22 aprile 2011

Jadaliyya, e-zine sul mondo arabo

in: Cultura

Per leggere interessanti analisi sulle attuali evoluzioni sociali e politiche del mondo arabo, consigliamo di visitare Jadaliyya, Jadaliyya, una e-zine indipendente di recente nascita, prodotta dall’ASI (Arab Studies Institute), una rete di scrittori legati all’ Arab Studies Journal.

Si tratta di una rivista di taglio semi accademico, che cerca di far luce, in modo critico, sugli avvenimenti che riguardano il mondo arabo, cercando di combinare le conoscenze accademiche con uno sguardo interno e partecipativo. I post vengono pubblicati in due lingue: arabo e inglese, per raggiungere un pubblico anche al di là del mondo arabo, e il valore aggiunto sta proprio nel punto di vista “interno” dato che la maggioranza degli autori sono di origine araba.

Jadaliyya vuole rispondere all’esigenza di rimettere in discussione il “mondo arabo” o il “Medio Oriente”, interpretandoli come luoghi e spazi costituiti e abitati da comunità, e non solo come oggetti della politica estera o di ricerca sociologica.

Il sito, sviluppato per sezioni (reports, reviews, photo essays, interviews, culture), dispone anche di un’utile e stimolante mappa interattiva attraverso la quale, con un clic sul paese prescelto, è possibile accedere a tutti gli articoli relativi.

In questi giorni sono avvenute sul sito importanti discussioni sulle recenti rivolte arabe, e sui tentativi di “mitologizzazione” che si suppone possano arrivare da un occidente che ancora una volta cerca di imporre la sua visione degli eventi. Si parlava infatti del termine “risveglio arabo” usato nell’ultimo periodo più come richiamo fascinatore che come analisi storica concreta ed efficace, e si faceva notare come i racconti della rivoluzione fossero caratterizzati da una “romanticizzazione” orientalistica dei rivoltosi egiziani, descritti attraverso canoni più o meno tradizionalmente legati alla società occidentale: internet, l’istruzione, il pacifismo…

Certo il discorso è ben complesso, ma dalla vivacità delle discussioni e dei commenti che ne sono scaturiti sul sito, si comprende quanto la necessità individuata dagli autori di Jadaliyya sia tutt’altro che astratta.

Questa settimana Jadaliyya ha lanciato anche una sezione riguardante la cultura. Jadaliyya cerca di supportare le differenti espressioni culturali in una vasta varietà di luoghi e contesti, media e generi. A questo scopo ha lanciato una richiesta aperta a tutti per poter contribuire sui temi della letteratura, del teatro, musica, cinema, arti visuali e design, fotografia, TV, radio, videoarte, social media ed Internet.

Olga Solombrino

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21 aprile 2011

Re-mix un laboratorio di graphic journalism realizzato da Africa e Mediterraneo

Pubblichiamo online il lavoro degli studenti che hanno partecipato al nostro laboratorio di graphic journalism realizzato all’interno del progetto SeiPiù all’Isart Istituto d’Arte F. Arcangeli di Bologna. Fateci sapere cosa ne pensate.

Progetto finanziato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

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19 aprile 2011

Migranti e rimesse: una nuova chiave per lo sviluppo. L’esperienza del progetto SME

In Italia – forse in questo periodo più che mai – manca un terreno fertile per dialogare di migrazione partendo da angolature differenti. Eppure da più parti si sottolinea la necessità di andare oltre i classici stereotipi e cominciare a considerare tutte le dimensioni del fenomeno migratorio, magari a partire dalla sua importante funzione economica.

Le rimesse rappresentano il modo con cui i migranti iniettano risorse sui mercati del proprio Paese di origine. A differenza del passato, in cui ciò che riguardava migrazione non veniva associato ad alcun concetto di sviluppo, si assiste oggi ad un’inversione di tendenza e si guarda alle rimesse come elemento in grado di agire sulla disuguaglianza, sul mercato del lavoro, e sulla stratificazione sociale dell’area di origine.

Le rimesse, nonostante abbiano subito una decrescita a causa della crisi finanziaria degli anni scorsi, rappresentano ormai una fonte finanziaria globale e di crescita economica per diversi paesi, il cui potenziale purtroppo non è ancora pienamente sfruttato.

