26 febbraio 2011

Breve ricordo dell’artista Goddy Leye

Il 19 febbraio 2011 l’artista camerunese Goddy Leye è morto dopo una breve malattia all’ospedale di Bonassama a Douala.

Era uno dei più conosciuti artisti africani, presente in numerose mostre e progetti sull’arte contemporanea africana e internazionale, e promotore lui stesso di iniziative artistiche importanti, punto di riferimento per tanti artisti, non solo in Camerun. Nel 2003 aveva iniziato il progetto Art Bakery, un programma di residenze artistiche ospitato nel suo studio di Bonendale, vicino a Douala.

Goddy Leye realizzava soprattutto video e video installazioni.

Il suo lavoro si concentra sui temi della memoria, della costruzione della storia, dell’identità, del postcolonialismo, sulle trasformazioni urbane.

Oltre che per la sua importanza nell’arte contemporanea, lo ricordiamo come un intellettuale colto, intelligente e gentile.

Alcune frasi dal suo sito (http://goddyleye.lecktronix.net/):

My work is about MEMORY. I am interested in stories and histories, myths and mysteries lying underneath the surface of things, events , places, people.

Having been born and bred in an environment where the past was either forbidden or intentionally distorted in order to create a schizophrenic mind in the post-colony, I guess there has always been/there is still, the need to rewrite HISTORY.

For a decade now, I have been busy exploring my memory


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25 febbraio 2011

Appunti sulle sollevazioni arabe

Pubblichiamo un articolo del sociologo e saggista Adel Jabbar che traccia una interessante analisi delle rivolte di Egitto e Tunisia.

In questa analisi dello storico cambiamento a cui stiamo assistendo, apprezziamo in particolare i punti 5 e 6, dove si  propongono interpretazioni che danno fiato alla speranza che inizi un nuovo e più autentico rapporto tra cittadini del mondo arabo e dell’Occidente, a cominciare dai giovani.

14 gennaio 2011: E’ questa la data che segna la svolta tanto agognata dalle moltitudini dei paesi arabi, in cui  il despota (al-taghiya) Ben Ali è fuggito. Il tiranno  che ha tenuto in ostaggio la Tunisia per ben 23 anni non c’è più.

25 gennaio 2011: E’ stato il giorno in cui in Egitto la gioventù ha accolto l’invito del movimento giovanile 6 aprile a manifestare per porre fine al strapotere di un altro  dittatore arabo che ha fatto delle leggi di emergenza una sistematica prassi di governo trasformando l’intero paese di ben ottanta milioni di cittadini in una tenuta di famiglia.

Queste due date indicano una radicale rottura con decenni di stagnazione, che rischiava di diventare un aspetto peculiare delle società arabe. Le proteste (al-tadhahurat) l’insurrezione (al-wathba), la sollevazione (l’intifada) e la rivoluzione (al-thawra) che stanno attraversando l’intera area araba, dalla Mauritania fino allo Yemen, evidenziano il desidero di una primavera di rinascimento (nahdha), delle popolazioni e la volontà di riscatto oltre che  di rinnovamento (tajdid). Questi accadimenti avvengono dopo un lunghissimo periodo caratterizzato da infinite angherie, repressioni, persecuzioni, impoverimento generale dell’intera società ad eccezione di una  ristretta cerchia di familiari e di cortigiani. Sono stati anni di arretramento politico e socioculturale,  di pesanti sconfitte sul piano della politica estera e della perdita di sovranità. L’intero mondo arabo, in effetti,  si è ritrovato, di nuovo, a subire dei condizionamenti che rimandano alla memoria l’epoca coloniale.

Grazie ai movimenti giovanili milioni di abitanti dell’area araba, cominciano in questi giorni a scorgere la fine del tunnel e a intravedere la luce di un nuovo e necessario risveglio (sahawa).

