21 luglio 2021

Oltre il take-make-waste: la moda ha bisogno di una rivoluzione sociale

Che ruolo ha il settore privato nella transizione ecologica? E, in particolare, come si posiziona la moda in questo contesto? Si parlerà di questo il 4 ottobre a Lampedusa, alla giornata conclusiva della International School on Migration. 

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È diventato ormai un luogo comune associare moda e cambiamento climatico. I dati del suo impatto ambientale sono impietosi e sono la prima ragione per invocare una vera e propria rivoluzione del nostro stile di vita. Il modello lineare di produzione e consumo dei capi – il cosiddetto take–make–waste –  assorbe risorse immense, restituendo al pianeta tipologie molteplici di rifiuti che compromettono i già instabili meccanismi rigenerativi del nostro sistema antropocentrico. Il fast fashion, la moda usa e getta, alimenta comportamenti iper-consumistici che giustificano l’acquisto compulsivo di capi – e l’altrettanto compulsiva eliminazione degli stessi che avviene entro una finestra d’uso sempre più ridotta – come una risposta al susseguirsi acceleratissimo dei trend, una strategia commerciale minuziosa che arriva a immettere sul mercato – fisico e digitale – anche due collezioni in un mese. I report pubblicati da organizzazioni internazionali come la Ellen McArthur Foundation [https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/A-New-Textiles-Economy_Summary-of-Findings_Updated_1-12-17.pdf] restituiscono la fotografia di un’industria che fa ancora troppo poco per interrompere la catena dello sfruttamento. 

La pandemia ha anzi esacerbato questo modello commerciale, rendendo ancora più marcati i suoi effetti sui lavoratori e le loro geografie sociali di appartenenza. Il Sud e le periferie del mondo, che sono la fucina della moda usa e getta, hanno subito il contraccolpo dell’atrofizzazione dei consumi scatenata dal lockdown [https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/15487733.2020.1829848?needAccess=true]. La contrazione dei consumi nel Nord ha accresciuto la vulnerabilità sociale nel Sud e messo a nudo la natura sistemica dello sfruttamento in cui produttori e consumatori condividono la responsabilità del cambiamento. Inoltre, alcuni paesi del Sud fungono da discarica dell’enorme quantità di abiti gettati al sistema di consumo del fast fashion [https://www.afrosartorialism.net/2021/02/26/sustainability-files-managing-fashion-waste-in-ghana/] Come risponde il made in Italy a questo stato delle cose? In che modo l’industria leader che alimenta e confeziona da decenni il sogno di fare la differenza affronta la sfida di lasciare spazio alla differenza? Il quarto modulo della School approfondirà le pratiche di transizione sostenibile nell’industria della moda italiana, analizzando in che modo le aziende assicurano il rispetto dei diritti umani e attuano i principi etici di responsabilità verso la collettività, ricerca del benessere, giustizia e uguaglianza.  


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Beyond take-make-waste: fashion needs a social revolution

 

What is the role of the private sector in the green transition? And where does fashion stand in this context? The final session of the International School on Migration happening in Lampedusa on 4 October will address these questions. 

It is well known that fashion has a huge impact on climate change. The figures on its environmental impact are staggering, giving cause for us to call for a revolution of our ways of life. The  take – make – waste linear model of production and consumption of clothes requires immense resources, yields such quantities of material and immaterial waste that compromise the ability of our Anthropocentric planet to regenerate itself.  Fast fashion triggers hyper-consumeristic behaviours of compulsive shopping and disposing of new clothes in short spans of time, taking place in a scenario of hyper-accelerated seasonal change that sees mega retailers producing up to two new collections every month. The reports published by international bodies like the Ellen McArthur Foundation [https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/A-New-Textiles-Economy_Summary-of-Findings_Updated_1-12-17.pdf] present the picture of an industry that has not step up yet to ending exploitation. 

The pandemic has instead exacerbated this commercial model, accentuating its negative effects on workers and their social geographies. The peripheries and South of the world, where fast fashion factories are located,  have suffered the consequences of the decline of consumption that followed the lockdown of 2020[https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/15487733.2020.1829848?needAccess=true].  Moreover, a number of countries in the South of the world operate as actual landfills of the huge amount of textile waste generated by the fast fashion system [https://www.afrosartorialism.net/2021/02/26/sustainability-files-managing-fashion-waste-in-ghana/]This phenomenon originating in the richer North increased social vulnerability in the South, unveiling the systemic nature of exploitation and the shared responsibility of producers and consumers to enact change. How has made in Italy reacted to this state of affairs? How is the industry that for decades has nurtured and manufactured the dream of distinction making a difference? The fourth session of the School will examine good practices of sustainable transition in Italian fashion with respect to human rights protection, equality, workers prosperity, and social justice.

