a questi braccianti. Infatti, una volta espulsi nel loro paese di origine, nessuno di loro potrà più rivendicare la retribuzione per il lavoro svolto nelle campagne calabresi.

In più, c’è una legge che andrebbe rispettata: l’ASGI esortato il governo a fare rispettare l’art. 18 del testo Unico sull’immigrazione n. 286 secondo il quale “quando, nel corso di operazioni di polizia (…) ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”.

Come ha scritto il prof. Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo, sul sito della rete MigrEurop, “Appare a tutti evidente, meno che al ministro Maroni purtroppo, che gli immigrati cacciati via da Rosarno erano (e rimangono) vittime di una gravissima sopraffazione quotidiana garantita dal sistema economico-mafioso locale che estorceva quotidianamente tutte le loro energie lavorative per pochi euro all’ora, costringendoli a vivere in condizioni disumane. (…) Nessuno dei testimoni dei soprusi subiti a Rosarno deve essere espulso, perché ciascun immigrato allontanato costituirà una sorta di garanzia di impunità per quei datori di lavoro che continuano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in Calabria come nelle altre regioni meridionali”.

Quali sono state le reazioni?

La Chiesa ha reagito subito con una critica del cardinal Bertone; il segretario PD, dopo una settimana di silenzio assordante, si è deciso a organizzare un’iniziativa di solidarietà; Angelo Panebianco nel suo articolo del giorno dopo La fermezza e l’ipocrisia sul Corriere ha avuto il coraggio di dire – dopo aver buttato lì qualcosa sul presepe (che fa sempre effetto, e poi erano appena finite le feste natalizie… Mannaggia, San Francesco si rivolta nella tomba), e qualcos’altro sulla Jihad (cosa c’entrava?) – che dichiarare incostituzionale la legge sull’immigrazione clandestina equivale a dire che l’Italia non è uno Stato, equivale a rinunciare alla sovranità. Ecco, professore, è la sovranità. Gli immigrati di Rosarno ci hanno detto che laggiù lo Stato italiano non comanda, perché comanda l’illegalità mafiosa.

Le parole più belle, che al di là delle strumentalizzazioni della paura ci riportano alla realtà della convivenza quotidiana che si realizza in tante micro-situazioni, le ha dette il parroco di Rosarno durante l’omelia: “Vedo (…) che manca qualcuno (…) Non c’è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica”. I bambini annuiscono. I genitori, dietro, restano in silenzio. Tesi e consapevoli.

“Mancano anche Christian, Laurent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall’Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati”.

Intanto si sta organizzando lo sciopero dei migranti, con un tam tam su Facebook. “24 ore senza di noi” si intitola, sarà il 1° marzo 2010 e la stessa cosa avverrà in Francia, dove è partita l’idea.

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07 gennaio 2010

Il Viaggio di Céline, un inno contro la guerra

louis-ferdinand-celine-a-meudonIn queste vacanze di Natale ho letto Céline, “Viaggio al termine della notte”. L’ho letto a fondo per la prima volta, dopo averlo incontrato di striscio nei miei studi di letteratura e nel mio lavoro di giornalista, e ho avuto conferma del fatto che è uno dei libri “della vita”. Ogni due pagine c’è una frase da annotare sul diario, perché ci si trovano i temi di fondo dell’esistenza affermati con giudizi secchi e lapidari, resi più pungenti dal sarcasmo e dall’irrisione violenta, da quel disincanto universale della modernità che non ha ancora trovato uno straccio di valore a cui agganciarsi.

Un disincanto espresso con la voce narrante di un antieroe rassegnato di non potere fare affidamento su nessuna morale, che osserva l’umanità sconfitta senza giudicarla, perché sa che il suo punto di vista è quello di chi cerca solo di sopravvivere. Per il protagonista Ferdinando Bardamu, “la grande fatica dell’esistenza non è forse insomma se non l’enorme pena che ci si dà per durare ragionevoli vent’anni, quarant’anni, o di più, per non essere semplicemente, profondamente se stessi, ossia immondi, atroci, assurdi. Incubo di dover presentare sempre come un piccolo ideale universale, come un superuomo, da mattino alla sera, il sottuomo zoppicante che ci è stato affidato.” Un disincanto che non è ancora cambiato, lo stesso che ha portato Vasco Rossi, mi si permetta la citazione, a dire “Siamo solo noi. Che tra demonio e santità è lo stesso, basta che ci sia il posto”.

