21 luglio 2021

Oltre il take-make-waste: la moda ha bisogno di una rivoluzione sociale

Che ruolo ha il settore privato nella transizione ecologica? E, in particolare, come si posiziona la moda in questo contesto? Si parlerà di questo il 4 ottobre a Lampedusa, alla giornata conclusiva della International School on Migration. 

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È diventato ormai un luogo comune associare moda e cambiamento climatico. I dati del suo impatto ambientale sono impietosi e sono la prima ragione per invocare una vera e propria rivoluzione del nostro stile di vita. Il modello lineare di produzione e consumo dei capi – il cosiddetto take–make–waste –  assorbe risorse immense, restituendo al pianeta tipologie molteplici di rifiuti che compromettono i già instabili meccanismi rigenerativi del nostro sistema antropocentrico. Il fast fashion, la moda usa e getta, alimenta comportamenti iper-consumistici che giustificano l’acquisto compulsivo di capi – e l’altrettanto compulsiva eliminazione degli stessi che avviene entro una finestra d’uso sempre più ridotta – come una risposta al susseguirsi acceleratissimo dei trend, una strategia commerciale minuziosa che arriva a immettere sul mercato – fisico e digitale – anche due collezioni in un mese. I report pubblicati da organizzazioni internazionali come la Ellen McArthur Foundation [https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/A-New-Textiles-Economy_Summary-of-Findings_Updated_1-12-17.pdf] restituiscono la fotografia di un’industria che fa ancora troppo poco per interrompere la catena dello sfruttamento. 

La pandemia ha anzi esacerbato questo modello commerciale, rendendo ancora più marcati i suoi effetti sui lavoratori e le loro geografie sociali di appartenenza. Il Sud e le periferie del mondo, che sono la fucina della moda usa e getta, hanno subito il contraccolpo dell’atrofizzazione dei consumi scatenata dal lockdown [https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/15487733.2020.1829848?needAccess=true]. La contrazione dei consumi nel Nord ha accresciuto la vulnerabilità sociale nel Sud e messo a nudo la natura sistemica dello sfruttamento in cui produttori e consumatori condividono la responsabilità del cambiamento. Inoltre, alcuni paesi del Sud fungono da discarica dell’enorme quantità di abiti gettati al sistema di consumo del fast fashion [https://www.afrosartorialism.net/2021/02/26/sustainability-files-managing-fashion-waste-in-ghana/] Come risponde il made in Italy a questo stato delle cose? In che modo l’industria leader che alimenta e confeziona da decenni il sogno di fare la differenza affronta la sfida di lasciare spazio alla differenza? Il quarto modulo della School approfondirà le pratiche di transizione sostenibile nell’industria della moda italiana, analizzando in che modo le aziende assicurano il rispetto dei diritti umani e attuano i principi etici di responsabilità verso la collettività, ricerca del benessere, giustizia e uguaglianza.  


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Beyond take-make-waste: fashion needs a social revolution

 

What is the role of the private sector in the green transition? And where does fashion stand in this context? The final session of the International School on Migration happening in Lampedusa on 4 October will address these questions. 

It is well known that fashion has a huge impact on climate change. The figures on its environmental impact are staggering, giving cause for us to call for a revolution of our ways of life. The  take – make – waste linear model of production and consumption of clothes requires immense resources, yields such quantities of material and immaterial waste that compromise the ability of our Anthropocentric planet to regenerate itself.  Fast fashion triggers hyper-consumeristic behaviours of compulsive shopping and disposing of new clothes in short spans of time, taking place in a scenario of hyper-accelerated seasonal change that sees mega retailers producing up to two new collections every month. The reports published by international bodies like the Ellen McArthur Foundation [https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/A-New-Textiles-Economy_Summary-of-Findings_Updated_1-12-17.pdf] present the picture of an industry that has not step up yet to ending exploitation. 