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12 marzo 2018

MYFRO 2018

«In una società che appare sempre più multietnica, spesso ci si dimentica
di quanto lo sia già stata concettualmente da sempre per
influenze d’arte, culturali e religiose. Una ricchezza per l’evoluzione della specie
e del pensiero, e che solo l’approfondimento culturale può far emergere
in tutta la sua positiva potenzialità.»
(F. Tadini e M. Scalise, fondatori della Casa Museo Spazio Tadini)

Ogni dettaglio vuole rappresentare uno specifico linguaggio ancestrale. I tessuti ricchi di simbolismi geometrici e di colori vivaci alludono ad affascinanti tradizioni. Le stesse acconciature comunicano una propria emotività o appartenenza. Anche la produzione e lo stile africano, dunque, trovano spazio come innovazione creativa ma anche come ‘argomento vendita’ nel mondo della moda. A dimostrarlo è la Afro Fashion Week, che si è tenuta a Milano dal 22 al 25 febbraio 2018: un evento che ha avuto come tema MYFRO, e che ha visto l’Africa protagonista nella sua originalità stilistica e nelle sue specificità estetiche.

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PhotoMilano – Silvia Pampallona

Questo appuntamento, che si è svolto in tre location di Milano – il Museo d’Arte e di Scienza, Spazio Tadini e Byblos Milano –  è stato organizzato dall’associazione Afro Fashion, fondata nel 2015 nella capitale della moda: si tratta di una piattaforma a forte impatto interculturale, che offre la possibilità a designers e artisti emergenti di farsi conoscere da un nuovo pubblico, di penetrare nuovi mercati, di acquisire esperienze e notorietà a livello internazionale.  Sfilate di moda, mostre fotografiche, workshop, esposizioni, body painting, performances e Afro after party sono i momenti che hanno animato queste giornate, riprese nelle foto dinamiche di PhotoMilano, mediapartner fotografico dell’evento.

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PhotoMilano – Raffaello Merli

Tra le creazioni esposte, sono spiccate quelle della giovane ChiBeKa (Togo) con la collezione ‘Ashanti’ che ha utilizzato le preziose stoffe provenienti dal Ghana; interessante è stata anche la collezione di tessuti ankara ‘Blakanda’ di Flixbry Culture (Nigeria). Altri artisti che hanno partecipato: Maison Jemann (Camerun), NatFash (Nigeria), Urban Fashion Paris (Francia), Anapenda (Italia), Amnon Kivity (Israele). Il settore della moda africana è un’industria creativa dal grande potenziale, e sta assumendo un ruolo sempre più centrale a livello mondiale. È infatti un fenomeno culturale ed economico in forte crescita, una produzione stimolante dal punto di vista del marketing, ma che consente anche di rappresentare la continua evoluzione delle società. L’evento MYAFRO è nato dall’accostamento di due parole, MY e AFRO. Per rappresentare, appunto, la disposizione Afro che ognuno di noi può avere, offrendo esempi di integrazione sociale, scambio e arricchimento reciproco: questi esempi sono elementi fondamentali per la progettazione di scenari futuri positivi di largo respiro e per la formazione di società multiculturali ricche e dinamiche.

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PhotoMilano – Silvia Pampallona 

Evento realizzato con la collaborazione di: Couleurs du Monde, Mas, Museo di arte e scienza, Casa Museo Spazio Tadini, Anapenda, Afro Italian Souls, Yuna, African Fashion Wear, PhotoMilano, Wacom4u.

