Mercoledì 1° giugno 2011 alle ore 12:00 inaugureremo a Vercelli, presso il Liceo Scientifico Statale Amedeo Avogadro, la mostra con le migliori opere del Premio Africa e Mediterraneo per il miglior fumetto inedito di autore africano 2009-2010.
La quinta edizione del Premio ha raccolto una grande partecipazione degli artisti africani con 71 artisti, provenienti da 27 paesi per un totale di 108 storie pervenute.
“Fumetti a tema libero”, “Povertà” e “Sport” sono i tre percorsi attraverso i quali lo spettatore potrà esplorare le tecniche e la creatività degli autori immergendosi nelle storie da essi raccontate: interpretazioni ironiche della storia passata e presente dell’Africa, denunce della vergogna senza scuse della povertà, storie di successi e sconfitte nello sport.
La mostra ci consente di proporre al pubblico una panoramica del fumetto africano, dai talenti emergenti ai professionisti, raggiunti grazie all’opera di diffusione del bando da parte di media africani, di istituzioni internazionali, delle associazioni di fumettisti e soprattutto degli autori stessi, attraverso il passaparola.
Durante l’inaugurazione interverranno:
Marta Meloni, coordinatrice progetto Africa Comics
Alessia Rosa, coordinatrice progetti scuola Piemonte Africa e Mediterraneo
Il progetto Africa Comics è realizzato dall’associazione Africa e Mediterraneo con il contributo di Regione Piemonte – Determinazione n. 1386/2010 e della Regione Emilia Romagna.
Parole chiave : africa comics, Liceo scientifico A. Avogadro di Vercelli, regione piemonte
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C’è un ex-atleta italiano, campione europeo nei 10.000 metri, che da anni è impegnato attivamente in progetti di animazione sportiva a Palermo, con l’associazione Libera. E’ un simbolo dell’impegno sociale attraverso lo sport e un punto di riferimento per tanti bambini che al di fuori della scuola non hanno nessuna possibilità educativa.
Si chiama Rachid Berradi, è nato a Meknes, in Marocco, ed è immigrato a Palermo all’età di 10 anni. E ha un forte accento siciliano.
Insomma, un emblematico esempio di seconda generazione.
Oggi, 24 maggio, è impegnato a commemorare l’uccisione di Giovanni Falcone con i ragazzi del progetto “Libera natura” (organizzato da Libera e dal Corpo forestale dello Stato), che faranno una “camminata” sulle terre confiscate alla mafia, in particolare a Corleone, nel maneggio gestito dalla Coop. Placido Rizzotto, intitolato al piccolo Giuseppe Di Matteo.
Ho avuto occasione di conoscerlo durante la cerimonia di consegna del Premio Città di Sasso Marconi, sabato 22 maggio. Ha ricevuto il “premio per la comunicazione sportiva”.
Mi ha raccontato dei progetti che organizza come Coordinatore Sport dell’associazione Libera-Sicilia. Lavora nel quartiere Zen (Zona Espansione Nord), uno scherzo urbanistico dove sono imprigionati migliaia di bambini che non hanno a disposizione né aree verdi né strutture sportive o sociali e che vengono cresciuti nell’adesione ai valori della mafia e nell’odio per le forze dell’ordine e lo Stato. Recentemente ha organizzato due stage di atletica in cui gli allenatori erano dei carabinieri in borghese. Dopo alcuni giorni in cui si era creato un grande affiatamento tra i bambini e gli allenatori, in un momento di “chiacchiera” ogni allenatore ha rivelato la propria professione: la prima reazione dei bambini è stata di smarrimento e rifiuto, ma poi l’affiatamento che si era creato nei primi giorni ha preso il sopravvento e tutto è andato bene.
“Ho avuto più problemi con il secondo stage” mi ha spiegato Rachid, “perché appena sono arrivati gli ‘allenatori’, un bambino ha riconosciuto in uno di loro il carabiniere che aveva arrestato suo padre la sera prima! E così siamo stati scoperti. C’è voluto del tempo per convincerli ad accettare l’attività e alla fine siamo anche riusciti a fargli ammettere che chi sbaglia è giusto che paghi.”