Nel Viaggio c’è tutto il Novecento, con i suoi temi storici fondamentali. Si comincia dalla seconda pagina, con una definizione della razza, buttata in faccia al nazionalismo ridondante dei Francesi impegnati nella Prima guerra mondiale. A un patriota che lodava la “razza francese” come “la più bella del mondo”, Ferdinando risponde con un lucido realismo che taglia le gambe a ogni assolutizzazione identitaria: “La razza, quello che tu chiami così, è soltanto un’accozzaglia di poveracci del mio stampo, sfessati, pidocchiosi, scoglionati che sono finiti qui perseguitati dalla fame, la peste, i tumori e il freddo, venuti, vinti, dai quattro angoli della terra. Non potevano andar più oltre. Ché c’era il mare. Questa è la Francia e questi sono i Francesi”.

E questo per cominciare. Poi il libro continua nella sua osservazione distaccata dell’umanità – inguaribilmente malata – affrontando attraverso le avventure del protagonista tutti i temi fondamentali della modernità occidentale: la guerra come assurda tragedia per le popolazioni, la violenza del colonialismo in Africa con il suo corredo di sradicati che cercano nelle colonie una via di fuga (e Céline ovviamente mette se stesso tra questi falliti), il viaggio come fuga e conoscenza, le grandi migrazioni verso l’America, le metropoli americane con le loro folle anonime, il Fordismo e l’alienazione della fabbrica, il cinema come fucina di sogni, la famiglia borghese con le sue misere preoccupazioni, la povertà e la solitudine delle periferie urbane, l’angoscia e il disagio mentale…

Ma visto che all’inizio dell’anno si usa fare auguri di pace, per questo inizio del 2010 vorrei citare la visione della guerra di Céline. E’ un discorso pacifista senza tempo, valido per denunciare l’assurdità di tutte le guerre, che dovrebbe essere inserito nei programmi scolastici.

Raccontando la sua esperienza al fronte nella Prima guerra mondiale, l’autore ne fa una critica durissima, mettendola in bocca al protagonista, giovane sradicato che ha fatto l’errore di partire volontario ma si accorge ben presto del suo tragico errore. Le sue parole di limpido, razionale buon senso hanno un valore immutato per ridicolizzare ogni retorica militarista e patriottica e l’incosciente logica di chi punta sulla guerra come soluzione dei contrasti.

“Quel colonnello! Era dunque un mostro? Ora, n’ero sicuro, peggio d’un cane non immaginava il suo trapasso. Ne conclusi nello stesso tempo che ce ne dovevan essere parecchi come lui nel nostro esercito, dei prodi, e poi senza dubbio un egual numero nell’esercito di fronte. Chi lo sa quanti? Uno, due, parecchi milioni forse. E da quel momento la mia fifa diventò panico.
Con dei tipi simili, quell’imbecillità infernale poteva continuare all’infinito… Perché si sarebbero arrestati? (…)
Perduto tra due milioni di pazzi eroici e scatenati e armati sino ai denti? Con l’elmo, senza cavalli, su delle moto, urlanti, in automobili, fischianti, cecchini, complottatori, volanti, in ginocchio, in atto di scavare il suolo, di sfilare, di caracollare sui sentieri, petardeggiando, cacciati sotterra come in un manicomio, per distruggere tutto, Germania, Francia e Continenti, tutto ciò che respira, distruggere, più arrabbiati che cani, adorando la loro rabbia (ciò che i cani non fanno), cento, mille volte più arrabbiati che mille cani e talmente più ringhiosi. Oh, sì, stavamo freschi! (…)
Chi avrebbe potuto prevedere, prima d’entrare veramente nella guerra, tutto ciò che conteneva la sudicia anima eroica e pigra degli uomini? Ora, ero preso in quella corsa immensa, verso il delitto in comune, verso il fuoco. Veniva dalle profondità ed era arrivato.
Il colonnello continuava a tacere, lo guardavo ricevere, sul pendio, biglietti del generale ch’egli strappava subito minutamente, dopo averli letti senza fretta, tra le pallottole. In nessuno di essi c’era dunque l’ordine di arrestare quella cosa abominevole? Non gli si diceva dunque, dall’alto, ch’era fesso? Abominevole errore? Sbaglio? Che ci si era ingannati? (…)
Dunque, ciò che si faceva, quello spararsi addosso senza manco vedersi, non era proibito! Rientrava nelle cose che si possono fare senza meritarsi una scenata. Anzi era riconosciuto, incoraggiato senza dubbio dalle persone serie, come una lotteria, come un fidanzamento, come una caccia alla volpe! Nulla da dire. Ad un tratto avevo scoperto la guerra intera. Avevo capito”.