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26 ottobre 2017

Una mostra afghana a Parigi

Afghanistan belongs to the history of the world
(Historian Micheal Barry)

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Quando si parla di Afghanistan in Europa, difficilmente si evoca un immaginario che sia esente da guerre, instabilità politica, intolleranza e integralismi religiosi. Dunque, perché non raccontare una storia diversa che metta in scena la prosperità di un paese in cui una generazione più giovane di donne e uomini si sta impegnando nell’imprenditoria responsabile nei settori dell’arte, della musica, della moda e della produzione video? L’Afghanistan vive una creatività straordinaria fondata su un patrimonio culturale millenario aperto alle contaminazioni. Infatti, la mostra Afghanistan Art of Fiber & the Silk Road, organizzata da Zarif Designs e Ethical Fashion Initiative, inaugurata il 24 ottobre 2017 all’Espace Cinko di Parigi, vuole dare visibilità alle diverse pratiche culturali, creative e artigianali di questo paese. Un paese che, per decenni, è stato luogo di scambio e tolleranza tra Occidente e Oriente grazie, in particolare, alla via della seta che ha permesso a popoli differenti di condividere i tessuti, le arti, le tecniche stilistiche e artigianali.

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L’eterogeneità vitale della cultura, della storia e della tradizione dell’Afghanistan, perciò, sono riproposte in Europa in una mostra che vede la presenza dell’artista francese Olga Boldyreff, la cui pratica artistica è incentrata nell’esplorazione delle relazioni interspaziali attraverso lavorazioni di maglieria, stampe e litografie cucite che ricercano punti di incontro e punti di fuga. A mostrare il prezioso lavoro di filo e tessitura c’è Rahim Walizada, rinomato artigiano afghano di tappeti, mentre il ritmo dell’evento è dato dalla poesia mistica persiana letta da Leili Anvar. È presente anche Simone Cipriani, responsabile del progetto Ethical Fashion Initiative (ITC) che promuove la moda etica e sostenibile a livello internazionale. Musiche, sapori e cocktail dalla terra afghana arricchiscono una mostra eclettica e polimorfa, che non racconta solo dell’Afghanistan, ma mette in risalto identità dell’arte e dell’imprenditoria che si fanno sempre più plurali e trasversali.

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(Olga Boldyreff)

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27 luglio 2017

Food, fashion, design: imprese creative tra Italia e Africa

Più volte la moda attinge dal ricchissimo patrimonio di colori, stampe e suggestioni del continente africano. Anche il design, in particolare l’arredamento, e la cucina si ispirano ai prodotti e alle tradizioni di un intero continente che riunisce un’incredibile varietà di climi, culture, religioni. L’Africa presenta una propria esuberanza creativa e artistica, ed è terra di origine di molte persone che oggi vivono, studiano e lavorano in Italia. Per questo motivo, possono nascere opportunità di scambio interculturale e di impresa creativa. Per identificare e approfondire queste possibilità di sviluppo di modelli di business ispirati dall’incontro tra imprenditorialità e creatività italiana e africana, a Milano nasce la prima Summer School dell’Università Cattolica del Sacro Cuore “FOOD, FASHION, DESIGN: IMPRESE CREATIVE TRA ITALIA E AFRICA”, organizzata da ALTIS (Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica, ModaCult). Il corso inizia a settembre e le iscrizioni sono aperte a chiunque sia interessato a indagare, come sostiene Emanuela Mora, Direttore Scientifico della Summer School, «le ricadute socio-economiche sia sul territorio italiano, in termini di inclusione, integrazione e ricerca di nuove opportunità di business, sia nei Paesi africani, in termini di sviluppo locale e creazione di nuove attività e posti di lavoro.»

Per maggiori informazioni sulla Summer School: http://bit.ly/2rZ5rpe

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05 luglio 2017

Nei panni dell’altro. Laboratorio di moda e arti grafiche

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Si diffondono le iniziative nel settore della moda etica per trovare concrete opportunità occupazionali ai migranti. Spesso questi progetti si pongono l’obiettivo di offrire strumenti professionali utili nel percorso d’integrazione e inserimento sociale, ma anche per creare professionisti che possano sfruttare le competenze acquisite e trovare un lavoro dignitoso in caso di rientro nel proprio paese di origine. Un gruppo di rifugiati, provenienti prevalentemente dall’Africa Occidentale, e ospiti del Centro di Accoglienza SPRAR Famiglia Amica e del CAS di Borgo Tresauro a Ragusa, sono stati coinvolti nel progetto di moda e arti grafiche Nei panni dell’altro realizzato dalla cooperativa Rel-Azioni e promosso dalla Fondazione San Giovanni Battista di Ragusa.