Una volta hanno organizzato delle gare consegnando ai bambini partecipanti dei prodotti di “Libera terra”, sui quali era scritto “prodotto su terre confiscate alla mafia”. “Alcuni, i più educati, ce li hanno riconsegnati dicendo che non potevano tornare a casa con quei prodotti; altri li hanno versati nei bagni in segno di sfregio. Questo ci ha fatto riflettere sul lavoro che ci resta da fare…”
“Io penso che non è giusto che tanti bambini vivano così, senza possibilità. Non si sentono nemmeno parte della città, per loro Palermo è un luogo ‘altro’. In effetti non gli è stato dato nulla, in tutto il quartiere c’è solo una chiesa ma senza attrezzature, senza cortile. Lo Stato non è presente. Solo recentemente è stata aperta una caserma dei Carabinieri nel quartiere, dopo mille difficoltà dovute all’occupazione da parte dei senza casa dello stabile in via di ristrutturazione”.
Ha raccontato che suo padre teneva molto al fatto che facesse sport, magari la boxe, oltre al fatto che proseguisse gli studi dopo la scuola media. Ha iniziato a praticare l’atletica con l’aiuto degli insegnanti, e ha avuto grandissimi successi a livello internazionale.
Ora è guardia forestale e per due giorni alla settimana è distaccato sul progetto di Libera sulle aree confiscate alla mafia.
Parlava con grande equilibrio, riservatezza e persino umiltà delle attività che svolge. Le parole che mi venivano in mente mentre lo ascoltavo erano “normalità del bene”. Al momento della premiazione ci ha tenuto a sottolineare che lui non è una persona speciale, che è normale e che quello che fa lui lo fanno in tanti.
E’ vero, Rachid, sono tanti che vivono la cittadinanza sul serio, in maniera critica, attiva e generosa come te, ma non so perché abbiamo sempre bisogno di ricordarcelo.
Parole chiave : cooperativa Placido Rizzotto, Corleone, Giovanni Falcone, Libera Natura, Libera Sicilia, quartiere ZEN, Rachid Berradi, Seconde generazioni
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20 maggio 2011
Intervista all’autore di fumetti Magdy El-Shafee
Ho conosciuto il fumettista egiziano Magdy El-Shafee, l’autore della prima graphic novel in arabo, dal titolo Metro, alle giornate “Un mondo fatto a strisce” organizzate dall’università L’Orientale di Napoli. Ero curiosa di conoscerlo perché nel 2005 Magdy aveva partecipato al nostro Premio Africa e Mediterraneo per il migliore fumetto inedito di autore africano. La busta con il suo fumetto era stata bloccata in dogana a lungo e nonostante il nostro interessamento alla fine era arrivata dopo che la riunione della giuria si era già svolta. Ma la sua storia, sui rifugiati provenienti da paesi africani in guerra, era piaciuta molto in redazione e così lo avevamocontattato chiedendogli se voleva essere pubblicato nel catalogo delle migliori storie o passare all’edizione successiva.
Lui aveva optato per la pubblicazione e così la sua storia è entrata nel catalogo 2005-2006 del Premio Africa e Mediterraneo.
Nei giorni della rivoluzione egiziana il quotidiano La Repubblica ha pubblicato alcuni suoi disegni. La sua graphic novel Metro è ambientata al Cairo e parla di Shihab e Mostafa, due giovani che, bloccati da corruzione e banche nella loro attività imprenditoriale nel settore dell’informatica, rapinano una banca.
Nel fumetto si parla qua e là di manifestazioni, mentre viene raccontata come episodio chiave nella vita del protagonista una manifestazione finita con l’uccisione di diversi manifestanti da parte di picchiatori professionisti pagati dal regime. Leggendo ora questa storia, si possono riconoscere quegli elementi di disagio sociale e di insofferenza giovanile che sono stati raccontati come motivazioni durante la rivoluzione di gennaio-febbraio 2011.
