30 maggio 2010

Moda ecologica in Africa: gli stilisti guadagnano il centro della scena

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Moda ecologica in Africa: gli stilisti guadagnano il centro della scena”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Novell Zwangendaba, artista dello Zimbabwe e direttrice dell’etichetta BlackScissors.

Il degrado ambientale, risultato dei danneggiamenti compiuti dall’uomo all’ecosistema terrestre, e le sue conseguenze, hanno oggi visibilità globale. La Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo chiede che le risorse naturali siano utilizzate in modo sostenibile. Così anche le firme della moda “ecologica” hanno scelto d’utilizzare materiali biologici e risorse rinnovabili.
Gli stilisti africani sono tra i pionieri di questo nuovo corso della moda: lavorando nella direzione della preservazione dell’ambiente e del consumo etico, producendo a partire risorse sostenibili e/o alternative, come quelle provenienti dal riciclo.
Alphadi, presidente di All-Africa Fashion Designers, ha lanciato una campagna che, attraverso la creatività degli stilisti, coniuga preoccupazioni per l’ambiente e moda. Alphadi ha negozi a New York, Parigi e in diversi Stati africani, una lista di clienti notevole, che include le mogli di molti presidenti africani, Hillary Clinton e Michael Jackson: egli sostiene che la promozione della “moda verde” sia un bene non solo per l’ambiente ma anche per il portafoglio. I suoi capi d’alta moda eco-chic costano diverse migliaia di dollari.
I prodotti “verdi” e i loro benefici presso i consumatori sono promossi in Africa dai “Real Simple Green Innovation Awards”. Questo premio, istituito nel 2008, ha visto come primo vincitore MADE, la nuova collezione di gioielli della Topshop, prodotta dall’immaginazione dei più innovativi stilisti africani, attraverso l’uso di materiale alternativo riciclato. I proventi della vendita di questi gioielli vanno direttamente ai produttori e una percentuale è destinata a finanziare progetti di formazione per le comunità locali. Nel 2009 il premio è stato vinto da Brett Kaplan con la linea d’abbigliamento Woolworths Green Label, fatta col 100% di cotone organico.
Quest’onda di sensibilizzazione in campo ambientale interessa anche l’Africa Orientale, dove il marchio “Made in Africa”, è diventato un prodotto esclusivo di A QUESTION OF, una compagnia che vende merce biologica e T-shirt alla moda prodotte in Tanzania per il mercato equo-solidale. Il cotone biologico, per questa compagnia, non è soltanto una soluzione amica dell’ambiente: oltre ad esser coltivato senza fertilizzanti chimici o pesticidi, infatti, è prodotto garantendo condizioni di lavoro adeguate, certificate Global Organic Textile Standards (GOTS).
La ricerca di preservazione e sostenibilità sono le più importanti azioni in campo ambientale oggi. Anche Vivienne Westwood, la quale sostiene che la moda, poiché effimera, non può esser un’arte, ha realizzato (suo malgrado!) pezzi d’arte alla moda, usando materiali riciclati.

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30 maggio 2010

Prospettive su moda, cultura e identità in Sudafrica

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Prospettive su moda, cultura e identità in Sudafrica”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Masana Chikeka, Design Manager presso il Department of Arts and Culture di Pretoria, Sudafrica.