Mi sembra che basti come augurio per un anno di pace…

Nota: Un blog di foto di Céline .
Le citazioni sono tratte dall’edizione dall’Oglio, 1982, con la traduzione di Alex Alexis, pubblicata nel 1933.

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12 novembre 2009

Aquino de Bragança: continuare a sognare

DSCF2165L’artista goana-mozambicana Silvia Bragança ha presentato il 22 settembre al Centro Internacional de Conferências Joaquim Chissano a Maputo il suo libro “Aquino de Bragança – Batalhas ganhas, sonhos a continuar”.

Silvia continua così la sua opera di risveglio della memoria su suo marito Aquino da Braganca, anche lui originario dell’isola di Goa, conosciuto soprattutto come il mitico intellettuale delle rivoluzioni contro la dominazione coloniale portoghese: Aquino da Bragança era il consigliere di Samora Machel, leader del movimento di liberazione del Mozambico, e viaggiò come diplomatico della rivoluzione raccogliendo sostegno politico alla lotta del FRELIMO. Purtroppo, Aquino da Bragança viaggiava assieme al Presidente Samora Machel sull’aereo che precipitò in circostanze mai chiarite il 19 ottobre 1986, portandosi via prematuramente la leadership del Mozambico indipendente.

aquino-imag-livro-22Le mie congratulazioni a Silvia, che ha altri libri in lavorazione, tra cui alcuni libri d’arte. E’ un’artista colta e raffinata, che innova continuamente i propri linguaggi artistici ed è un punto di riferimento a Maputo per tanti artisti della nuova generazione. Sulla copertina del libro è riprodotto un ritratto del marito realizzato con la tecnica della poesia integrata come elemento figurativo. Silvia de Bragança tiene anche un blog storico sulla figura del marito.

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23 ottobre 2009

Prime impressioni dai Dev Days

Una mazza da muratore, bella grossa. Con anche il muratore che tira colpi, con forza tranquilla, senza cattiveria, facendo il suo lavoro. A cosa? A un allestimento di sculture shona dello Zimbabwe! “Ecco la performance artistica che si potrebbe organizzare per il prossimo evento su cultura e sviluppo in Africa”, ho pensato oggi arrivando alla sede dei Dev Days di Stoccolma.

Non è possibile che a un evento come questo, dove la presidenza svedese ha dispiegato tutta la sua forza politica e organizzativa e la commissione ha speso un bel po’ di milioncini del Fondo europeo di sviluppo, come esposizione d’arte ci siano di nuovo The Shona Sculpture! Basta!

Il fatto è che anche al colloquio Culture and Creativity di Bruxelles il 2-3 aprile scorso, dove si dove sono fatti discorsi molto importanti su cultura e sviluppo con alcuni fra i migliori artisti e critici d’arte africani, che mostra c’era? Quattro sculturine dello Zimbabwe del commerciante locale.

Africa e Mediterraneo ha fatto una mostra su questo tipo di produzione più di 10 anni fa, facendo un lavoro di ricerca, curando l’allestimento in tre tappe, sempre in luoghi qualificati, e producendo le necessarie pubblicazioni. Poi basta.

Qui a Stoccolma ci sono anche sculture molto belle, ma sono tutte appiccicate e male allestite, e comunque non si puo’ riproporre sempre la stessa identica mostra, sui cubetti improvvisati, spacciandola per un evento culturale. Quelli dello Zimbabwe sono artisti che comunque meritano di essere promossi in modo qualificato e professionale.

I Dev Days sono cresciuti rispetto alla prima edizione del 2006. Quest’anno sono dichiarate 1.500 organizzazioni e centinaia di delegati da 125 paesi. Tra loro, persone come Morgan Tsvangirai, Primo ministro dello Zimbabwe, Ellen Johson-Sirleaf Presidente dellaLiberia, Muhammad Yunus, il Premio Nobel fondatore della Grameen Bank, e Georges Soros, chairman dell’Open Society Institute.