Ho fatto a Magdi qualche domanda.
Che formazione hai avuto e come sei arrivato al fumetto?
Ho studiato farmacia ma ho sempre letto fumetti. Da bambino amavo i fumetti come Superman e Tin Tin, e ho sempre disegnato. Poi da ragazzo ho scoperto Hugo Pratt tradotto in arabo e mi ha conquistato, perché i suoi erano eroi complicati che facevano anche cose sbagliate. Leggevo le riviste Charlie mensuel [ndr: Charlie è la rivista francese analoga al nostro Linus, ma nata dopo 4 anni] e Hara Kiri. Mi piaceva tanto l’autore Golo, in queste riviste francesi, e un giorno nel 2000 scoprii al Cairo una mostra proprio sua, e questo mi diede una spinta ulteriore a dedicarmi al fumetto.
Nel 2003 ho seguito un workshop di fumetto alla American University del Cairo e cominciato a pubblicare la serie “Yasmin & Amina” su Alaa’Eddin, supplemento settimanale dell’importante quotidiano Al-Ahram. Nel 2005 ho iniziato a collaborare con el Dostour, una testata liberale, fino alla sua chiusura da parte del governo.
Nel frattempo avevo cominciato a lavorare alla storia di Metro, ma non concludevo, andavo avanti lentamente. La partecipazione al vostro Premio Africa e Mediterraneo, con la selezione della mia storia per la pubblicazione, mi ha dato una grande spinta. Ho mostrato il catalogo al critico El-Labad, che mi seguiva, e che mi disse: adesso devi finire il tuo fumetto e pubblicarlo!
Il tuo fumetto fa capire molto delle cause della rivoluzione egiziana.
Avevo l’idea da tanto tempo di parlare del fatto che le persone si sentivano senza speranza, senza vie di uscita, perché non pensavano che si potesse cambiare la situazione.
L’ingiustizia sociale in Egitto è tremenda. E così nel 2007 ho finito il fumetto e in gennaio 2008 è uscito con un piccolo editore, Dar El Malameh, non molto forte nella distribuzione. E’ stato stampato in un migliaio di copie. Poi ci fu uno sciopero lanciato dagli attivisti on line attraverso facebook, che ebbe un grande successo ed era la prima volta in cui i social network dimostravano di saper muovere le persone dal basso. Questo evento aumentò arresti e sospetti e anche casa mia fu perquisita. Fui minacciato e il libro fu sequestrato. Raccolsero tutte le copie che erano in giro. Ne avevamo vendute circa 700 copie su 1000. E fui denunciato per avere inserito scene “pornografiche” e personaggi somiglianti a uomini politici reali.
Dopo 2 anni di processo io e l’editore fummo condannati a pagare una multa.
La censura è stato forse lo spunto di un grande successo, il fumetto è stato pubblicato in Italia e ora è in uscita negli USA. Disegnerai un’opera sulla rivoluzione egiziana?
In Italia il libro è uscito con Il Sirente, mentre negli stati uniti stiamo pubblicando con Metropolitan Books. Durante le manifestazioni pensavo: devo scrivere una graphic novel sulla rivoluzione, ma ora invece sono completamente senza ispirazione, per ora mi sento di non fare niente, perché non si capisce ancora come finirà. Dobbiamo digerire tutto quello che è successo, e capire come si evolverà la situazione.
Che ci dici della situazione dell’Egitto?
Ciò che è stato fatto in Egitto è stato fatto da amici, da studenti, ed è stato frutto dell’esistenza di Internet, di una cultura sempre più aperta e partecipativa. Adesso dobbiamo andare verso una lotta finale, una corsa finale, per completare il processo. C’è stata la rivoluzione che è stata come una scintilla, ma le prossime elezioni saranno cruciali perché quello che abbiamo fatto non ci venga rubato. I partiti a sfondo religioso sono molto organizzati, e se durante la fase della rivoluzione non sono stati dominanti, perché la spinta era democratica, laica e plurale, ora si stanno muovendo e possono appropriarsi di quanto abbiamo realizzato noi.