Gli avvenimenti che stanno scuotendo  le società arabe e travolgendo i vari vassalli e satrapi dimostrano:

1) che le popolazione hanno superato  la paura che li ha paralizzati per decenni e, di fatto hanno trovato la forza di  sconfiggere la cultura dell’intimidazione e del terrore  che i tiranni  hanno usato e usano  come unico modo per governare;

2) che  le élite,   spesso  secolari,  non  sono altro che combriccole familistiche di stampo mafioso;

3) che i poteri dell’occidente democratico hanno sostenuto regimi corrotti e violenti mettendo in primo piano i propri interessi materiali dimenticando del tutto la cultura dei diritti umani, della quale fanno uso, non di rado, in termini meramente strumentali;

4) una  maturità e una  consapevolezza politica delle fasce giovanili smarcata da riferimenti ideologici novecenteschi;

5) che  larghi settori assumono la nonviolenza e la disobbedienza civile come prassi per rivendicare i propri diritti e  la propria dignità, quindi smentendo e confutando il luogo comune che vuole le società arabe  imbevute  di violenza e di fanatismo religioso, appiattendo  l’immagine degli arabi sulla figura di Bin Laden e di al-Qa‘aida;

6) l’assenza di retorica anti occidentale – non sono stati presi di mira né interessi né persone né simboli occidentali – e il sapere parlare un linguaggio transculturale in grado di comunicare in un mondo di differenze e di molteplicità attraverso parole d’ordine quali dignità, libertà e giustizia.

In molti  si chiedono quali saranno le conseguenze di queste sollevazioni. Si può tentare sommariamente di indicare due plausibili cambiamenti,  uno di natura interna e l’altro di natura esterna. Relativamente alla realtà interna, si potrebbe avviare un corso politico caratterizzato  dal riconoscimento di soggetti politici diversi che tenderanno a posizionarsi in un primo momento nel nuovo scenario creatosi e in un secondo momento competeranno per l’acquisizione del consenso popolare  tramite le urne. In questo panorama le varie e variegate visioni di stampo islamico giocheranno certamente  un ruolo significativo, tuttavia non si tratterebbe di un ruolo totalizzante e egemonico, a differenza di quello che sostengono alcuni analisti.

Anche se qualche formazione islamica occuperà una posizione determinante nei nuovi assetti sarà comunque molto vicina all’esperienza dell’attuale compagine turca democratico-islamica e quindi avrà delle similitudini con  alcune delle esperienze democratiche cristiane in Europa. Riguardo al secondo aspetto, cioè quello esterno, i cambiamenti  che avverranno saranno più lenti e si svilupperanno con una certa cautela.

Uno dei cambiamenti prevedibili riguarderà un ripensamento delle relazioni interarabe in funzione di una maggiore collaborazione al fine di ripristinare un qualche ruolo sulla scena mondiale e acquisire un peso politico rispetto alcuni temi caldi e sensibili, come per esempio la questione del popolo palestinese, la situazione della Somalia e i rapporti con l’Iran. In oltre si cercherà di smarcarsi da alcune decisioni della politica statunitense e di trovare una voce autonoma, senza doversi appiattire sulle scelte di Washington com’è avvenuto negli ultimi decenni (per esempio la partecipazione alla guerra contro l’Iraq, l’appoggio alla guerra contro l’Afghanistan e l’adesione ad un eventuale attacco contro l’Iran).

Quello che è certo e lo dimostrano gli accadimenti in atto, è che le genti arabe hanno già conquistato un ruolo determinante nell’agenda politica sia nazionale che internazionale, avendo oggi una perfetta consapevolezza del proprio ruolo, dei propri diritti e della propria dignità.

Adel Jabbar

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22 febbraio 2011

Il sangue non è acqua: a proposito di Saif el-Islam Gheddafi

E’ stato impressionante vedere in televisione il figlio di Gheddafi, Saif el-Islam, dire con aria serissima che è in atto un «complotto» contro la nazione da parte di un non meglio precisato «movimento separatista», e che «questi scontri possono portare alla guerra civile», che i libici combatteranno fino all’ultimo uomo.

Impressionante perché 8 anni fa abbiamo pubblicato sulla nostra rivista Africa e Mediterraneo (n. 43-44, Arte contemporanea del Nord Africa, vedi http://laimomo.it/front-end/detail_new.php?p=94&c=5&a=0&pd=N) delle opere d’arte contemporanea realizzate da lui, e una scheda su Saif el-Islam Gaddafi come artista.