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Il laboratorio di pittura su stoffa e rielaborazione sartoriale è stato coordinato da Gampiero Carta, architetto e direttore creativo, in collaborazione con Loredana Roccasalva, designer siciliana molto attenta ai temi dell’etica e della solidarietà. I capi sono stati dipinti interamente a mano dai ragazzi, valorizzando il patrimonio culturale ed estetico di cui essi sono portatori, e utilizzando prevalentemente materiali di recupero, in un’ottica di consapevole sostenibilità ecologica. I modelli realizzati sono stati poi esposti a una mostra allestita presso la Chiesa del Collegio di Maria Santissima Addolorata durante il Festival delle Relazioni 2017 di Ragusa per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’intercultura, del rispetto e della valorizzazione delle differenze culturali.

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La migrazione è, infatti, un fenomeno difficile da affrontare e richiede risposte concrete: la tessitura e la sartoria, ad esempio, sono un patrimonio di attività manuali che possono essere messe all’opera per creare, non solo l’accoglienza, ma anche opportunità economiche e una qualità di vita diversa per le persone migranti. Anche la cooperativa sociale Lai-momo di Bologna segue questo percorso, attraverso il partenariato con l’International Trade Centre (Itc) delle Nazioni Unite, impegnandosi in un programma di formazione nella moda etica e nel design per i giovani immigrati. Questi progetti possono diventare un esempio e una risposta significativa al fenomeno migratorio: creare le possibilità lavorative in Europa e nei paesi di origine di chi è costretto a fuggire, significa rimettere in circolo l’economia e offrire alle nuove generazioni l’occasione per costruirsi un futuro dignitoso.

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Per maggiori informazioni: www.festivaldellerelazioni.it

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18 agosto 2016

Call for papers on “Fashion and Development in Africa” – Africa e Mediterraneo no. 85/2016

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Western interest in emerging African fashion production and creativity is on the rise. Over the last few years, the fashion world has welcomed a plethora of talented African fashion designers to the international stage, each with their own interpretation of contemporary African creativity. To gain worldwide recognition in the fashion “field” (P. Bourdieu, Le champ littéraire, «Actes de la recherche en sciences sociales», No. 89/1991), these new fashion designers make smart moves in a competitive and globalised environment where the access of new creators is facilitated by digital and social media: places where idea-hunters are constantly searching for innovation.

As the anthropologist Giovanna Parodi da Passano claims, a dress is, in Africa, “an area of moving creativity, that maintains a lot of historical continuity and open spaces to the News showing a extraordinary dynamism” (G. Parodi, African Power Dressing, Genova 2015). The sensorial pleasure and the creative use (including recycling practices) of decoration, clothing and textiles of the social and esthetical African worlds represent a mix of ideas, images and meanings that Western creators are growingly becoming more attracted to. The combination of trends and modernity with cultural or traditional clothing (relating to clothes worn during family ceremonies) and the so called ’African code’, produces a style that attracts the interest of many, referring to “clothes manufactured with African textiles and patterns or other garments that express the African cultural identity” (L. Cassina, Scelte creative: abbigliamento e agency nel Buganda contemporaneo, in African Power Dressing, cit.). Craftsmanship is another important aspect when dealing with African fashion, as handcraft is recognized worldwide for its authenticity and uniqueness.

Many international organizations and foundations work to connect the mainstream fashion sector with creators and artisans from Africa and other marginalised parts of the World, aiming to empower people and involve them in the fashion supply chain. The outcome of this is a unique and innovative connection between two very distant fields: development and fashion, as illustrated by the Ethical Fashion Initiative of the International Trade Centre (a joint agency of the World Trade Organisation and United Nations). The principles of ethical enterprise, ethical trade and socially-responsible business development lay at the core of such synergy, the necessity for which is more paramount than ever following the Rana Plaza disaster in 2013 and corruption in Africa, which Transparency International has repeatedly ranked as one of the most corrupt continents in the world.

African intellectual and business diaspora networks support the innovative practices of ethical fashion production and promote the new relationship between development and fashion. In addition, the global fashion market is highly fascinated by these experiences, because, as claims the famous head-hunter Floriane de Saint-Pierre: “innovation and sustainability shall and will become key, so talent with such skills will be needed”. Ethical production agencies also provide experiences for big brands, that are crucial in order to “interact with the audience in a seamless manner, with empathy and individuality” (Conversation with Simone Cipriani, in The Hand of Fashion, N. 2).

