09 dicembre 2010

DevDays 2010: la fiera dello sviluppo- 6/7 dicembre – Square Meeting Center, Bruxelles

L’associazione Africa e Mediterraneo ha partecipato alla quinta edizione dei DevDays, che hanno avuto luogo allo Square Meeting Center di Bruxelles, un nuovo luogo di incontro in un’ambientazione ultra moderna nel pieno centro di Bruxelles.

Uno spazio per tessere relazioni e scambiare esperienze, condividere progetti e idee sul mondo dello sviluppo e della cooperazione.

Numerose le presenze di vari enti, associazioni e attori che operano nel settore, con i loro stand e le loro brochure, pronti a spiegare i loro obiettivi, le loro azioni e le loro visioni della cooperazione allo sviluppo.

Molti i relatori delle più importanti realtà della cooperazione allo sviluppo, rappresentanze politiche, delegazioni che hanno tenuto conferenze.

Non sono mancate presenze scomode, che sono state contestate, come Paul Kagame, presidente del Rwanda.
Presente anche Jacques Chirac, ex presidente della Francia che ha presentato la sua Fondazione nella forse più attesa conferenza dell’evento.

Nel Development village, area adibita agli stand delle organizzazioni, era esposta la mostra dei giovani fotografi che hanno partecipato all’ACP Photo Competition Award, iniziativa della rivista The Courier ACP-EU organizzata concretamente da coop. Lai-momo. Obiettivo del premio promuovere giovani artisti dei paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) e dove Africa e Mediterraneo ha offerto la metà del premio per il vincitore, Chris Saunders. Venti delle più belle e interessanti fotografie del concorso facevano da cornice, circondando i divani e tavolini della Lounge Room, la sala dove i partecipanti ai DevDays si concedevano momenti di ristoro, dove si incrociavano parole in ogni lingua, si scambiavano prospettive diverse e si costruivano nuove relazioni lavorative e nuovi progetti.

L’unico dubbio che viene in mente in un evento come questo è sempre lo stesso… una certo stile da “fiera campionaria”, che forse si addice poco al mondo della cooperazione allo sviluppo. Se si considera il mondo “bruxellese” dei consulenti e delle società prestatrici di servizi che si aggiudicano piccoli o grandi appalti relativi allo sviluppo, l’impressione è di essere davanti a una delle facce del grande mercato economico, dove i DevDays sono una buona “vetrina” per mostrarsi e autocelebrarsi.

Paola Martini

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09 luglio 2010

“La carità che uccide” l’economista Dambisa Moyo a Bologna

Nouvelle image2Sono stata mercoledì 7 luglio alla Libreria Coop Ambasciatori di Bologna alla presentazione del libro La carità che uccide, dell’economista zambiana Dambisa Moyo, nell’ambito della rassegna Molteplicittà.

La Moyo è un’ottima oratrice, molto “americana” nello stile e nel modo di pensare, nel senso che ha una grande capacità di semplificare la realtà, a volte tralasciandone un po’ troppo la complessità. Minuta ed elegante, ha affascinato la platea presentando brillantemente il suo pensiero, indubbiamente molto azzeccato e difficile da confutare: siccome in Africa negli ultimi 60 anni sono stati inviati 1 trilione di dollari di aiuti e il risultato è che lo sviluppo economico è stato negativo e la povertà è aumentata, se ne deve dedurre che l’aiuto è nocivo per l’Africa.

Ha precisato che quando parla di aiuto si riferisce alla cooperazione governativa, escludendo l’aiuto umanitario e l’aiuto delle charity e delle ONG. Forse costretta dai tempi limitati di una presentazione, ha liquidato la complessa attività della cooperazione non governativa (anche nei campi della democratizzazione, dell’advocacy, dei diritti umani) nella definizione “l’aiuto che ognuno di voi può fare mandando 20 euro a una associazione o a un missionario in un Paese africano”.

Tra le cause di questo fallimento, definite da studi e statistiche, enumera la corruzione di tanti governi, il fatto che l’aiuto uccide l’imprenditoria, l’irresponsabilità dei governi africani che non devono rendere conto alle loro popolazioni del loro operato perché possono contare sull’aiuto economico e politico degli ex colonizzatori.

Insomma il mercato, il commercio, l’impresa possono essere stimolati in Africa solo se cessano gli aiuti, se si punta sul commercio, sul microcredito, sulle rimesse degli immigrati, e solo se gli Africani, governi e popolazioni, si rimboccano le maniche e imparano a fare da soli. Ha sintetizzato la filosofia dell’aiuto attraverso una definizione di George Bush, “the soft bigotry of low expectations” che indica la sfiducia nei confronti delle capacità degli Africani e dei neri, per cui se un nero è capace di avere successo e svolgere bene un lavoro ci si meraviglia.

Il suo punto di vista è strettamente economico, e tiene pochissimo in conto la cooperazione della Unione europea con i Paesi di Africa Caraibi Pacifico e altri paesi in via di sviluppo.

Ad esempio io ho fatto una domanda sui discussi Economic Partnership Agreement, che dovrebbero togliere i trattamenti preferenziali per l’esportazione in Europa dai Paesi ACP, e costringere i produttori di quest’area a combattere contro le multinazionali in un mercato totalmente libero, ma lei non ha praticamente risposto. Si è riferita all’accordo Everything but Arms dicendo che è fallito perché i Paesi occidentali si sono concentrati in base ai loro interessi su pochi Paesi e su pochi prodotti. Ma ho avuto la sensazione che non fosse molto informata sul dibattito EPA.

Comunque il suo libro ha venduto moltissimo, perché evidentemente risponde al forte bisogno di criticare l’inefficienza degli aiuti e la corruzione dei governi africani e, come mi ha detto dopo la fine dell’incontro l’attivista colombiano Manuel Rozental presente tra il pubblico, il fatto che lei, economista, di un paese come lo Zambia, poco più che trentenne e così minuta, dica queste cose chiaramente in faccia ai potenti del mondo, è semplicemente perfetto.

[Dambisa Moyo alla Libreria Coop. Ambasciatori di Bologna, foto di Michele Floresta]

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29 settembre 2009

Le seconde domande e le terze, Tiziana Ferrario intervista Frattini

La Tiziana Ferrario si è vergognata ieri sera (28 sett.) per come ha condotto l’intervista a Frattini durante il TG1 delle 20. Faceva le cosiddette “prime domande” ma non le “seconde” e le “terze”, che i maestri di giornalismo considerano quelle importanti.

Prima domanda della giornalista: “Ministro ci parli della sua adesione alla campagna AGIRE“. Risposta: “Vogliamo aiutare i popoli di Eritrea Somalia e Sudan, perché il loro futuro è anche il nostro, dobbiamo tendere una mano, facciamo già tantissimo e dobbiamo fare di più!”

La seconda domanda di una giornalista in situazione normale sarebbe dovuta essere: “Ma come può essere coerente quello che ha appena detto con i tagli alla cooperazione allo sviluppo del suo Ministero di 411 milioni: il 56% rispetto al 2008?”

E la terza: “Ma come fa a parlare di mano tesa dopo che ha difeso con entusiasmo i respingimenti dei disperati in mare voluti dal ministro Maroni?”

La Ferrario non ha nemmeno fatto la domanda diplomatica su Michelle Obama definita “abbronzata” da Berlusconi. Non ha voluto, o potuto. Però si è vergognata. Si è capito perché ha concluso con una specie di triste auto-giustificazione: “ci sarebbero tante cose da chiedere, non c’è tempo, salutiamo il Ministro Frattini…”

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