Durante l’insediamento del presidente Mandela nel 1994, il Sudafrica appariva un paese in cui “dominava l’individualismo”. Infatti, mentre i dignitari del continente, giunti per l’evento, indossavano colorati abiti tradizionali che ne mostravano l’appartenenza culturale, i sudafricani indossavano abiti scuri occidentali, che li designavano solo come individui.
Dopo il 1994, le persone d’ogni razza hanno abbracciato l’ideale mandeliano di riconciliazione e cominciato a indossare abiti che rispecchiavano la loro cultura e la loro identità. Questo fenomeno ha risollevato l’industria della moda e provocato l’emergere di nuovi stilisti sudafricani i quali hanno preso ispirazione dalle loro identità culturali. Con queste ultime ci si riferisce all’insieme di culture, sub-culture e differenti sistemi di valore che compongono il panorama sudafricano.
La ricca tradizione culturale di abiti, artigianato e arte è parte integrante della società sudafricana. L’industria della moda, in questo senso, è stata promotrice e parte dell’iniziale sviluppo del Sudafrica, economicamente, socialmente e culturalmente. Inoltre, il ricostruito senso d’identità ha promosso la diffusione di una serie di tessuti – Seshoeshoe, Venda, Shangaan e Ubeshu – che ne hanno, di rimando, amplificano la visibilità.
Dopo l’ultimo decennio, quindi, la locale industria della moda è stata rivoluzionata. Sono stati introdotti al suo interno (e celebrati) elementi tradizionali prima esclusi. Ma non è tutto, poiché, in questi anni, si è prodotto un fenomeno sincretico caratterizzato dalla fusione d’abiti occidentali e tradizionali. Questo processo ha visto il suo coronamento nell’organizzazione delle “settimane della moda” e nella formazione di compagnie del BEE (Black Economic Empowerment) che operano nel campo della moda.
Se si guarda alla moda nell’intero continente, e soprattutto all’Africa Occidentale, è interessante osservare come la popolazione sia orgogliosa d’adornarsi di vestiti tradizionali della propria regione e di decorare e scarificare il corpo secondo un preciso ideale di bellezza.
Se si considera il solo Sudafrica, la moda ha cominciato a costituire un’espressione rilevante dell’identità culturale solo da un decennio, perciò lo stile conservatore occidentale sembra essere ancora il principale codice d’abbigliamento, promosso anche dalle giovani generazioni affascinate dalla moda funky, che prende ispirazione dalla cultura rap e dall’hip-hop.

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28 maggio 2010

Rundle e il ritorno. La tigre ibrida della moda sudafricana

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Rundle e il ritorno. La tigre ibrida della moda sudafricana”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Erica de Greef, Head of Research presso il LISOF di Johannesburg.

Nel processo di creazione dei “personaggi”, delle “identità”, raffigurate nelle passerelle sudafricane, si notano i segni di un lavoro complesso circa la ricostruzione della memoria e delle identità. Nella società del post-Apartheid, che ha sperimentato radicali trasformazioni e profonde esplorazioni del passato, come quella della Commissione per la verità e la conciliazione, la moda
porta con sé tratti del passato che il presente sta rinegoziando. Attraverso l’esplorazione del lavoro degli stilisti sudafricani, si possono analizzare i vari livelli di questa trasformazione.
Walter Benjamin ha ideato il concetto di “tigersprung”, il balzo di tigre, che si riferisce alle tracce del passato e alla loro relazione col presente.
In particolare, Benjamin definisce “tigersprung”, quegli strumenti (tracce) atti a produrre cambiamenti nella struttura delle esperienze della vita moderna, caratterizzata da balzi violenti, alienazione, dislocazione.
Nel caso del Sudafrica, il concetto di “tigersprung” è utilizzato per cercare nella moda quelle tracce storiche che rimandano al trauma della recente storia del Paese.
Clive Rundle, stilista sudafricano, usa la moda come “palinsesto”, inteso, in senso filologico, come una pagina scritta, cancellata e riscritta nuovamente. La sua collezione Estate 2009, presentata durante la Settimana della moda sudafricana a Johannesburg, confonde il passato col presente attraverso l’uso del bianco e nero e d’indumenti e oggetti che rimandano indietro nel tempo: calze (in bianco o nero), reggicalze (in nudo) e slip che si rifanno ai modelli del secolo scorso. La modernità prende così i toni seppia del ricordo.
Clive Rundle, tra gli stilisti sudafricani è forse quello il cui approccio evidenzia meglio la nozione di moda come strumento per la narrazione sociale e luogo della negoziazione del ricordo. Ma non è il solo. Molti artisti sudafricani si son dovuti confrontare col passato e rinegoziarlo, esplorando la storia materiale del Sudafrica come un archivio di memorie e ripresentando periodi noti in nuove forme.
A chi, come Pierre Nora, sostiene che quest’esplorazione del passato non sia ascrivibile al rango di “storia”, che per definizione è impersonale, ma a quella del ricordo, bisogna fare presente che gli stilisti sudafricani inseriscono queste tracce della memoria nel contesto storico più che nel ricordo personale dello shock.
È in questo senso la moda può farsi metafora della “Storia” della trasformazione del Sudafrica, proprio per la sua abilità nel rappresentarne la precarietà e l’instabilità.

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27 maggio 2010

31/12/2010- Concorso letterario nazionale “Lingua Madre”

logo-linguamadre-piccolo11Diamo notizia della VI Edizione del Concorso nazionale “Lingua Madre”.