Si dice anche nei comunicati stampa che ci sono 5.000 persone, ma io non le ho mica viste. Siamo nella fiera di Stoccolma, dove ci vorrebbero i pattini per girare, ma il pubblico e’ pochino. Forse hanno scelto uno spazio troppo grande. Un successo è stata la conferenza sulla cultura, dove c’era Youssou N’dour: non si entrava perché era troppo piena.

Stasera ci sarà il Lorenzo Natali prize, premio internazionale di giornalismo che la Commissione europea fa dal 2005.

Sui temi dei Dev Days Afronline ha pubblicato alcune vignette del disegnatore franco-burkinabe’ Damien Glez visibili a questo link.

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16 ottobre 2009

Marzabotto e la paura dell’altro

marzabottoMi è arrivato in un giro di e-mail il discorso che Massimo Cacciari ha pronunciato a Marzabotto per la cerimonia di commemorazione dell’Eccidio, che si tiene ogni anno a inizio ottobre. Me ne aveva già parlato un’amica, Silvia, raccontandomi che quella domenica mattina aveva detto alle sue due bimbe di 7 e 15 anni: “oggi non si va a messa, si va a Marzabotto”.

Effettivamente, quella cerimonia ha qualcosa di sacro. Io ci sono stata qualche anno fa e sono rimasta impressionata dalla quantità di città, provincie, regioni e associazioni italiane presenti. Puntuali, ogni anno scendono dai pullman e si concentrano in una piazza strapiena, con i loro gonfaloni decorati, i gagliardetti e i fazzoletti al collo, a dire “ci siamo”. Poi c’è chi dice che è un’abitudine retorica e meccanica, però loro, cascasse il mondo, ogni anno a Marzabotto ci sono. E si vedono anche tantissimi giovani, studenti fuori sede che vengono su da Bologna, famiglie con i bambini.

Comunque, Silvia mi aveva detto di essere rimasta colpitissima dall’orazione di Cacciari, tanto da essersi a un certo punto scambiata con uno sconosciuto anziano signore uno sguardo di comune meraviglia e un commento ammirato “che discorso!”.

Beh, anche se non si è lì, perché davvero essere lì è un’esperienza che conta, questo testo è proprio da leggere. I punto in cui parla della paura colpisce molto, se si pensa alla retorica xenofoba (e ultimamente anche omofoba e misogina, per continuare con i vocaboli strani) che infetta il discorso politico in Italia: “Tutti questi crimini, nella loro sovra-umanità, vengono da una sistematica, nei paesi che li commettono, negli eserciti che li commettono, vengono da una sistematica educazione alla paura. Vengono da una sistematica ricerca, di fronte alle difficoltà, alle crisi, alle contraddizioni, da una sistematica ricerca del nemico.”

Ma c’è un punto che mi ha fatto venire un brividino nella schiena ed è quello in cui parla del “consenso”. “Ormai abbiamo tutti i dati, tutti gli elementi che confermano che fino a sotto i bombardamenti la gente in Germania appoggiava sostanzialmente Hitler, perché aveva un tenore di vita – fintanto che le loro città non sono state rase al suolo – un tenore di vita alto e diffuso.” Infatti, il regime nazista era riuscito ad ottenere “il totale assorbimento nell’ordine dato delle coscienze personali.” Non aggiungo altro, qui sotto copio il discorso.

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29 settembre 2009

Le seconde domande e le terze, Tiziana Ferrario intervista Frattini

La Tiziana Ferrario si è vergognata ieri sera (28 sett.) per come ha condotto l’intervista a Frattini durante il TG1 delle 20. Faceva le cosiddette “prime domande” ma non le “seconde” e le “terze”, che i maestri di giornalismo considerano quelle importanti.

Prima domanda della giornalista: “Ministro ci parli della sua adesione alla campagna AGIRE“. Risposta: “Vogliamo aiutare i popoli di Eritrea Somalia e Sudan, perché il loro futuro è anche il nostro, dobbiamo tendere una mano, facciamo già tantissimo e dobbiamo fare di più!”

La seconda domanda di una giornalista in situazione normale sarebbe dovuta essere: “Ma come può essere coerente quello che ha appena detto con i tagli alla cooperazione allo sviluppo del suo Ministero di 411 milioni: il 56% rispetto al 2008?”