Noi invece vogliamo un Egitto per tutti gli egiziani e non per una sola corrente politica o religiosa.
Sandra Federici
Parole chiave : censura, Egitto, Fumetti, graphic novel, magdy el-shafee, rivoluzione egiziana, un mondo fatto a strisce, università orientale
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Abbiamo partecipato due settimane fa ad una tavola rotonda a Bruxelles organizzata dalla rete di ONG “SOLIDAR”, dal titolo: “Migrant domestic workers: from modern-day slavery to equal pay”. L’intento dell’incontro era quello di riunire insieme personalità politico istituzionali, e membri della società civile che si occupano di queste tematiche, per collaborare insieme allo scopo di creare un contesto di maggiore consapevolezza sulla situazione dei lavoratori domestici migranti in Europa e sulle connessioni con il mercato del lavoro, le politiche migratorie e le questioni di genere, e per dare maggiore diffusione all’iniziativa dell‘Organizzazione Internazionale del Lavoro per la promozione e la ratifica di una Convenzione (ILO Convention on Decent Work for Domestic Workers).
Al giorno d’oggi il lavoro domestico rappresenta nella globalità del mercato del lavoro una fetta abbastanza importante, essendo la fonte di reddito di milioni di persone, in maggioranza donne e migranti. Nei paesi industrializzati, infatti, il lavoro domestico rappresenta il 5-9% di tutti i lavori.
In Europa negli ultimi decenni si è assistito ad una crescente espansione del settore, espansione che non va analizzata come fenomeno a sé stante ma piuttosto come riflesso e conseguenza dei cambiamenti socio-economici globali.
Va considerata innanzitutto la relazione tra lavoro domestico, lavoro in nero e immigrazione irregolare, che è abbastanza complessa. In generale, mentre la migrazione viene comunemente intesa come causa di crescita del lavoro informale, sta diventando invece chiaro che l’esistenza di un mercato del lavoro informale sia al contrario una spinta verso la migrazione, questo ancor di più nell’area del lavoro domestico. Questo infatti è un lavoro molto flessibile, che si basa su un rapporto di fiducia reciproca tra il lavoratore e il suo assistito, e in cui sono spesso gli stessi datori di lavoro ad alimentare l’informalità di questo mercato, cercando di sfuggire alla sua burocrazia, sebbene talvolta vengano arginati dalle leggi sull’immigrazione.
Per molti migranti che sono a vari livelli irregolari (dalla documentazione, alla condizione abitativa), il lavoro domestico più che una scelta reale è una necessità, dal momento che per loro è troppo difficile entrare nel classico mercato del lavoro, e addirittura una lunga permanenza nel mercato informale può diventare poi via di accesso per la regolarizzazione amministrativa.
Nell’Europa del Nord, dove lo stato riesce ad agire in modo incisivo in materia di protezione e assistenza nei confronti dei cittadini, la presenza dei migrant domestic workers ha dati praticamente insignificanti se comparati a quelli degli stati dell’Europa del Sud. In alcuni stati infatti la richiesta di lavoro domestico migrante è messa in relazione a recenti tagli alle spese in materia di welfare e servizio pubblico (e alla privatizzazione e liberalizzazione del settore assistenziale). Gli altri fattori che concorrono alla sua crescita sono poi la progressiva e sempre più massiccia inclusione delle donne nel mondo del lavoro e l’invecchiamento della popolazione.
Così il lavoro domestico migrante cresce sempre di più allargando anche il raggio delle sue competenze, dalla cura di bambini e anziani, alla manutenzione di case e giardini.
Eppure, pur avendo un forte impatto sulla ricchezza e sul benessere europeo, questi lavoratori continuano a rimanere avvolti nell’invisibilità, e non solo perché il loro luogo di lavoro è una casa, ma anche perché spesso non vengono inclusi nell’immaginario dei lavoratori, quindi non vengono riconosciuti e sono spesso privati di qualsiasi forma di diritti e protezione sociale.