Il concorso è organizzato dalla Regione Piemonte e dal Salone Internazionale del Libro.

Si tratta di un concorso letterario rivolto alle donne straniere residenti in Italia che vogliono approffondire e comunicare il rapporto tra la propria realtà e quella che le accoglie.
Una sezione particolare è inoltre, dedicata alle donne italiane che vogliono raccontare storie di donne straniere e fare da tramite tra differenti culture.

É previsto un premio in denaro per le prime tre classificate:1000 euro per la 1° classificata, 500 euro per la seconda, 400 euro per la terza e ci sarà un premio Sezione Speciale per le “Donne Italiane Raccontano le Donne Straniere” di 400 euro. Verrà rilasciato un diploma e le vincitrici potranno essere coinvolte, a discrezione del concorso, in attività e presentazioni.

Gli elaborati devono prevenire entro il 31 dicembre 2010 a:

Concorso letterario nazionale Lingua Madre
CASELLA POSTALE 427
Via Alfieri, 10 – 10121 Torino Centro

Info.

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26 maggio 2010

Di moda e fuori moda: le politiche dell’abbigliamento e dello stile in Togo

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Di moda e fuori moda: le politiche dell’abbigliamento e dello stile in Togo”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Nina Sylvanus, docente presso il dipartimento di Antropologia del Reed College

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Nel Grand-Marché di Lomé, il principale mercato di tessuti dell’Africa occidentale, si vocifera che vestire con le economiche imitazioni cinesi sia rischioso moralmente e fisicamente.
Qui comincia la storia del wax print, ovvero del tessuto industriale che riproduce la tecnica del batik (tintura a riserva realizzata con la cera). È una storia che affonda le proprie radici nelle connessioni proprie dell’economia globale, coloniale e post-coloniale.
I tessuti wax print d’importazione olandese, entrarono nella moda del Togo negli anni Venti e Trenta, in relazione all’emergere di una nuova élite urbana. Questo tessuto venne utilizzato per confezionare un particolare modello di abito, il pagne, la cui ideazione precede ampiamente l’introduzione del tessuto, costituito da tre pezzi: un corpetto, una gonna e un accessorio portatile. Attualmente l’abito in tre pezzi in tessuto wax print si trova sia in una versione per ragazze giovani, lo stile taille basse, sia in una versione per donne più adulte, il manières, che si rifà invece alla forma del pagne.
Indossare l’ultimo modello olandese di wax print, confezionato in un completo d’alta sartoria, un corpetto fantasia o un boubou ricamato, non solo dimostrava buon gusto, ma era indice d’un preciso status sociale e della possibilità economica di partecipare ai cambiamenti della moda e dello stile.
Dalla fine degli anni ’90, copie cinesi degli abiti olandesi wax print sono entrate nel mercato togolese.
Le copie cinesi sono diventate dominanti incidendo sia sulle nuove tendenze della moda, sia sulla gerarchia delle pratiche di consumo degli abiti.
Oggi, solo il 20% dei modelli olandesi disponibile sul Grand-Marché di Lomé è realmente prodotto in Olanda. Copiando i modelli olandesi, queste imitazioni hanno distorto le iniziali pratiche d’abbigliamento, in quanto i modelli vanno fuori moda più velocemente e una donna che vuol esser alla moda oggi deve cambiare fantasie e modelli più frequentemente.
In un contesto dove la distinzione tra “autentico” e “falso” è sentita come essenziale, le copie cinesi, simulando il valore e la storicità di un tessuto olandese, destabilizzano le gerarchie dell’apparire.

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25 maggio 2010

Appunti interculturali dalla “Festa dei Sapori a Bentivoglio”

Siamo alla X edizione della Festa dei Sapori a Bentivoglio, Provincia di Bologna, una kermesse interculturale che, pur realizzata in un ambito locale, ha però nel tempo acquisito sempre maggior rilievo coinvolgendo moltissimi volontari e promuovendo insieme alla ”intercultura a tavola”, momenti di approfondimento culturale, come quello di questa sera: “Il Gusto del Sapere: costumi alimentari e fede nelle religioni monoteiste: confronto per una conoscenza reciproca”.