Queste infatti, proprio per loro genesi, rimangono spesso attaccate a dinamiche familistiche di piccola solidarietà e mantenimento, e con difficoltà riescono a distaccarsene e trasformarsi in investimento per il futuro, base per il ritorno produttivo in patria. Ciò risulta causato da molteplici fattori, in primo luogo l’attaccamento alla tradizione, che diventa alle volte un vincolo troppo forte, ma anche e soprattutto la difficoltà, da parte di un cittadino straniero, di comprendere le opportunità dei suoi investimenti e di entrare in contatto con la complicata burocrazia bancaria.

È nato da qui il progetto SME: Support Migrants’ Entrepreneurship, lanciato da Veneto Lavoro, co-finanziato dall‘IFAD- International Fund for Agricultural Development in collaborazione con Veneto Banca, Regione Veneto, Banca Etica, Consorzio Etimos e Fundatia Dezvoltarea Popoarelor Prin Sustinere Reciproca (Romania), e che dal 2009 opera in Veneto, Romania e Moldova.

Esso si focalizza sulla “diaspora imprenditoriale” come fattore che contribuisce alla creazione di lavoro e allo sviluppo socio-economico delle nazioni di origine e di destinazione.

Lo scopo del progetto è infatti quello di porre le basi per la creazione di un ambiente sociale e finanziario favorevole alla capitalizzazione delle risorse migranti, e che le sostenga in prospettiva dell’avviamento di un progetto imprenditoriale al momento del ritorno nel Paese d’origine.

Questo può contribuire a uno sviluppo più sostenibile, in grado di favorire la lotta alla povertà, soprattutto nelle zone rurali.

Attraverso un network transnazionale che offre conoscenze e strumenti bancari per facilitare il trasferimento di rimesse e risparmi, e la creazione di un fondo di garanza affidabile, il progetto si propone di fornire assistenza tecnica a tutti coloro che vorrebbero aprire un’attività imprenditoriale nella madrepatria, e che fino ad ora non ci sono mai riusciti, per scarsità di conoscenze, fondi e alfabetizzazione finanziaria. Non solo denaro quindi, ma anche circolazione delle conoscenze e soprattutto braingain, ovvero sfruttare il potenziale delle conoscenze formate nella diaspora, rimettendole a disposizione per progetti che possano creare sviluppo in patria. Si sviluppa così un modello di sviluppo circolare in cui il momento della migrazione può diventare una risorsa ed un valore aggiunto, un passo per realizzare progetti più ampi, piuttosto che essere relegato unicamente a via di fuga verso una speranza indefinita.

La conferenza finale, che si è tenuta al Comitato delle Regioni a Bruxelles il 5 aprile scorso, ha presentato i principali risultati e le lezioni apprese nei due anni di esperienza. In particolare è stato dato rilievo all’importanza della governance locale ed al coinvolgimento degli attori regionali, che, insieme ad un coordinamento multi-livello, diventano il perno su cui poggiare la trasformazione delle dinamiche migratorie in un fattore positivo e vincente, sia per le aree di origine e che per quelle di destinazione.

Il progetto ha raccolto il favore di molti neo-imprenditori rumeni e moldavi, ed è stato giudicato positivamente anche da altre comunità di migranti. Le problematiche connesse alla difficoltà di tradurre le rimesse e i risparmi in investimenti sono infatti condivise da tutte le comunità, e si rende sempre più necessaria l’introduzione di meccanismi che agevolino l’accesso dei migranti alle strutture finanziarie e che li supportino nelle stesure dei business plan, o dream plan, come quelli citati da Charito Basa del Filipino’s Women Council.

Il progetto, in chiusura nella primavera del 2011, ha finora finanziato idee imprenditoriali che hanno concorso in due categorie: “Eureka” e “Imprenditore nato”, e non c’è che confidare nell’ottima riuscita di queste attività e nel proliferare di nuove.