Per il lavoro domestico infatti non esiste alcun grande sindacato, né alcuna convenzione di riconoscimento e regolamentazione. Oltre all’informalità e alla sommersione, la grande problematica legata al lavoro domestico rimane quella della violazione diffusa dei diritti umani e del lavoro, problematica comune a numerosi lavoratori che accettano una relazione lavorativa precaria e irregolare e una vita vissuta ai margini della povertà.
La maggior parte dei domestic workers sono migranti, e la maggior parte di questi sono donne. Questo finisce spesso per esporle a doppie o multiple forme di discriminazione: di genere e razziale. La mancanza di consapevolezza e di riconoscimento dei diritti dei lavoratori domestici da parte dei governi, datori di lavoro e lavoratori stessi contribuiscono ulteriormente al loro sfruttamento, e il fatto che molto spesso si possano instaurare rapporti di familiarità, non deve allontanare dall’idea che essi siano comunque sottoposti a privazioni dei diritti come lavoratori e persone.
Molte delle lavoratrici domestiche arrivano in Europa col desiderio di fuggire da situazioni di difficoltà economiche in patria, ma diventano vittime di un paradosso: se con il loro lavoro rendono altre donne libere di poter andare al lavoro lasciando i propri figli a casa, loro non sono altrettanto libere. E il numero eccessivo di ore di lavoro, la sensazione che esso spesso sia dequalificante rispetto alla formazione acquisita in patria, o anche la pesantezza dello stesso lavoro, spesso conduce le lavoratrici in stati di isolamento, solitudine e depressione.
Nonostante questo, e specialmente nei casi in cui non abbiano una valida residenza o permesso di lavoro o quando non parlano la lingua del paese, un numero significativo di migranti si prepara ugualmente ad accettare condizioni di lavoro senza alcuna protezione solo perché sembra essere l’unica soluzione ai loro bisogni.
A livello europeo c’è un grande gap tra quelli che dovrebbero essere i diritti riconosciuti e quella che è poi la pratica. Questa è una conseguenza di politiche incoerenti che hanno utilizzato due pesi e due misure, e che hanno fatto in modo che le leggi migratorie influissero sulle politiche occupazionali impedendo di fatto il trattamento eguale e la non discriminazione dei lavoratori migranti. Sin dagli anni ottanta i lavoratori domestici hanno cercato di organizzarsi per rivendicare i propri diritti,e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro adesso sta facendo pressioni sul mondo istituzionale europeo ed internazionale affinché venga ratificata una dichiarazione che provveda al riconoscimento del lavoro domestico come lavoro, e che ponga le basi per la costituzione di un quadro legale per tutti i lavoratori domestici, nei parametri di ciò che viene definito decent work.
Gli stati devono assumersi le loro responsabilità in tema di welfare e protezione sociale, perchè solo se si migliorano le condizioni di lavoro, si stimolano le capacità e si giunge a un completo riconoscimento dei domestic workers ci potrà essere un grosso beneficio non solo per i lavoratori ma anche per i datori di lavoro. È necessario quindi che vengano messe in atto pratiche non solo giuridiche, ma soprattutto concrete, che partano un right-based e gender-sensitive approach, oltre ad azioni economiche come incentivi ai datori di lavoro nel rilascio di voucher e assicurazioni, per assicurare la coesione sociale e il benessere della nostra società.
La nostra cooperativa editrice Lai-momo realizza progetti per le lavoratrici domestiche straniere nella Provincia di Bologna.