E la terza: “Ma come fa a parlare di mano tesa dopo che ha difeso con entusiasmo i respingimenti dei disperati in mare voluti dal ministro Maroni?”

La Ferrario non ha nemmeno fatto la domanda diplomatica su Michelle Obama definita “abbronzata” da Berlusconi. Non ha voluto, o potuto. Però si è vergognata. Si è capito perché ha concluso con una specie di triste auto-giustificazione: “ci sarebbero tante cose da chiedere, non c’è tempo, salutiamo il Ministro Frattini…”

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29 settembre 2009

Per la prima volta un premio dell’Unione Europea per la letteratura

Sono a Bruxelles perchè Africa e Mediterraneo è tra le organizzazioni invitate dalla DG Educazione e Cultura a partecipare al Forum europeo della cultura che si tiene a Bruxelles martedì 29 e mercoledì 30 settembre2009.

Il Forum è stato preceduto dalla conferenza Culture in Motion, una carrellata di progetti davvero interessanti in tutti isettori artistici e con partner di tutti i paesi della vecchia e nuova Europa, finanziati nel programma Cultura sia nel volet 2007-2013, che ammonta a 400 milioni di euro, sia in quello precedente.

Ma di questiscriverò in seguito, oggi la notizia del giorno è laprima edizione dell’European Unionprize for Literature.

Finalmente la Commissione europea ha avuto l’idea di creare un premio istituzionale per gli scrittori europei e, anche se si è dovuto procedere con criteri nazionali per rispettare la diversità delle lingue e delle tradizioni letterarie, sembra che ci potrà essere una buona ricaduta in scambi e visibilità, anche perchè la premiazione è avvenuta davanti a una selezione di 600 operatori europei della cultura.

Lo scopo del premio è dunque “illuminare l’eccellenza dei talenti letterari in Europa e tutto quello che hanno da offrire. Il premio sottolinea la forza dell’Europa nella qualità e nella creatività dei suoi prodotti letterari” (sono parole del Commissario alla Cultura Jan Figel). Le nazioni europee e i paesi candidati Croazia Macedonia e Turchia sono stati divisi in tre gruppi per i tre anni 2009, 2010 e 2011.

Delle giurie nazionali hanno selezionato i rispettivi 12 vincitori di quest’anno, che ricevono 5000 euro e saranno presentati alla Fiera di Francoforte in ottobre. Saranno inoltre sostenute le loro traduzioni nelle diverse lingue europee.

Ieri c’è stata la premiazione nel bellissimo Espace Flagey, ex sede della Radio e Televisione belga, notevole esempio di architettura degli anni Trenta famoso anche per l’acustica dei suoi spazi, che oltre ad offrire un programma culturale autonomo è molto utilizzato come sede di convegni e mostre.

C’era il presidente della Commissione Josè Barroso e il commissario Figel, con lo scrittore svedese Henning Mankell che è stato ambasciatore di questa edizione. Tantidiscorsi belli e “caldi” a lode della letteratura. Barroso ha detto che forse un libro non potrà cambiare il mondo ma la letteraturaè il migliore modo di studiare l’essere umano”. E Mankell ha risposto con un proverbio africano dedicandolo, tra gli altri, ai politici: gli uomini hanno due orecchie e una bocca; questo significa che devono ascoltare il doppio di quanto parlano.

Poi hanno premiato i 12 scrittori, in una cerimonia veloce nei ritmi e varia perchè per ogni autore veniva letto un brano nella lingua originale con i sottotitoli in inglese che scorrevano su immagini del suo paese. Alcuni brevi video-interviste hanno dato il punto di vista delle Federazioni europee degli Scrittori e degli Editori e del Consiglio degli Scrittori europei, i tre partner della Commissione nell’organizzare il premio.

Per l’Italia c’era Daniele Del Giudice,con il romanzo “Orizzonte mobile”.Quando è stato chiamato a fare un breve commento in francese o in inglese, come facevano tutti, ha balbettato per alcuni lunghissimi secondi, nel silenzio assoluto della platea, e ha poi con la voce incerta ha detto “posso dirlo solo in italiano: non me lo aspettavo,è una cosa bellissima…” è giù ringraziamenti a tutti, persino alla città di Bruxelles. Il pubblico evidentemente ha capito perchè ha avuto un sacco di applausi. In questa pagina l’elenco dei vincitori. Quattro solisti della Chamber Orchestra of Europe hanno suonato Schuman e Hayden e l’Inno alla Gioia.