Issue 85 of the Africa e Mediterraneo journal aims to tackle the challenges experienced by emerging African fashion talents and the concepts of equity, dignity and sustainability in a system that has only recently opened its doors to such values. In line with the multidisciplinary tradition of the journal, the contributions draw on anthropology, linguistics, economy, cultural studies and many more subjects with the aim of offering a detailed analysis of the methods and experiences of “ethical fashion” implemented in Africa. This will shed light on its theoretical and practical position in the global market, which continues to become more competitive by the day. Lastly, the journal will account for the ways in which such new business strategies impact the diverse cultural practices of the African continent and on the development patterns that have been implemented for decades.

Deadline for submission:

The proposals (max. 400 words) must be submitted no later than October 10th 2016, and must be emailed to s.federici@africaemediterraneo.it and c.mara@africaemediterraneo.it

The editorial staff will examine the proposals. If the proposal is accepted, the complete article with the related abstract (abstract max. 100 words) and a short biography of the author should be submitted by November 20th 2016.

Africa e Mediterraneo is a peer reviewed journal.

The articles and the proposals can be submitted in the following languages: Italian, English and French.

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01 agosto 2016

Una sera in giardino a Lama di Reno

Incontro a Lama di Reno

Porte aperte mercoledì sera al Polo formativo e di accoglienza di Lama di Reno (Marzabotto), nel quale sono ospiti alcuni richiedenti asilo che seguiranno un percorso formativo nell’artigianato http://www.laimomo.it/a/index.php/it/altre-notizie/271-apre-il-polo-formativo-di-lama-di-reno. Dalle 18 alle 20, i cittadini di Marzabotto e tutte le persone interessate hanno potuto partecipare a un incontro-aperitivo nel giardino della struttura di accoglienza, inaugurata da pochi giorni con l’arrivo dei primi ospiti. Conoscersi era infatti lo scopo principale della serata e così è stato: gli abitanti di Lama di Reno hanno potuto incontrare personalmente i loro nuovi vicini di casa e viceversa, così come hanno potuto parlare con gli operatori che lavorano alle varie attività legate all’accoglienza e alla formazione e visitare il laboratorio.

L’incontro era organizzato con una decina di picc   oli gruppi di operatori e ospiti che, dislocati in vari punti del giardino e della sala laboratorio, erano a disposizione per dialogare con le singole persone, le famiglie e gli amministratori locali presenti. Ogni gruppo era dedicato a un argomento specifico: la procedura per la domanda di asilo, il supporto sanitario, l’insegnamento dell’Italiano, l’attività di cura del giardino, la cucina e i menù, l’attività di volontariato, l’inserimento nel mondo del lavoro e naturalmente il progetto di Lama di Reno di formazione alla produzione in pelle per la moda. Gli intervenuti hanno così potuto fare domande su diversi aspetti del progetto e in generale sull’attività di accoglienza.

Alla serata ha collaborato Radio Frequenza Appennino, che ha organizzato un DJ Set basato sull’esperienza di Folilà, la trasmissione prodotta insieme a richiedenti asilo del Distretto di Porretta Terme. Ognuno degli ospiti aveva scelto la propria canzone da trasmettere, e così si sono ascoltati brani di Yussou N’dour, Ali Farka Touré, Alpha Blondy, mentre un giovane del Burkina Faso inaspettatamente ha scelto Oh Sole mio, da lui scoperta durante una lezione di Italiano.
Infine, il musicista Kalifa Koné ha suonato dal vivo il suo strumento, la Kora, facendo risuonare le musiche del Mali tra le colline dell’Appennino.

Tra un bicchiere di prosecco, una pizzetta e una chiacchiera, con i bambini che giocavano a nascondino nel giardino, le due ore sono passate in fretta e le persone sono andate a casa con qualche informazione in più, mentre gli ospiti sono rimasti a mettere in ordine, con la consapevolezza di avere forse cominciato stringere qualche nuova conoscenza.

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26 luglio 2016

Apre il polo formativo di Lama di Reno!

 

Simone-Cipriani

Il 16 luglio è stato aperto a Marzabotto il Polo sperimentale di formazione e accoglienza promosso dalla cooperativa Lai-momo e da Ethical Fashion Initiative, il programma dell’agenzia delle Nazioni Unite “International Trade Centre”.

Il progetto è nato per offrire un’opportunità di formazione laboratoriale nel settore della moda a un gruppo di richiedenti asilo accolti presso diverse strutture dell’area metropolitana bolognese. L’idea è di avviare un’esperienza formativa e produttiva, integrando ai servizi di accoglienza percorsi di qualificazione professionale e occasioni di impiego, in Italia e, in caso di volontà di rientro, nei Paesi di origine, dove il programma delle Nazioni Unite ha in corso differenti produzioni.