Per info vedi:
http://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/2662010-il-pullman-delle-donne-native-e-migranti-parte-verso-mantova/
http://www.laimomo.it/a/index.php?option=com_content&view=article&id=16&Itemid=20&lang=it
http://www.laimomo.it/a/index.php?option=com_content&view=article&id=66&catid=2&Itemid=21&lang=it
Olga Solombrino
Parole chiave : discriminazione, genere, ilo, immigrazione irregolare, lavoro informale, lavoro nero, mercato del lavoro, migrant domestic workers, organizzazione internazionale del lavoro, solidar
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Nonostante il 2015 sia sempre più vicino, anno in cui è stato previsto il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM), la maggior parte dei paesi a basso reddito e in via di sviluppo sono ancora in preda a fragilità ed emergenze, e c’è ancora molto da fare per avvicinarsi agli otto obiettivi dichiarati nel 2000.
I progressi economici, umani e sociali compiuti fin ora in direzione del raggiungimento degli OSM sono continuamente messi in difficoltà non solo dalle continue crisi e shock (alimentare, dei carburanti, e ora economica e finanziaria) che coinvolgono i paesi fragili, in particolare quelli dell’Africa Sub Sahariana, ma anche dai costi di una governance debole e poco autonoma. Questi shock stanno minando il raggiungimento degli OSM, e fanno crescere la domanda di nuovi e più efficienti programmi di protezione sociale in molti paesi africani. La protezione sociale – che è sempre più riconosciuta come un efficace strumento per proteggere le persone dai rischi e ridurne la vulnerabilità – sta quindi rapidamente diventando una priorità nei programmi di sviluppo, sia per i donatori sia per i governi locali.
Il Rapporto europeo sullo sviluppo del 2010 (ERD) esamina la necessità e la possibilità di espandere la protezione sociale nell’Africa Sub Sahariana; ne analizza altresì la fattibilità e il probabile impatto sullo sviluppo. In contrasto con l’opinione secondo cui l’Africa Sub Sahariana non può permettersi protezione sociale, i paesi africani hanno promosso, e attuato con successo in tutta la regione, approcci innovativi alla realizzazione di programmi in materia. L’incertezza che ha seguito le recenti crisi, d’altro canto, acuisce il bisogno di misure in grado di proteggere la popolazione africana dai rischi e dagli shock e misure che riducano la povertà e promuovano lo sviluppo umano.
In questo contesto, l’ERD offre l’opportunità di fare un bilancio della situazione, imparando dalle esperienze passate, e di suggerire all’Unione Europea e ai suoi Stati membri le priorità da adottare. La protezione sociale, che è il fondamento stesso del modello sociale europeo, dovrebbe diventare parte integrante delle politiche di sviluppo dell’UE e del suo impegno verso una dimensione sociale della globalizzazione.
Durante l’ultima presentazione dell’ERD in occasione del Day of Action on Social Protection qui a Bruxelles, abbiamo avuto modo di discuterne con Giorgia Giovannetti, professoressa ordinaria all’Università di Firenze e all’European University Institute, dove è direttrice scientifica del Rapporto Europeo sullo Sviluppo.
Ecco le sue risposte alle nostre domande:
Qual è il nocciolo del Rapporto Europeo sullo Sviluppo del 2010?
L’ERD 2010 è incentrato in modo particolare sulla protezione sociale. A nostro parere infatti avere sistemi di protezione sociale anche nei paesi poveri dell’Africa Sub Sahariana è possibile se vi è la volontà politica di farlo. I costi di alcuni programmi non sono alti e i benefici sono molti, soprattutto perché si possono avere degli effetti moltiplicatori molto importanti. Si possono sostituire i programmi più complicati che richiedono un apparato burocratico estremamente efficiente (come i conditional cash transfers- trasferimenti condizionali), con programmi più semplici, come le pensioni universali, o trasferimenti dove sia semplice individuare i beneficiari (come i child benefits ad esempio).
È importante mettere in evidenza che avere protezione sociale è possibile anche nei paesi poveri, nonostante questo in un certo senso vada contro l’opinione comune che tende ad accentuare il problema dei costi e della sostenibilità nel tempo. Naturalmente i governi e i donatori devono porsi il problema della sostenibilità, eppure, come dimostrato nel rapporto attraverso una serie di calcoli e di ipotesi, le pensioni o la sanità nazionale sono alla portata.