Siamo una sessantina di persone tra i 30 e i 60 anni, un pubblico misto, uomini e donne, gente del posto e non, sono presenti le varie comunità di cui questa sera si parla, rappresentanti delle comunità di fede cattolica e di fede islamica.

Relatori: Hasan Soravia, Direttore del Centro Interdipartimentale di Scienze dell’Islam dell’Università di Bologna e Don Nildo Pirani, parroco di San Bartolomeo della Beverara di Bologna e docente di Introduzione alla Sacra Scrittura alla Scuola Diocesana di Teologia; il Prof. Roberto Dall’Olio, assessore all’intercultura del Comune di Bentivoglio che, introducendo la serata, afferma: “Il progresso della coscienza è ciò di cui oggi abbiamo bisogno, occorre lavorare molto sulla profondità sulla conoscenza degli altri, su ciò che si conosce poco o in modo pregiudiziale. Il bisogno di sicurezza non deve divenire predominante, guidato dalla paura… vogliamo rimuovere qualche piccolo frammento di questo muro di paura con il contributo di uomini di fede e grandi studiosi che abbiamo invitato qui questa sera”.

Propone una rapida carrellata di passaggi storici, dal Mediterraneo crogiuolo di civiltà al medioevo, dalla costruzione di un’Europa ripiegata a nord all’impero ottomano, dall’affermazione degli Stati Nazionali al Colonialismo, dal sistema del terrore e dei totalitarismi del XX secolo al 1989, dalla la follia in Jugoslavia… che forse dà inizio ad un’epoca nuova a oggi, dove eserciti e Stati lottanto contro reti di terroristi in nuovo modello di guerra…

La separazione tra politica e religione, tra politica e morale che tanto chiediamo ai paesi arabi non dovrebbe forse spingere anche noi a domandarci dove ci ha portato questo, anche nella nostra cosiddetta democrazia, o meglio nella crisi della democrazia e della rappresentanza?

Sintetizziamo i copiosi interventi
dei relatosi con alcune frasi significative partendo da Hasan Soravia:
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25 maggio 2010

Moda e design in Nigeria: una breve valutazione delle tendenze e delle particolarità

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Moda e design in Nigeria: una breve valutazione delle tendenze e delle particolarità”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Uche Nnadozie, curatore e ricercatore presso la National Gallery of Art ad Abuja in Nigeria.

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Nelle due scorse decadi, la Nigeria è diventata il centro della moda africana contemporanea, seguita subito dal Sudafrica. Gli stilisti nigeriani, ridimensionata una certa fascinazione per i prodotti esteri, hanno saputo reinterpretare la ricca tradizione locale in fatto di tessuti e tinture.
Tradizionalmente, grazie a telai verticali o orizzontali si lavoravano le fibre per produrre tessuti che venivano poi ricamati e/o tinti. La tintura poteva essere semplice (uniforme) o esser eseguita secondo le tecniche del batik o dell’adire (conosciuta in Occidente come “tie and die”, letteralmente “lega e tingi”). Una volta pronto il tessuto, venivano confezionati gli abiti, che consistevano, in linea di massima, in pantaloni fermati in vita con un cordoncino e una maglia di forma rettangolare.
In Nigeria, un paese multiculturale che conta 250 lingue e 300 etnie, ciascun gruppo elaborava questi elementi base secondo un’idea propria di moda e stile. Con l’avvento del colonialismo e del mercato trans-sahariano, alcuni abiti o accessori occidentali furono adottati da queste etnie seppur mantenendo l’uso degli abiti e dei tessuti tradizionali, magari d’importazione, come nel caso del tessuto denominato George.
Con la colonizzazione, la globalizzazione, la commercializzazione e probabilmente la graduale computerizzazione della società nigeriana, quindi, la moda “indigena” si è aperta alle influenze esterne. Perciò, i tessuti tradizionali, come l’ebiras della popolazione tiv, l’akwete degli igbo, l’indigo tinto con la tecnica adire degli hausa, aso-oke e l’adire degli yoruba, ecc. hanno cominciato ad assumere nuove connotazioni socio-culturali e un ruolo socio-economico nuovo rispetto a quello religioso-spirituale del periodo precoloniale.
Oggi, ciò che apparteneva a una dimensione tradizionale e desueta, sta prendendo un nuovo carattere moderno. Tessuti tradizionali come adire, angyre, aso-oke, achinogontoro, aso-ofi, akwete e altri tessuti precoloniali sono tagliati e cuciti in uno stile armonioso con tessuti moderni come cotone, lino, chiffon, ankara, e altri. Inoltre, una serie d’attività sono state sostenute allo scopo di promuovere l’industria della moda in Nigeria, come i Premi della moda nigeriana. Ci si augura che il governo incoraggi la creazione d’istituti privati di moda e design, come strumento per perseguire le finalità indicate dai Millennium Development Goals (MDGs) e dalla New Partnership for African Development (NEPAD).

