30 gennaio 2014

Lavoratrici domestiche migranti: la globalizzazione del lavoro di cura

Badanti, assistenti familiari, domestiche, questi sono i ruoli ricoperti dalla stragrande maggioranza delle donne immigrate lavoratrici. Figure diventate indispensabili per tante famiglie italiane, pilastri su cui poggia il difficile lavoro di cura nei confronti degli anziani di casa. Per approfondire questo tema presentiamo qui un estratto dell’articolo Donne migranti e cura delle persone anziane: un progetto di sviluppo di comunità, scritto da Paolo Ballarin e Tatiana Di Federico e pubblicato sul n. 79 di Africa e Mediterraneo in un dossier dedicato interamente al tema “Donne nella migrazione”.

Laboratorio di espressione artistica con donne migranti. Calderara di Reno, giugno 2008. Foto di Gail Pomare

In Italia negli ultimi anni si registra una presenza crescente di donne migranti, arrivate non solo attraverso i ricongiungimenti familiari, ma anche sole e con motivazioni legate al lavoro. Nel 2008 le donne migranti rappresentavano il 50,8% della popolazione straniera regolarmente residente in Italia, nel 2012 sono diventate il 53,1%. La femminilizzazione della migrazione ha un carattere internazionale e interessa tutti i movimenti migratori, come afferma anche il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, secondo il quale mai come negli ultimi 50 anni le donne hanno fatto parte di tale fenomeno. Dal Dossier Statistico Idos 2013 emerge un altro dato significativo: nel 2012 sono stati rilasciati il 27% in meno di nuovi permessi di soggiorno rispetto al 2011, ma questo andamento riguarda più gli uomini che le donne. Gli uomini hanno avuto un calo del 33%, le donne del 19,5%, rappresentando nel 2012 il 48,7% degli ingressi. […]

L’esperienza della migrazione e la costruzione di una nuova vita lontana dal proprio Paese di origine è profondamente diversa per uomini e donne e mette in campo bisogni e priorità differenti. Dal punto di vista di genere, l’analisi delle migrazioni delle donne che svolgono il lavoro di assistenti familiari evidenzia tre importanti aspetti: la globalizzazione del lavoro di cura, per cui gli stili di vita del cosiddetto “Primo Mondo” sono resi possibili da un trasferimento su scala globale delle funzioni associate al ruolo tradizionale della moglie – ovvero la cura dei figli e degli anziani, la gestione della casa – dai Paesi poveri a quelli ricchi; il care drain e l’esperienza della maternità a distanza, che porta le famiglie migranti a diventare una formazione sociale fluida e in continuo movimento. Le madri partono, questo genera forme di delega, di riorganizzazione dei legami familiari, famiglie transnazionali caratterizzate da profonde sofferenze e sacrifici, che talvolta nemmeno i ricongiungimenti familiari riescono a sanare. L’incontro tra madri e figli o tra coniugi dopo anni di separazione può rivelarsi infatti carico di tensioni e delusioni e al tempo stesso rischia di accentuare i conflitti rispetto a come generi e generazioni negoziano i propri ruoli e responsabilità; l’importanza delle rimesse economiche e sociali delle donne migranti, che sono la seconda fonte di finanziamento dall’estero per i Paesi in via di sviluppo, e sono usate per le necessità quotidiane, l’assistenza sanitaria e l’istruzione.

Oltre alle rimesse economiche, sono da considerare anche le cosiddette rimesse sociali, ovvero il fatto che le donne migranti inviando denaro trasmettono una nuova definizione di cosa significhi essere donna, con i conseguenti rischi di creare conflitti tra generi o generazioni, come detto in precedenza. Questo incide sul modo in cui le famiglie e le comunità considerano le donne ed è un fattore molto forte di empowerment per loro stesse e per le altre che rimangono nel Paese di origine.