La conditio sine qua non è però che i governi si convincano dell’importanza della protezione sociale, devono essere loro a “impadronirsi” dei programmi e deciderli a livello nazionale, non possono essere imposti dai donatori, altrimenti sono destinati a fallire. Le nostre parole chiave infatti sono ownership (proprietà) dei programmi e partnership fra donatori e governi nazionali. I donatori dovrebbero avere un ruolo solo in fase di transizione, ma nel lungo periodo i programmi di protezione sociale devono fare conto solo sulle risorse interne dei paesi e non sugli aiuti, spesso poco affidabili.
Ci sono stati dei progressi rispetto all’ERD del 2009?
Il rapporto del 2009 si occupava per lo più di paesi in situazione di conflitto o fragilità. Sono proprio questi i paesi per i quali la protezione sociale è più necessaria, ma anche molto più difficile da progettare… i progressi sono lenti, si tratta di un’area dove c’è ancora molto da fare.
Perchè il rapporto del 2010 è stato focalizzato sulla social protection?
Ci sono molte motivazione e tutte molto importanti.
Sicuramente ha contato il clima di incertezza prevalente a livello economico (le tre crisi), politico, ambientale. Nelle situazioni di incertezza si avverte maggiore necessità di misure che da un lato proteggano gli individui (le famiglie, le comunità, i paesi e i continenti) contro il rischio, ma dall’altro aiutino a promuovere lo sviluppo e a ridurre la povertà. La protezione sociale ha proprio questi molteplici obiettivi: aiuta le famiglie a reagire agli shock e ad evitarne le conseguenze di lungo periodo. Grazie a misure di protezione sociale le famiglie possono continuare a mandare i bambini a scuola, non vendere le attività, gli animali che danno loro da vivere, ecc… e quindi limitano i danni di quelle situazioni nelle quali le reti di sicurezza sociale private, come le rimesse o l’assicurazione informale sono insufficienti.
Non solo, la protezione sociale aiuta le società ad uscire da circoli viziosi di povertà e vulnerabilità e a costruire quella resilienza necessaria per uscire dalle trappole della povertà.
Infine, anche se su questo non c’è un’evidenza empirica, la protezione sociale aumenta la coesione sociale e, in linea di massima, fa aumentare la legittimazione dei governi che fanno vedere di avere a cuore i propri cittadini. Come dicevo, c’è poca evidenza empirica, ma ci sono aneddoti e alcune situazioni dove la protezione sociale è stata usata per smussare situazioni difficili: in Kenya dopo le elezioni, in Sierra Leone con dei programmi di public works per ex combattenti, in Colombia dove Familias en accion ha avuto un impatto positivo sul capitale sociale.
Può fare una valutazione sullo stato di avanzamento del percorso per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio?
La situazione è molto diversa sia tra paesi sia tra obiettivi. Sicuramente però si può dire che passi avanti sono stati fatti, nonostante la crisi economica e la crisi dei prezzi delle materie prime alimentari. Purtroppo i dati sono vecchi ed esistono solo delle proiezioni per il 2010, comunque la povertà sembra essere diminuita ovunque meno che nei paesi in situazione di fragilità e conflitto dove invece è aumentata notevolmente. Progressi si registrano in quasi tutti gli obiettivi del millennio, salvo per la mortalità materna, su cui bisogna ancora lavorare molto.
Che tipo di ripercussioni ha avuto la crisi economica globale sul raggiungimento degli OSM?
La crisi ha avuto effetti molto negativi, anche se non ci esistono stime molto affidabili ed è comunque difficile sapere cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la crisi. Tuttavia la crisi finanziaria ha avuti effetti inferiori al previsto sui paesi più poveri, anche grazie al ruolo trainante della Cina sia in Africa che nel Sud Est Asiatico.
Secondo lei quali obiettivi si realizzeranno da qui al 2015?