Avevamo fatto un numero sull’arte dei cinque paesi del Nord Africa e tra questi erano incluse anche le poche informazioni che eravamo riusciti ad avere dalla Libia. La fonte principale era stato il materiale della mostra “Il deserto non è silente”, ospitata nel 2002 a Castel Sant’Angelo Roma e in seguito a Milano al Palazzo della Ragione, e promossa proprio dalla , di cui Saif el-Islam è presidente.

E pensare che alcune opere non erano neanche male. Lui è un architetto, ed è stato sempre visto a livello internazionale come la speranza della modernizzazione e del buon governo in Libia, interessato a puntare sui rapporti euro-mediterranei, sulla cultura e il turismo. Ad esempio ultimamente aveva presentato un bel progetto per la creazione di un parco naturalistico ed archeologico presso Cirene.

Insomma, sembrava una persona normale. Invece, si vede che il sangue non è acqua, e di fronte al pericolo di perdere il potere si è fatto sentire.

Comunque… questa è una foto di quando inaugurava la mostra a Roma, a fianco di Massimo D’Alema. Forse si divertiva di più che a guidare la repressione del suo popolo in rivolta. Chissà.

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12 febbraio 2011

Moataz Nasr e la frustrazione dei giovani egiziani

Ieri il presidente egiziano Mubarak si è dimesso, e continua questa bellissima cosa del successo delle proteste dei cittadini nel mondo arabo.

Un po’ come l’elezione di Obama, una impresa impensabile, uno di quei sogni a cui opporre un “ma va, non ce la faranno mai”, che invece abbiamo avuto la fortuna di vedere.

Con un grande ruolo dei social network di cui si diceva: sì, permettono di comunicare, di essere informati in tempo reale, ma contro polizia, esercito, lobby economiche cosa possono fare? E invece…

Complimenti per l’aderenza all’attualità della Galleria Continua di San Gimignano (http://www.galleriacontinua.com/), che inaugura proprio oggi 12 febbraio una mostra dell’artista egiziano Moataz Nars, classe ’61, già presente alla Biennale di Dakar nel 2002 (dove ha vinto il Premio del Ministro della Cultura con il video The Water), alla Biennale di Venezia nel 2003 e nella mostra Africa Remix.

La mostra si intitola “The other side of the mirror” e sarà aperta dal 12/02/2011 al 01/05/2011.

“Considerato tra i maggiori esponenti dell’arte pan-araba contemporanea, Moataz Nasr concepisce questa mostra come un vero e proprio viaggio filosofico e spirituale, invitandoci a meditare sul senso delle cose e del vivere insieme. Il pensiero del mistico filosofo e poeta sufi Ibn Arabi (1165-1240), punto d’incontro fra la cultura araba e cattolica, il Doctor Maximus per gli europei, Il sommo Maestro per gli islamici, ispira molte opere in mostra.” (dal comunicato stampa)

La Galleria continua ha fatto un’altra mostra di Nasr nel 2008, dal titolo “A memory fills with holes”.

In quelle opere Nasr mostrava le varie aree di conflitto che ci sono nel mondo e la fragilità di questo equilibrio. Fragilità e potere, povertà e bellezza, armonia e conflitto, oppressione e liberazione erano i temi del percorso. Consiglio di vedere su Exibart il servizio sulla mostra http://tv.exibart.com/news/2008_lay_notizia_02.php?id_cat=78&id_news=6291. C’è un punto (al minuto 3,12) in cui si scorge un video di Nasr “Two faces of a coin”, del 2008. Si vedono diversi giovani, che assomigliano ai ragazzi egiziani che abbiamo visto manifestare in questi giorni, nell’atto di infilarsi delle magliette occidentali che hanno però il buco per la testa cucito. Solo le braccia escono, e loro continuano un po’ confusi a cercare di infilare la testa ma restano più intrappolati di prima.

Esprime benissimo secondo me la frustrazione di questi giovani che abbiamo visto in piazza al Cairo, giovani consapevoli, diplomati e laureati, stanchi delle mancate promesse di modernità, di non potere vivere una vita dignitosa come tanti altri giovani in altre parti del mondo.

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07 febbraio 2011

Alemanno e i Rom: meno urla, più assistenti sociali

Non sto a ripetere lo schifo e la vergogna della morte dei 4 fratellini rom ieri a Roma. Morti bruciati vivi, soli, non ci si può pensare.