Simili al progetto SME, esistono altri progetti in Italia, diretti ad altre comunità migranti, come ad esempio quella senegalese. E’ il caso infatti del PLASEPRI: Platforme d’appui au secteur prive et a la valorisation de la diaspora senegalaise en Italie, una piattaforma di supporto agli investimenti dei senegalesi della diaspora avviata dal Governo italiano e da quello senegalese. Il programma assicura sostegno finanziario e assistenza tecnica allo sviluppo del settore privato valorizzando il potenziale economico della comunità senegalese in Italia, la più grande nella diaspora del Paese africano.

A questa piattaforma è poi collegato il nostro progetto Investir au Sénégal, volto a realizzare uno dei 5 “Punti informativi e di raccolta PLASEPRI” che aiutino gli imprenditori interessati presenti in Italia a inviare le proprie idee progettuali.

Il progetto copre le regioni Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna ed ha l’obiettivo di fornire informazione sulle strategie di sviluppo economico del Senegal, le opportunità di business e sensibilizzare i potenziali imprenditori senegalesi residenti in Italia e italiani sulle opportunità date dal programma PLASEPRI, nonché di realizzare un’attività di accompagnamento e assistenza nella compilazione di progetti eleggibili.

Oltre al PLASEPRI è stato da poco avviato anche il progetto Su.Pa. – acronimo di Successful paths, supporting human and economic capital of migrants, che si propone di sostenere i percorsi di “ritorno produttivo” dei migranti senegalesi nel proprio Paese di origine, in particolare nella regione senegalese di Kaolack, cercando di rafforzare la cooperazione istituzionale nel campo dell’immigrazione tra le Regioni di origine e di destinazione coinvolte nel progetto, sradicare le difficoltà che presenta l’accesso al credito per i migranti e promuovere percorsi innovativi per sostenere il ritorno del capitale umano ed economico in Senegal.

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11 aprile 2011

A giugno ad Arezzo la seconda edizione della scuola di leadership per immigrati di seconda generazione

Fondazione Ethnoland, in partnership con la Bosch, organizza per il secondo anno consecutivo Talea, la scuola di leadership per giovani immigrati di seconda generazione e non. Le opportunità offerte ai nuovi talenti selezionati saranno molteplici, in primis l’occasione di frequentare lezioni con docenti esperti nell’ambito di moduli innovativi quali self marketing, carisma e stile di leadership, team building. Inoltre ci sarà la concreta opportunità di conoscere e sostenere colloqui con il network di aziende motivate ed orientare al Diversity Management.

Talea costituisce anche l’opportunità di vivere un’esperienza “unica”, conoscendo e confrontandosi con talenti provenienti da tutte le parti del mondo, nel contesto dei boschi di Casentino in Toscana nella Provincia di Arezzo.

Le iscrizioni, da effettuare tramite l’invio di CV in formato Word/Pdf sulla casella email cv@taleaweb.eu, scadono il giorno 30 aprile 2011.

Il corso si terrà dal 2 al 12 giugno 2011.

Per ulteriori informazioni o chiarimenti potete rivolgervi a: FONDAZIONE ETHNOLAND, via Settembrini 60, 20142 Milano, Tel. 02/97382866, o consultare il sito di Talea.

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07 aprile 2011

Ucciso Juliano Mer Khamis, fondatore del Freedom Theatre a Jenin

Probabilmente, al di fuori dei confini mediorientali, il nome di Juliano Mer Khamis sarà familiare a pochi. Eppure la sua attività e il suo impegno lo hanno reso uno di quei personaggi importanti, di quelli che si sono sempre battuti per rendere la società palestinese meno conflittuale.

Attore di teatro e di cinema, nato dall’unione di un’israeliana, Arna Mer, e di un palestinese cristiano, Saliba Khamis, è stato ucciso tre giorni fa con cinque colpi d’arma da fuoco, sparati da un uomo a volto coperto. Si trovava proprio fuori dal suo Freedom Theatre, la scuola di teatro che aveva fondato nel 2006 nel campo profughi di Jenin, e che poi sarebbe diventata uno dei più importanti luoghi di produzione artistica e culturale indipendente nei Territori Occupati.