Ethical Fashion Initiative, infatti, a partire dal 2009 porta grandi stilisti internazionali, come Vivienne Westwood e Stella McCartney, a produrre parte delle loro collezioni in Africa e ad Haiti. Il progetto garantisce standard di lavoro etici in tutta la filiera lavorativa, che impiega principalmente donne. Attraverso il proprio lavoro e i salari giusti ricevuti, le lavoratrici e i lavoratori hanno la possibilità di accedere al sistema sanitario nazionale e di garantire l’accesso all’istruzione ai propri figli.

La collaborazione tra Ethical Fashion Initiative e Lai-momo ha avuto inizio alla fine del 2015 con Generation Africa: nella cornice di Pitti Immagine Uomo hanno sfilato sulla passerella le creazioni di quattro stilisti africani e, tra gli indossatori professionisti, sfilavano 3 richiedenti asilo “bolognesi” selezionati in base all’altezza e all’aspetto fisico.

In questi giorni il primo gruppo di ospiti si è trasferito nella struttura: si tratta di persone provenienti da Pakistan, Senegal, Bangladesh, Guinea, Burkina Faso e di età compresa tra i 19 e i 30 anni. Alcuni di loro hanno esperienze pregresse come sarti nel Paese di origine o hanno imparato a tessere prodotti di abbigliamento durante il periodo trascorso il Libia.

Durante l’inaugurazione, il Sindaco Romano Franchi ha spiegato come il progetto, senza oneri per il Comune di Marzabotto, possa contribuire al percorso di riqualificazione della frazione e ha ricordato come le colline che circondano Lama di Reno hanno visto uomini e donne attivi contro l’occupazione nazista che aveva alla base un’ideologia razzista.

Macchina da cucire

Andrea Marchesini ha affermato: “Non è un progetto facile, perché ha una componente di innovazione molto forte. Ci sono state alcune critiche, e a criticare si fa presto. Noi, intanto, abbiamo investito e lavorato perché oggi si potesse aprire: vorremmo davvero che si creassero occasioni di incontro con la comunità locale e per questo proponiamo di realizzare attività di socializzazione con i cittadini e di volontariato per la manutenzione del territorio.”

All’evento ha partecipato, oltre al vicesindaco della Città Metropolitana di Bologna Massimo Gnudi, la deputata Marilena Fabbri, che ha sottolineato l’interesse dal punto di vista nazionale di questa sperimentazione. Il responsabile dei progetti di Cultura e Sviluppo della Commissione europea Giorgio Ficcarelli, arrivato quella mattina da Bruxelles, ha spiegato che “la Commissione dedica una grande attenzione allo sviluppo dei paesi emergenti, ed è fortemente interessata al monitoraggio di questo percorso.”

Infine, il direttore di Ethical Fashion Initiative, Simone Cipriani, in un “vulcanico” intervento ha illustrato l’iniziativa da lui fondata, il successo che ha riscosso presso grandi stilisti e, di conseguenza, le ricadute positive per le popolazioni locali. Ha poi richiamato lo spirito del progetto di formazione alla Lama, ricordando che l’Africa è un continente popolato da giovani, e i giovani, che guardano al futuro, non potranno essere fermati da nessun muro, mare o politica migratoria se non si creeranno le condizioni perché essi stessi possano costruire un futuro dignitoso.

Ora, con i primi richiedenti asilo, comincia l’inserimento nella comunità della Lama. La prossima settimana, mercoledì 27 luglio dalle 18 alle 20, si terrà una serata di incontro/aperitivo nel parco della struttura, per cominciare a conoscersi davvero.

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07 marzo 2016

L’Ethical Fashion Initiative sul palcoscenico

Andrew Ondrejcak - ELIJAH GREEN Costumes

Dopo il Pitti Show a Firenze a gennaio 2016, in cui alcuni richiedenti asilo ospiti nei centri di accoglienza della città metropolitana di Bologna avevano sfilato assieme ai modelli per presentare le creazioni di 4 designer africani, l’ITC Ethical Fashion Initiative continua a valorizzare i nuovi talenti della moda del continente africano: ha infatti stretto una collaborazione con lo scrittore, regista e designer statunitense Andrew Ondrejcack per la realizzazione dei costumi per la sua ultima pièce teatrale, intitolata EJIJAH GREEN.