E allora il sindaco Alemanno si è messo a urlare. Come faceva a trattenersi, vedendo le scarpine dei bimbi? Il problema è che le cose che ha urlato, di fronte a quella situazione, erano delle assurdità. Ha detto che la colpa è dei “numerosi impedimenti burocratici che hanno rallentato la costruzione dei campi regolari” e che chiederà “urlando” al governo di assegnare poteri speciali al prefetto.

Sulle cronache si legge che il micro-accampamento abusivo di via Appia Nuova in passato era stato più volte sgomberato, ma i nomadi erano tornati con i loro accampamenti. Per forza, caro Alemanno, anche se i Rom li si vuole considerare come rifiuti da sgomberare, da “ruspare”, bisogna pensare che da qualche parte poi bisogna appoggiarli!

Si dice che è colpa loro, che sono loro a volere vivere così. Che sono “nomadi”.

E invece no. Non sono nomadi. E nemmeno stranieri.

La maggioranza dei Sinti e Rom che vivono in Italia sono italiani (http://www.operanomadinazionale.it/) e la maggior parte di loro vive in casa. Alcune famiglie scelgono di vivere nei camper perché fanno i giostrai. Poi c’è una minoranza nella minoranza che proviene di solito dalla ex Jugoslavia e vive in condizione estreme. Sono particolarmente emarginati e visibili e hanno bisogno di essere sostenuti con opportunità e diritti. Certo, alcuni di loro hanno tratti culturali che creano molti problemi, come i matrimoni precoci, il mancato controllo delle nascite. E allora? Cosa vogliamo fare? Li lasciamo nelle baracche che prendono fuoco?

L’idea di togliergli i figli dandoli in affido, emersa in questo fatto dei fratellini morti a Roma, è paternalista e feroce.

È ovvio che se c’è segregazione, c’è anche emarginazione, degrado, illegalità.

Le politiche di integrazione costano ma bisogna dire che anche le politiche di non integrazione, cioè le politiche di emergenza, costano, e molto. Si sono costruiti campi nomadi inutili con misure di sicurezza esagerate (a cominciare a Roma è stata la giunta Veltroni). I numeri sono piccoli, in realtà (nel censimento di giugno 2008 è stata registrata la presenza nei campi, in tutta Italia, di 12.346 persone). Si può lavorare su piccoli progetti di integrazione e avere grandi risultati, le esperienze positive sono tante.

Invece, i contribuenti pagano per tenere in piedi un sistema assurdo e costoso in nome dell’emergenza sicurezza. Sarebbe più economico in termini di risultati avere meno telecamere, meno vigilantes, più assistenti sociali, più progetti di integrazione. Ma paga di più politicamente coltivare ad arte l’idea di essere in una situazione di emergenza.

Il presidente Napolitano ha appena detto che le comunità che vivono in “accampamenti di fortuna, degradati e insicuri, debbono essere tempestivamente ricollocate in alloggi stabili e dignitosi”.

Copio qui sotto un brano dall’articolo di Dimitris Argiropoulos, che abbiamo pubblicato sull’ultimo numero di Africa e Mediterraneo (http://www.africaemediterraneo.it/), dal titolo Campi “nomadi”. La mediazione socio-culturale e l’estremo delle nostre periferie.

Il campo “nomadi” è un terreno alla periferia della città dotato di opere urbanistiche e servizi igienico-sanitari per poter essere abitato da persone in stato di povertà e di cultura differente. Il campo è una situazione abitativa particolare perché deve dare risposte istituzionali di domicilio a un bisogno di tipo abitativo espresso da persone che sono percepite a partire non dalla considerazione delle loro somiglianze ma da quella delle loro differenze. Il campo è una situazione eccezionale, straordinaria ed è concepito per dare risposte a una categoria inventata: i nomadi.

Nel campo la povertà relazionale ed economica colloca famiglie, gruppi e individui in una condizione di estremo degrado, nonché di estremo bisogno. Condizione che si autoalimenta, poiché l’eccezionalità del campo è la sua “eterna provvisorietà”, una provvisorietà intenzionalmente permanente.