Il suo teatro, rivolto ai bambini del campo profughi di Jenin, era diventato già un importante centro culturale negli anni Ottanta, grazie all’attività della madre Arna, a cui aveva dedicato proprio il documentario che lo aveva reso famoso Arna’s Children. Juliano aveva aiutato la madre a realizzare il suo sogno di creare una giovane compagnia di ragazzi, lo Stone Theatre, seguendone il percorso formativo attraverso la macchina da presa. L’intenzione del teatro era di rappresentare per questi ragazzi una via di fuga, aiutandoli ad esprimere le loro rabbie quotidiane, le frustrazioni, l’amarezza e la paura. Ma il sogno di progettare una vita alternativa alla violenza per questi ragazzi si è scontrato con la realtà della seconda intifada e dell’occupazione, e così anche i piccoli bambini di Arna hanno preso parte alla lotta per la resistenza contro l’occupazione dei territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano, alcuni di loro rimanendovi uccisi.

Fondare nel 2006 il Freedom Theatre all’interno del campo è stato per lui un gesto d’arte, d’amore ma anche di rivoluzione. Aprire uno spazio artistico in un luogo di estrema chiusura e marginalizzazione come un campo profughi non poteva essere un’impresa semplice. Il primo passo era quello di ribaltare l’idea che nei campi si aveva del teatro, cercando di costruirne un’idea differente nella mente degli abitanti, e renderli predisposti all’accoglienza. E poi, con le sue parole: “Il teatro è solo una scusa, noi facciamo arte in genere: scrittura creativa, photoshop, computer, fotografia, psicodramma, realizzazione di film, terapia teatrale. Non siamo il teatro nel senso tradizionale, usiamo tutti i mezzi dell’arte prima per comunicare con il mondo, poi per ricostruire l’identità perduta. Chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa pensiamo? Perché siamo in questa situazione? Quale tipo di indipendenza vogliamo e come possiamo costruire identità senza cultura? Altrimenti si creano tanti soldatini. La ricerca dell’identità può avvenire solo tramite l’attività culturale. C’è bisogno di un riflesso di se stessi. È così che si costruisce il sé: riflettendo se stessi su uno schermo, nelle pagine di un libro, creando un dibattito, un dialogo. Combattere la tradizione è combattere l’occupazione.” *

Insegnare la creatività e l’indipendenza ai più piccoli, alle nuove generazioni, svincolarle dai legami tradizionali che agiscono come scudo rispetto alla situazione di marginalità e occupazione. “Questa è la vera lotta contro l’occupazione. Perché, ciò che l’occupazione sta facendo è distruggere la società. Costruire sulla base non della tradizione e della religione, ma della libertà, di strutture democratiche, di un alto livello educazione e della libera opinione, della cultura. Questa è la forza.

Già negli ultimi due anni il suo teatro e lui stesso erano stato ripetutamente minacciati e attaccati, soprattutto dopo la scelta di portare in scena un testo difficile come La fattoria degli animali di Orwell. Non solo l’offensiva israeliana nella West Bank è stata sempre più forte, ma il teatro, rappresentando una realtà di rottura con alcune tradizioni locali non poteva certo essere di gradimento ai più conservatori di Jenin.

Ma queste minacce non avevano scalfito la sua attività, e aveva continuato ad usare la forza pacifica del suo teatro, anche se di rottura ed opposizione, per creare percorsi di resistenza e liberazione. Embletica fu la frase che pronunciò durante l’accoglienza alla Carovana di Sport sotto l’Assedio del 2009: “We’re going to start a new intifada by poetry, theater, art, humans rights, pacific demonstrations against the wall. Questo vogliamo costruire. Questo è quello che Israele non può uccidere.