Per acquistare on line il N. 79 di Africa e Mediterraneo, conoscere o acquistare i numeri precedenti, sottoscrivere un abbonamento vai al sito di Lai-momo, l’editore.

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20 gennaio 2014

Donne nella migrazione: il nuovo numero di Africa e Mediterraneo

È uscito il numero 79 di Africa e Mediterraneo con un dossier dedicato alle donne migranti. Pubblichiamo qui un estratto dell’editoriale “La pietra d’angolo”, scritto dalla Direttrice Sandra Federici.

Una donna con i propri figli all'interno di una tenda comune in un campo profughi Saharawi. Foto di Paolo Brutti.

La questione migratoria in Italia e in Europa è stata, in passato, letta principalmente attraverso una lente maschile, trascurando la dimensione femminile o relegandola a un ruolo passivo e subalterno: le donne migranti entravano nella discussione accademica in quanto mogli, madri, figlie di uomini migranti. Ora, negli studi sull’immigrazione, grazie anche all’apporto di altre discipline, in particolare dei gender studies, il genere è arrivato a occupare un rilievo non secondario. Sono numerose le ricerche che applicano questo approccio ai vari aspetti della migrazione, mettendo in luce il fatto che sempre più le donne si spostano indipendentemente dal proprio nucleo familiare, che nel percorso migratorio le donne risultano capaci di costruire difficili relazioni transnazionali e mantenere i piedi in due mondi, che è con le donne che è opportuno lavorare per ricostruire le relazioni e mettere in moto il processo circolare e reciproco della convivenza.

E’ stato rilevato che questa attenzione al genere potrebbe essere dovuta anche alla presenza negli studi sull’immigrazione di un grande numero di studiose; in ogni caso, rileviamo che al lancio del nostro appello a ricevere proposte per il dossier hanno risposto quasi esclusivamente donne, alcune ricercatrici, altre, la maggior parte, operatrici attive in progetti sociali, culturali, sanitari indirizzati a donne migranti, che hanno colto l’occasione di condividere con gli altri una riflessione sulla loro esperienza.

In Italia nel 2012 le donne erano il 53,1% del totale degli stranieri regolarmente residenti in Italia (Immigrazione Dossier Statistico IDOS/UNAR, 2013) e a livello europeo esse rappresentavano il 48,71% (Eurostat) del totale dei flussi migratori del 2011. Queste donne sono lavoratrici, studentesse, professioniste, madri di famiglia che fruiscono di servizi, intessono relazioni e negoziano quotidianamente il loro ruolo di genere in bilico tra vecchie e nuove identità. A volte sono persone in difficoltà che stanno vivendo percorsi di isolamento, sfruttamento, esclusione, violenza. […]

Napoli, Foto di Roberto Faidutti.

In questo dossier sono consegnate, da parte di chi pratica e studia il lavoro sociale partendo dalla prospettiva di genere, numerose testimonianze dirette delle donne immigrate. L’ascolto dell’altra in un rapporto paritetico è possibile se viviamo la consapevolezza della “parzialità” del nostro punto di vista, della necessità di comprendere ogni percorso individuale nella sua specificità e senza imprigionarlo in categorie universali, del fatto che il concetto-prigione dell’identità non è applicabile a soggetti che sono il risultato di un insieme di esperienze, saperi e poteri. Le donne sono la pietra d’angolo su cui si costruisce la convivenza: la loro forza e autonomia è la variabile che determina l’integrazione dell’intero nucleo familiare. E anche quando sono sole, separate dalle famiglie, esse si mostrano maestre della transnazionalità delle famiglie, del welfare, del lavoro. La dimensione della relazione è vitale, e se le difficoltà degli spostamenti e degli incontri portano a vivere una chiusura, uno scacco, essa va ricostruita, segnalando la possibilità di una relazione nuova, da vivere nella consapevolezza del proprio valore, della propria capacità di essere ponte tra culture, dell’efficacia potente dell’aiuto reciproco tra donne.

Sandra Federici

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