Andrew Ondrejcack e l’Ethical Fashion Initiative si sono recati ad Haiti, in Burkina Faso e in Mali per incontrare gli artigiani che hanno realizzato costumi, gioielli e scenografia per lo spettacolo. In Burkina Faso, Andrew Ondrejcack ha scoperto una fabbrica di tessuti fatti a mano da donne; in Mali ha ricevuto un corso nell’arte del bogolan dal maestro artigiano Boubacar Doumbia. Ad Haiti invece, il regista ha avuto l’opportunità di fare conoscenza con una grande varietà di artigiani per procurarsi cappelli, accessori di carta pesta, tamburi in metallo fatti su misura, e molte altre cose ancora. ITC Ethical Fashion Initiative ha anche fornito articoli di gioielleria tradizionale kenyana Masai e di artigianato kenyano.

ELIJAH GREEN sarà rappresentato per la prima volta il 10 marzo presso The Kitchen, a New York.

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15 gennaio 2016

Richiedenti asilo sfilano a Pitti Immagine Uomo

 

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AKJP, Finale “Generation Africa”. © Giovanni Giannoni

Si è tenuta ieri a Firenze, nella cornice di Pitti Immagine Uomo 89, una sfilata molto particolare: Generation Africa. Sulla passerella le creazioni di quattro brand africani – AKJP (Sudafrica), Ikiré Jones (USA/Nigeria), Lukhanyo Mdinigi x Nicolas Coutts (Sudafrica) e U.Mi-1 (Nigeria/UK) – e tra i modelli tre richiedenti asilo.

Generation Africa nasce dalla partnership tra Fondazione Pitti Discovery e ITC Ethical Fashion Initiative, progetto creato per sostenere le capacità dei micro-imprenditori africani e le reti del settore “moda”. Con l’obiettivo di promuovere giovani e talentuosi fashion designer africani e per mostrare l’irrompente energia creativa del continente nell’ambito della moda, Generation Africa si è avvalso della collaborazione con Lai-momo soc. coop., società cooperativa italiana impegnata in progetti di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo.

Lo scorso dicembre, infatti, è stata presentata alle persone accolte nelle strutture di accoglienza nel territorio bolognese gestite da Lai-momo la possibilità di partecipare a una selezione per le sfilare nell’ambito dell’Ethical Fashion Initiative. Alcuni ospiti hanno aderito e hanno partecipato al casting tenuto da talent scout di agenzie di modelli e dell’EFT: sulla base dell’altezza e dell’aspetto fisico ne sono stati selezionati cinque. Questi ragazzi, che hanno dai 19 ai 27 anni, vengono da Mali e Gambia e nei loro paesi erano contadini, muratori, camerieri o commercianti. Quasi tutti sono in Italia da maggio 2015, vivono nei centri di accoglienza in Provincia di Bologna e alcuni di loro fanno volontariato nei territori di accoglienza, in attesa di portare a termine le procedure di richiesta d’asilo. Fin dal primo momento si sono resi conto di avere l’opportunità di mettersi in gioco in una situazione professionale a cui non avevano mai pensato.

Durante le prove, i tre richiedenti asilo erano visibilmente emozionati e anche un po’ insicuri, ma alcuni dei giovani modelli professionisti che sfilavano con loro li hanno rassicurati e incoraggiati, dando loro anche piccoli suggerimenti pratici per camminare al meglio sulla passerella. Nella concitazione che domina il backstage durante le sfilate, se la sono cavata benissimo e sono usciti rispettando i tempi, sfilando sotto i riflettori tra le due ali di pubblico e stampa internazionale che affollavano lo spazio della Dogana di Via Valfonda.

“È stata una grande opportunità, ma non ci montiamo la testa”, hanno commentato i tre neo-modelli. “La cosa che ci ha fatto più piacere è stata la gentilezza con cui tutti, dagli stilisti ai professionisti che organizzavano la sfilata, ci hanno trattato”.

Ma il progetto non finirà qui. Infatti, ITC e Lai-momo hanno deciso di continuare a collaborare per sviluppare le capacità economiche dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia, nell’ambito della sartoria e delle confezioni, per consentire loro di sviluppare capacità e competenze spendibili sul mercato e contribuire in questo modo all’economia dei loro Paesi d’origine, direttamente o indirettamente attraverso le loro rimesse, o dei Paesi europei in cui sono ospitati.

 

 

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