Un campo concentra una categoria di persone. Il criterio omologante è quello della categoria etnica: il campo è omoetnico. Un campo “nomadi”, nella sua modalità, è di fatto un campo di concentramento. Le modalità dell’esistenza del campo “nomadi” hanno a che fare con i seguenti fattori concreti: lontananza dal centro della città (sono sempre collocati in periferia); strutture e i servizi poveri e degradati, al limite dell’essenziale; la forte promiscuità e il sovraffollamento di persone; unità abitative di una provvisorietà e povertà uniche; la presenza di categorie professionali specifiche (educatori, sacerdoti, poliziotti, ecc.); facilitazioni per il pagamento delle utenze o la loro totale copertura da parte dell’ente locale; l’assorbimento dell’ostilità circostante. Si tratta, ad ogni modo, di luoghi che concentrano su di sé l’aggressività dei territori limitrofi.

Il campo “nomadi” è una soluzione abitativa speciale, proposta per i Rom e i Sinti e diventata il modello abitativo anche per proposte e soluzioni nei confronti dei migranti, dei profughi e di altre categorie di persone che richiedono la casa.

La soluzione campo “nomadi”, centro di prima ed eterna accoglienza, è diventata la soluzione di problematicità nell’affrontare i bisogni di intere fasce di popolazione povere, che richiedono una molteplicità di risposte.

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04 febbraio 2011

4/02/2011 – Inaugura a Bologna la mostra “Ritratti dal Senegal”

Si inaugura il giorno 4 febbraio 2011 all’Alto Tasso a Bologna la mostra fotografica “Ritratti dal Senegal” di Riccardo Lo Buglio.

Lo Buglio, laureato in storia contemporanea e appassionato di fotografia, ha partecipato nell’aprile 2010 ad un workshop fotografico socio-culturale organizzato da Acabas e Image Fotostudio in Senegal, dove ha vissuto in famiglia senegalese. Le foto esposte alla mostra sono il risultato dell’incontro fra fotografo e vite senegalesi, dove la fotografia diventa il linguaggio che detta le regole del confronto culturale.

La mostra rimarrà in esposizione fino al 4 aprile.

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04 febbraio 2011

9° CORSO DI FORMAZIONE “MEDICI IN AFRICA” 18 – 22 maggio Università di Genova

Segnaliamo la nona edizione del corso di formazione “Medici in Africa” che si terrà presso l’università di Genova dal 18 al 22 maggio 2011. Organizzato dall’associazione onlus “Medici in Africa”, tale progetto si rivolge principalmente a medici e infermieri che intendono svolgere azioni di volontariato nei paesi africani o in altri paesi emergenti. Il corsi mira a fornire, in tempi brevi, informazioni sulla situazione sanitaria in Africa, cenni di diagnosi e terapia di malattie tropicali frequenti, nonché nozioni di auto-protezione dalle più ricorrenti pandemie. Si procederà, inoltre, col racconto delle esperienze di colleghi che hanno già vissuto in tali zone nonché col la messa in contatto dei futuri cooperanti con alcune organizzazioni che lavorano in loco.

Il costo del corso è di 300 euro.

Presto sarà possibile anche effettuare l’iscrizione attraverso il sito www.mediciinafrica.it.

Quest’anno verrà organizzato anche un “corso di perfezionamento universitario”, con la partecipazione di Medici in Africa, dedicato a laureati in discipline chirurgiche o scienze infermieristiche che hanno preso già parte al corso base, oppure a coloro che hanno avuto precedenti esperienze di volontariato nei paesi in via di sviluppo. L’obiettivo di tale corso è quello di approfondire tecniche diagnostiche e terapeutiche di patalogie africane. Il corso teorico-pratico si svilupperà presso i reparti dell’Università di Genova in distinti periodi di cinque giorni  al mese, per due- tre mesi, con inizio a novembre 2011. A questa parte seguirà un periodo di attività pratica, della durata di tre settimane, da svolgere in Africa con il supporto di un tutor, presso ospedali che già collaborano con l’associazione.

L’iscrizione al corso sarà consentita a 12 persone. Il costo del corso è pari a 800 euro.

Per informazioni più dettagliate controllare il bando che verrà pubblicato dall’Università di Genova e sul sito di Medici in Africa.