Non saprei, è troppo difficile fare previsioni. Ciò che mi preme piuttosto è sapere se siamo sul giusto sentiero di aggiustamento, non se arriviamo davvero ad un numero che è comunque scelto in modo arbitrario. Bisogna guardare allora alla direzione e alla velocità di avvicinamento. E poi bisogna preoccuparsi se, come nel caso dei paesi fragili, si inverte una tendenza. Il fatto che la povertà in questi paesi sia aumentata è molto grave.
Come crede che vengono percepiti gli Obiettivi del Millennio dalle popolazioni del Sud del mondo che ne sono direttamente coinvolte?
Le popolazioni del Sud del mondo non sono interessate ai nomi o ai singoli obiettivi (alcuni per loro sono più importanti di altri, ma dipende tutto dal paese, dalla zona, dalle persone, dal sesso, dalle etnie…) ma al fatto che migliori la qualità della vita nei loro paesi, che diminuiscano le situazioni critiche di povertà, che si risolvano situazioni di mancanza di servizi essenziali (educazione, acqua, sanità..). Io credo che se si accorgono che l’attitudine dei donatori è costruttiva, su livelli paritetici e non imposta dall’altro, la percezione possa essere buona.
Olga Solombrino
Parole chiave : africa sub sahariana, crisi, giorgia giovannetti, Obiettivi del Millennio, rapporto europeo sullo sviluppo, screens, social protection, sviluppo
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Segnaliamo l’invito rivolto ai giovani a partecipare al Festival PLURAL +, inviando materiale video sugli argomenti della migrazione, della diversità e dell’inclusione sociale.
Il festival, organizzato dall‘Alleanza delle Civiltà delle Nazioni Unite (UNAOC) e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), ha l’obiettivo di stimolare l’impegno dei giovani verso queste tematiche importanti sia a livello locale e globale, diffondendo le loro voci attraverso una varietà di piattaforme media e reti di distribuzione (broadcast, festival di video, conferenze, eventi, Internet, DVD) in tutto il mondo.
I giovani tra i 9 e i 25 anni sono invitati a presentare brevi video della lunghezza massima di cinque minuti, che dovranno esprimere la personale percezione dei partecipanti, e le proprie esperienze, domande e suggerimenti in tema di migrazione, diversità, integrazione e identità, mettendo in luce le loro idee su come creare una convivenza pacifica in diversi contesti culturali e religiosi.
Una giuria internazionale selezionerà tre vincitori nelle tre fasce di età, che saranno invitati a New York per la cerimonia di premiazione del Festival.
Il termine per la presentazione dei video è il 1° luglio 2011. Per tutte le altre informazioni, comprese linee guida, regolamenti, premi e modulo di iscrizione, cliccate qui.
Parole chiave : alleanza delle civiltà delle nazioni unite, Festival, Giovani, Media, media education, migrazione, organizzazione internazionale per le migrazioni, plural +, video
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Si svolgeranno dal 3 al 7 maggio a Procida, nella sede del Conservatorio delle Orfane in Terra Murata, le giornate di studio dedicate a Comunicazione e Graphic Novel dal titolo “Un ambiente fatto a strisce: alla conquista delle coscienze dei più giovani”. Alle giornate, organizzate dall’Università degli Studi di Napoli L’Orientale all’interno del progetto OASI, parteciperanno anche Sandra Federici, di Africa e Mediterraneo e coordinatrice di “Africa Comics”, che parlerà di questo progetto e dell’Africa contemporanea raccontata dai suoi fumettisti, ed anche Pat Masioni, vincitore della prima edizione del Premio Africa e Mediterraneo per il miglior fumetto inedito di autore africano e autore di Rwanda 94 (Glénat) e di un episodio di The Unknown Soldier (Vertigo/DC Comics). La partecipazione alle giornate è libera, per iscriversi o ricevere maggiori informazioni scrivere a: oasi@unior.it oppure albertomanco@unior.it.
Clicca qui per il programma completo dell’iniziativa.