Insomma, non me lo aspettavo ma mi sono divertita. Questi realizzati dalla Commissione non sono eventi culturali normali. Sono organizzati da società specializzate nel fornire servizi di assistenza tecnica alle varie Direzioni generali: le cosiddette boites à consultants, chiamate così perchè sono strutture economiche e finanziarie che si aggiudicano gare d’appalto complicatissime per la fornitura di servizi di comunicazione e logistica, forniti da consulenti specializzati valutati per i loro CV.

L’evento di oggi era organizzato da Teamwork. Questo è l’unico modo in cui la Commissione può organizzare iniziative di un certo rilievo (=budget), per esigenze di trasparenza nell’assegnazione dei contratti di fornitura. E’ un po’ un mondo a parte, con un linguaggio specializzato e regole diverse dal solito.
Però di solito l’efficienza è abbastanza garantita,così come l’attenzione a una comunicazione diretta, vivace e semplice.
E questa volta non è stato male, sembrava vero. Certo, avevano a disposizione un materiale speciali: 12 scrittori, molti dei quali giovani, e la loro emozione.

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16 settembre 2009

La scuola delle possibilità

Ieri era il primo giorno di scuola in tante regioni italiane, la macchina si è rimessa in moto cercando di rappezzare i buchi e le mancanze dovute ai tagli dei bilanci.

Io ho avuto la riunione con la professoressa di violino di mio figlio, che inizia la prima classe della scuola media a indirizzo musicale. Tra i 24 bambini che faranno “strumento”, ce ne sono tre di origine straniera, più del 10%.

Questi bambini assieme ai loro compagni italiani avranno la possibilità di fare un’ora alla settimana di lezione individuale di strumento, e un’ora di “orchestra” e, nell’era dell’Ipod, impareranno a leggere il pentagramma e ad avere dimestichezza con uno strumento.

Presto cominceranno a fare concerti, anche assieme ad altre scuole, suonando pezzi classici in orchestra davanti a pubblici di genitori orgogliosi. Tutto ciò sarà possibile grazie al fatto che questa insegnante e i suoi colleghi di pianoforte, violino e violoncello fanno un sacco di ore di volontariato per le prove e per le serate, con una passione che gli insulti quotidiani dei ministri Gelmini e Brunetta non hanno ancora scalfito.

La professoressa Michela aveva uno sguardo pieno di entusiasmo e di curiosa impazienza di vedere cosa c’è dentro questi ragazzini e cosa lei potrà tirarne fuori. Diceva “che bello: anche quest’anno ho la mia classe di piccoli violinisti. Non si può mai dire all’inizio chi andrà avanti: alcuni sembrano poco portati ma poi con l’esercizio possono diventare addirittura professionisti”.

Dare una possibilità a tutti, senza discriminazioni, per creare i cittadini di domani: questo fanno ancora tante scuole pubbliche in Italia, nella consapevolezza di essere “organo centrale della democrazia”, come disse Piero Calamandrei nel suo celebre discorso in difesa della scuola nazionale.

Ma bisogna chiedersi fino a quando si potrà raschiare il fondo del barile delle risorse delle scuole e dei comuni che rimediano ai tagli ministeriali.

Per ora la passione e il senso civico di tanti insegnanti resistono. C’è un brano dell’autobiografia di Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà (Feltrinelli 1995), dove racconta del proprio percorso educativo di giovane nato a Mvezo, un minuscolo villaggio del Transkei nel Sudafrica dominato dai bianchi, che mi sembra una buona fonte di ispirazione.

“L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. E’ attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione. E’ quello che facciamo di ciò che abbiamo, non ciò che ci viene dato, che distingue una persona da un’altra. … Le scuole missionarie fornivano agli africani l’istruzione di stampo occidentale in lingua inglese che anch’io ho ricevuto. Eravamo limitati nei servizi e nelle attrezzature, ma non in ciò che potevamo leggere, e pensare, sognare.”