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06 aprile 2011

Sbarchi di migranti: finalmente il permesso temporaneo a fini umanitari

Oggi finalmente il Presidente del Consiglio firmerà il decreto che consentirà il rilascio del permesso temporaneo a fini umanitari a tutti i tunisini già approdati in Italia. Riteniamo che  questa soluzione consenta di fornire una risposta diretta, immediata e perfettamente adattabile alla problematica. Il permesso di soggiorno temporaneo è, infatti,  uno strumento che il nostro ordinamento già prevedeva e pensato appunto per governare in modo razionale e rispettoso dei diritti fondamentali dell’uomo,  gli esodi di rifugiati che fuggono da guerre e da altre forme di violenza generalizzata. Questo consentirebbe non solo di allentare la pressione che la Tunisia sta subendo in merito al controllo delle frontiere (non dimentichiamo che sta accogliendo almeno 100mila persone in fuga dalla Libia), ma permetterebbe anche di evitare la creazione di nuove “tendopoli” che, come abbiamo purtroppo visto in passato, sarebbero portatrici di sentimenti di insicurezza con conseguenti  reazioni di intolleranza.

Qualche giorno fa l’Associazione Studi per gli Giuridici sull’Immigrazione, a cui la nostra cooperativa editrice Lai-momo aderisce, ha emesso un comunicato stampa dal titolo “Istituire la protezione temporanea è la sola via razionale per governare oggi l’esodo dalla Tunisia” che contiene anche interessanti precisazioni sugli aspetti giuridici nazionali e internazionali dell’attuale “emergenza sbarchi”.

Per il testo si veda anche il link http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1536&l=it

(Marina Frabboni)

Emergenza_Tunisia_Comunicato_Stampa_ASGI_31_marzo_2011

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01 aprile 2011

Nell’Egitto post-regime si discute il futuro dei musei

Riportiamo e traduciamo un’interessante articolo del quotidiano egiziano Ahram online, che aiuta a comprendere le dinamiche e i problemi che sta affrontando il nuovo Egitto.

Quando ieri il governatorato del Cairo ha annunciato che era stata predisposta una commissione per studiare la possibilità di demolire l’edificio del Partito Nazionale Democratico (PND) per trasformarne il terreno in un parco, archeologi e museologi hanno reagito in modo furioso.

Sebbene il terreno fosse originariamente di proprietà del museo egizio, nessuno di loro è stato interpellato per la creazione di questa commissione.

“É ora che questo terreno, che prima apparteneva al museo egizio, sia restituito”, così dichiara Tarek El- Awadi, direttore del museo egiziano, ad Ahram Online.

Racconta che dopo la rivoluzione del 1952 quel terreno fu preso dall’Egyptian Antiquites Authority e da allora è stato sempre utilizzato dai vari partiti di governo stabiliti dal regime, l’ultimo dei quali è stato il PND, che aveva condiviso lo stabile sulle rive dei Nilo con il Consiglio Nazionale per le Donne, guidato dalla moglie del Presidente Suzanne Mubarak, e con la Arab Bank.

L’edificio è stato distrutto la sera del 28 gennaio, nel mezzo dei violenti attacchi da parte dei mercenari pro-regime e delle forze di sicurezza contro i dimostranti in piazza Tahrir.

El- Awadi ha affermato che gli archeologi e i curatori del museo sono stati profondamente infastiditi dal non essere stati invitati alla discussione sul futuro di quel pezzo di terra, e ha detto che si stanno appellando al Primo Ministro Ahmed Sharaf e al Consiglio dell’Armata Suprema per far sì che questa terra torni nelle mani dei suoi proprietari originari, il Ministero per i Beni Culturali.

Egli ha negato che la terra appartenga al governatorato del Cairo, ma essa, sin da quando il museo è stato costruito, nel 1901, era parte della zona edificabile e costituiva la zona portuale del museo del Nilo in cui le navi trasportavano i monumenti dalla loro collocazione originaria a Luxor ed Aswan lì nell’Alto Egitto per esporle nel museo. Le cerimonie ufficiali di inaugurazione dell’esposizione delle mummie reali egiziani furono anch’esse organizzate lì.

El- Awadi ha proposto che dopo la demolizione dell’edificio distrutto del PND il terreno venga trasformato in un museo a cielo aperto, dove esporre alcuni pezzi della collezione del museo, le cui vetrine sono al momento stracolme. Potrebbe addirittura diventare un edificio gemello al museo, collegato da un ponte, e potrebbe diventare, sempre secondo El- Awadi, la location ideale per esporre la collezione d’oro del diciannovesimo re della dinastia, Tutankhamun.

Fonte: Ahram online, 14 marzo 2011

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