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24 maggio 2010

“Sensibilità africana”: le innovazioni della moda di Chris Seydou

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Sensibilità africana: le innovazioni della moda di Chris Seydou”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Ndiouga Benga docente di storia dell’Africa occidental presso la Cheikh Anta Diop University di Dakar.

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Lo stilista maliano Chris Seydou (1949-1994) è una figura chiave nello sviluppo dell’estetica e dell’industria della moda africana contemporanea.
La sua biografia costituisce un ponte tra l’abilità sartoriale maliana – la cui creatività è riconosciuta in tutta l’Africa Occidentale e oltre – e l’industria della moda internazionale, orientata secondo il gusto occidentale. Il lavoro di Seydou,grazie all’abilità dello stilista nel guardare ai tessuti e agli altri elementi degli abiti secondo l’ottica sia del mercato europeo sia di quello maliano, ha permesso una reciproca compenetrazione tra lo stile tradizionale dell’Africa Occidentale e la moda internazionale. Attraverso l’analisi della biografia di Seydou, del suo lavoro e dell’accoglienza che questo ha ricevuto in Africa Occidentale e in Europa, è possibile illustrare non solo le sue innovazioni ma anche la lunga storia delle innovazioni nella moda “tradizionale” africana che il suo lavoro continua.
La sua attività va poi inserita nel contesto specifico della recente storia del Mali e del periodo postcoloniale
che vede gli Stati africani conquistare l’indipendenza. Ad esempio, la più importante innovazione di Seydou, ovvero l’uso del bogolanfini (letteralmente vestito di fango), riflette sia la sua esperienza d’immigrato a Parigi che il modificarsi dell’atteggiamento della sua nazione nei confronti delle varie forme dell’arte “indigena”.
Inoltre Seydou, nel celebrare la cultura maliana e le sue arti, ha sempre respinto un certo sguardo europeo, costituito d’aspettative e fraintendimenti, circa la creatività africana.
La notorietà di questo stilista deriva non solo dall’aver introdotto tessuti africani nella moda internazionale,
ma anche dal ruolo che egli ha svolto nel promuovere la fondazione della Fédération Africaine des Créateurs, la prima organizzazione professionale che riconosce il bisogno di costituire un mercato della moda africana in Africa stessa e nella creazione di una rete per la promozione dell’industria della moda che superi i confini nazionali. Seydou è ricordato in Mali anche come figura prominente della cultura. Il suo lavoro è esposto nella mostra permanente dell’arte tessile presso il Museo Nazionale del Mali.
Come stilista, imprenditore culturale e artista, Chris Seydou, la sua vita e il suo lavoro illuminano molti aspetti della moda africana di oggi.

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23 maggio 2010

Qualche nota sull’abbigliamento africano e la letteratura narrativa post-coloniale

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Qualche nota sull’abbigliamento africano e la letteratura narrativa post-coloniale”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Francesca Romana Paci, docente di Inglese e Letterature post-coloniali presso l’Università del Piemonte Orientale.