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31 luglio 2009

Recensione – “La Madonna di Excelsior”, di Zakes Mda

zakes mda la madonna di excelsiorRiporto qui un brano del romanzo La Madonna di Excelsior, di Zakes Mda (2002, ed. it Edizioni e/o 2006, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini), uno dei migliori scrittori sudafricani. Il romanzo racconta la storia di una donna, Niki, abitante nella township Mahlatswetsa, accanto alla città di Excelsior, e del caso che nel 1971 coinvolse 19 cittadini accusati di avere avuto rapporti sessuali tra bianchi e neri e di avere quindi violato l’Immorality Act. Niki partorisce una bimba meticcia, Popi, bellissima ma sempre discriminata dai neri per il suo aspetto “misto”. Popi è in realtà il frutto di una vendetta nei confronti di una donna che aveva impietosamente umiliato Niki: è per questo che Popi accetta la relazione con il marito.

La descrizione di questi rapporti extraconiugali tra nere e bianchi, in cui le nere sono oggetto di inconfessabile desiderio – perché proibite dalle leggi dello Stato e della religione – ma anche di sopraffazione, è inserita con efficace contrasto nei quadretti dell’ambiente ipocrita, moralista e basato sulla violenza in cui erano barricati i bianchi nell’epoca dell’Apartheid.

Ma il romanzo, seguendo le vicende della protagonista, racconta anche la crisi e il crollo di questa società “ideale”, e la salita al potere della maggioranza africana nella Nazione Arcobaleno di Mandela. Questo cambio epocale viene raccontato attraverso il caso del consiglio comunale della cittadina di Excelsior, dove i vecchi consiglieri afrikaner si trovano seduti accanto a nuovi politici neri, abitanti della township, e con un sindaco nero, Viliki, il fratello maggiore di Popi in precedenza impegnato nel movimento anti-Apartheid.
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14 luglio 2009

Le parole di Obama in Ghana, c’è chi le aveva già dette

Tanto per cominciare, ha detto che nelle sue vene scorre sangue africano, e che in lui si uniscono la tragedia e la vittoria dell’Africa. La tragedia appartiene soprattutto al nonno, un keniano che lavorava come “boy” per i colonialisti britannici, e che fu imprigionato perché lottava contro il colonialismo. Ha precisato che non era un grande eroe (“era nella periferia della lotta di liberazione del Kenya”), per dire che era un uomo comune che faceva la sua parte. Un primo messaggio.

Nella vita di suo nonno, ha continuato, “il colonialismo non è stato solo la creazione di un confine innaturale o condizioni ingiuste per il commercio, è stato qualcosa di sperimentato personalmente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.” Il che equivale a dire: so di cosa parlo.
E anche la storia di suo padre, da pastore in un villaggio a studente in una università americana, è emblematica di un momento di grandi speranze per l’Africa.

Insomma, a Barack appartiene la vittoria, ma anche la tragedia, perché ha vinto risalendo da una situazione personale e famigliare estremamente sfavorevole, in una epopea entusiasmante che tutti conosciamo.

Dopo questo inizio, azzeccatissimo per tagliare le gambe a ogni contestazione, ha pronunciato una serie di constatazioni chiare e coraggiose, che il discorso terzomondista non si azzarda mai a fare emergere.

Le parole di Obama sono state accolte come incredibilmente nuove, ma io le avevo già sentite tante volte. Le hanno dette Soni Labou Tansi, Ahmadou Kourouma, Nuruddin Farah, Ken Saro-Wiwa, Wole Soyinka nei loro romanzi e racconti pubblicate soprattutto negli anni 80. Le hanno scritte chiaramente, senza nessun distinguo o premessa o captatio benevolentiae. Africani che parlavano agli Africani e denunciavano che la responsabilità dei mali presenti dei loro paesi era degli Africani che avevano potere (un qualsiasi straccio di potere: politico, poliziesco, economico…) e lo usavano per il loro vantaggio invece che per quello del popolo.

Ma incredibilmente questo punto di vista non è mai passato nel discorso corrente sulla situazione del continente africano. E questo ha avuto conseguenze gravissime nella presa di responsabilità concreta da parte delle élite africana.
Adesso che è uscito dalla bocca di Obama, forse le cose cambieranno… Intanto, appaiono improvvisamente decrepite le star degli aiuti Bob Geldof e Bono Vox.

Faccio qui solo un elenco dei concetti espressi da Obama, come promemoria.
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