Per le iscrizioni al corso, ulteriori indicazioni ed eventuali donazioni contattare:

MEDICI IN AFRICA ONLUS  Segreteria Organizzativa

Da lun. a ven. 9.30/13 mercoledì 9.30/15.30 tel 010/35377621 – 340/7755089

mediciinafrica@unige.it

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02 febbraio 2011

È uscito il nuovo numero della rivista “Africa e Mediterraneo” dedicato alla mediazione interculturale. Leggi l’introduzione e il sommario:
Le sfide della mediazione interculturale
Lavorare nell’ambito della mediazione richiede un continuo interscambio tra la ricerca teorico/scientifica, l’elaborazione dei dati relativi alle dinamiche migratorie e l’esperienza “dal basso” nel quotidiano dei luoghi in cui “vive” l’immigrazione perché le risorse e le potenzialità, le situazioni, i contesti si modificano nel tempo in continuazione

È questo approccio che ci ha spinto a realizzare un numero dedicato alla pratica della mediazione, proseguendo la nostra ricerca di riferimenti teorici e confronti di esperienze, considerati come cornici dell’agire e del progettare interventi.

Questo dossier, curato da Silvia Festi e dedicato alla mediazione interculturale e linguistica, presenta diversi punti di vista e teorie al fine di far emergere un ampio quadro di elementi costruttivi e criticità, esperienze e nuove sfide, nonché incoraggiare un dibattito su tali tematiche.

Tante sono le linee di riflessione affrontate: mediazione con i richiedenti asilo, nei campi rom, nei servizi pubblici, nei condomini, e ancora il rapporto tra formazione e mediazione, tra mediazione e comunicazione…

Tre sono i principali obiettivi che ci siamo prefissati: sostenere i mediatori che utilizzano nuove metodologie e approcci innovativi; favorire lo scambio di politiche di integrazione e di modelli di relazioni sociali e, infine, supportare il sistema dei servizi (sociale, scuola, sanità) nel ripensamento del ruolo del mediatore e delle aspettative riposte negli interventi di quest’ultimo.

Una parte del dossier è arricchita dalle foto di Giovanni Melillo Kostner, che ha svolto un lungo e accurato lavoro di ricerca sociale e documentazione fotografica in cui le foto sono espressione concreta di autentica mediazione.

Sommario

Dossier Le sfide della mediazione interculturale, a cura di Silvia Festi

Introduzione di Silvia Festi

Il mediatore consapevole: istituzioni inclusive, dimensione interculturale, percorsi di professionalizzazione di Antonello Scialdone

La mediazione frammentata. Pluralità di modi di intendere e agire una professione in cerca di futuro di Lorenzo Luatti

Il significato della mediazione interculturale nell’interazione di Claudio Baraldi

La mediazione interculturale: problemi e prospettive di Massimiliano Fiorucci

Quando le politiche si fanno culturali. Importanza e ambiguità della mediazione culturale dal punto di vista dell’antropologia di Barbara Pinelli

La prima mediazione di Ivana Trevisani

La mediazione culturale con i richiedenti asilo: ascoltare l’inaspettato di Daniela Peruzzo

Mediazione linguistico-culturale: strumento per un welfare egualitario e per la convivenza plurale di Gianfranco Bonesso

La mediazione linguistico-culturale nei servizi di prossimità e nel lavoro di strada di Andrea Morniroli e Maddalena Pinto

La mediazione in Emilia Romagna: una base per gestire la migrazione di Teresa Marzocchi

La mediazione interculturale nei servizi alla persona dell’Emilia Romagna di Marzio Barbieri

Campi “nomadi”. La mediazione socio-culturale e l’estremo delle nostre periferie di Dimitris Argiropoulos

Introducing the Chinese Community in South Tyrol by Martha Jiménez Rosano Immigrazione

Il Sahara, luogo rivitalizzato dalle migrazioni di Luciana De Michele

Arte

Le meraviglie del nuovo mercato d’arte africana di Fabrizio Corsi

Visioni della memoria e del presente: intervista a Theo Eshetu di Sandra Federici

Fotografia

Ritratti dal Senegal – Foto-reportage di Riccardo Lo Buglio

Eventi

Premier Salon des Auteurs Africains de Bande Dessinée, DevDays 2010, António Ole/Angola

Libri

Paulina Chiziane, Riccardo Staglianò, Dossier Caritas/Migrantes 2010, Calixthe Beyala, Maria Luisa Ciminelli

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