Il tema dell’abbigliamento e delle modalità del vestire in Africa, così come si presentano nell’opera letteraria di alcuni scrittori africani, è di considerevole complessità diacronica e sincronica.
Sul piano diacronico, si può riconoscere un primo gruppo, quello degli scrittori bianchi che descrivono abbigliamenti e costumi africani come diversi e primitivi, comunque esotici. Di un secondo gruppo possono fare parte scrittori contemporanei, sia bianchi sia neri, che scelgono, la modalità antropologica e primitivistica (Chinua Achebe e André Brink).
Sul piano sincronico il problema si complica ulteriormente, perché l’abbigliamento diventa un elemento che è parte della politica, della struttura sociale, e dell’economia. Certamente si può azzardare l’indicazione dell’esistenza di un gruppo prevalente che favorisce, come segno di conquista sociale e di diritti, un abbigliamento di derivazione europea contemporanea (Léopold Sédar Senghor, Yvonne Vera, Fatima Mernissi etc.).
Ma l’abbigliamento europeo è anche sottoposto a critica e a rappresentazioni negative, soprattutto in connessione con la realtà economica: si trova, per esempio, l’elemento delle charities, gli abiti usati che soprattutto Europa e Stati Uniti da decenni mandano in Africa. La condanna dell’abito europeo entra soprattutto nella letteratura politica, (Mobuto), ma è certamente anche legata alla moda, si pensi alle camicie di Mandela. Mentre, con una incursione nel campo della poesia, molto più complessa è la condanna dell’abito europeo in Léon Damas, che non è tecnicamente africano, ma è incluso da Senghor nella sua Anthologie de la nouvelle poésie nègre.
E’ interessante, inoltre, notare la pervasiva presenza nella narrativa africana delle uniformi, delle divise militari, paramilitari e persino scolastiche; un elemento che accomuna la maggior parte degli scrittori africani e che ha una palese radice coloniale, ma anche un certo numero d’altre implicazioni politiche più o meno contemporanee, oltre che innegabili elementi distopici.

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22 maggio 2010

Africanews24: una televisione panafricana sul satellite

E’ stato presentato in anteprima durante il meeting internazionale “Africa 53 countries, One continent” (Bologna 21 maggio 2010) il progetto Africanews24, una nuova rete televisiva per il continente africano da realizzare sul modello di Euronews24. Il progetto è stato presentato con un video realizzato da Mimma Nocelli, direttrice artistica di NewCo Rai Internationa durante l’importante convegno organizzato dalla Foundation for World Wide Cooperation di Romano Prodi.

Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica, interviene al convegno di bologna

Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica, interviene al convegno di bologna

L’ex presidente della Commissione europea è riuscito a convocare a Bologna personaggi del calibro di Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, Thabo Mbeki, ex presidente del Sudafrica, Asha Rose Mgiro, Vice Segretario Generale dell’ONU, Andrie Piebalgs, Commissario per lo Sviluppo della Commissione Europea, Maxwell Mkewezalamba, Commissario all’Economia dell’Unione Africana, Zhan Shu, Ambasciatore del dipartimento Africa del governo cinese. Il tema era l’identificazione di una road map per l’integrazione africana, con la partecipazione di tutti gli attori presenti nel continente: Unione africana, Nazioni unite, Unione europea, Cina e USA.

Logo di Africanews 24

Logo di Africanews 24


Il progetto Africanews24 è stato presentato dalla rete televisiva Euronews alla Commissione Europea, che ha dato il via libera, ed è in corso di realizzazione. Sarà la prima televisione panafricana, avrà sede in Africa, sarà multilingue e satellitare e presenterà una selezione di news dai media africani, ripetuta più volte al giorno, e programmi prodotti appositamente, come documentari e approfondimenti su temi importanti e talk show sulla realtà socioculturale africana.

I pubblici a cui si indirizza sono quello africano quello europeo e in generale quello mondiale, con una particolare attenzione alla diaspora Africana. Sarà chiesta la partecipazione di agenzie dell’ONU, Banca Mondiale e Banca Africana di Sviluppo, cooperazione bilaterale e multilaterale.

Gli attori strategici del continente come leader politici, decision maker, operatori nel settore dell’educazione e dei media potranno così avere un mezzo molto potente per fare sentire la loro voce.

Ha spiegato P.L. Malesani di Euronews “Ogni paese ha i suoi media locali ma manca una televisione che offra una visione panafricana trasmettendo da una sede interna al continente (…) La prima TV africana che ha aderito è quella della Costa d’Avorio, e ne stiamo contattando altre, per creare un network di televisioni sorelle. Nella fase iniziale saranno 8-10”.

“Il modello è Euronews”, ha aggiunto P. Cayla, manager del canale paneuropeo con sede a Lione, “che è internazionale (dà informazioni su Europa e resto del mondo) e multingue (trasmette in 9 lingue, in Africa si potrebbero utilizzare le 3 lingue europee usate e 3 lingue africane ad ampia diffusione)”.

Sarà realizzato anche un sito interattivo con archivio delle notizie, diffondibili anche via telefono cellulare. Per la sede della redazione, si è parlato finora di Dakar e Accra, ma non è ancora stato deciso nulla.

Sandra Federici

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