The pandemic has instead exacerbated this commercial model, accentuating its negative effects on workers and their social geographies. The peripheries and South of the world, where fast fashion factories are located,  have suffered the consequences of the decline of consumption that followed the lockdown of 2020[https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/15487733.2020.1829848?needAccess=true].  Moreover, a number of countries in the South of the world operate as actual landfills of the huge amount of textile waste generated by the fast fashion system [https://www.afrosartorialism.net/2021/02/26/sustainability-files-managing-fashion-waste-in-ghana/]This phenomenon originating in the richer North increased social vulnerability in the South, unveiling the systemic nature of exploitation and the shared responsibility of producers and consumers to enact change. How has made in Italy reacted to this state of affairs? How is the industry that for decades has nurtured and manufactured the dream of distinction making a difference? The fourth session of the School will examine good practices of sustainable transition in Italian fashion with respect to human rights protection, equality, workers prosperity, and social justice.

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07 luglio 2021

La responsabilità sociale di città e territori per l’inclusione

La prossima edizione della International School on Migration si concentrerà sulle sfide sociali della transizione ecologica per ripensare l’inclusione in chiave sostenibile. Il piano verde dell’Unione Europea pone infatti la coesione sociale come punto di partenza del passaggio al modello circolare. Per raggiungere questo obiettivo, l’Unione ha predisposto un piano di interventi che garantiranno lavoro dignitoso e integrazione economica ai più vulnerabili.

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La nuova policy della prosperità mette insieme crescita, inclusione e benessere. I confini europei e le aree ultraperiferiche dove la migrazione viene vissuta direttamente sono interessati in maniera massiccia dalle criticità dell’accoglienza e dell’integrazione, rappresentando un interlocutore imprescindibile per affrontare l’impatto economico e sociale della transizione. Qui, infatti,  già si sperimentano modelli di sostenibilità sociale che coniugano sviluppo, accoglienza e diritti umani, modelli che rendono questi luoghi laboratori di innovazione e riflessione collettiva sulle prospettive di crescita orizzontale e democratica. Il progetto “Snapshots from the Borders” [http://www.snapshotsfromtheborders.eu/], nell’ambito del quale è organizzata la Scuola, porta avanti la comprensione e attuazione degli obiettivi della crescita sostenibile SDG partendo appunto dalle esperienze delle aree di frontiera interessate dai flussi migratori e dai loro effetti socio-economici. In concerto con altre realtà europee, il progetto promuove il coinvolgimento diretto degli attori del territorio nei processi decisionali, di gestione e attuazione delle policy europee di transizione giusta.

La seconda parte della School guarderà a questi territori, analizzando il ruolo delle autorità locali e dei protagonisti dell’accoglienza nell’attuazione degli obiettivi sociali del Patto Verde europeo, con particolare attenzione alla protezione dalla povertà e dall’esclusione. Il terzo modulo, che si svolgerà in modalità online, approfondirà la conoscenza delle strategie locali di sostenibilità inclusiva, le pratiche di tutela dei lavoratori fragili – persone sottoqualificate o scarsamente qualificate – e le iniziative di responsabilità sociale attuate sul territorio. L’ultima sessione della School avrà invece luogo a Lampedusa, in presenza. Questo luogo simbolo delle complessità del progetto europeo di sostenibilità sociale è il contesto migliore per tirare le conclusioni della School e progettare insieme proposte, etiche e sostenibili, che riflettano le esigenze e le specificità dei territori e delle comunità vulnerabili che li abitano.

 

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06 luglio 2021

Il Report 2021 dell’Ufficio Europeo per l’Asilo (EASO): con la pandemia le domande di asilo sono calate di più del 30%

Il 29 giugno è stato presentato il nuovo Report annuale 2021 dell’Ufficio Europeo per l’Asilo (EASO) (https://www.easo.europa.eu/asylum-report).  L’analisi 2021 presentata da EASO si riferisce alle principali evoluzioni e trend in materia di politiche per l’asilo, sistemi di accoglienza e accesso alle procedure avvenute nell’annualità 2020.

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Il report è strutturato in 4 grandi aree tematiche. La prima sezione riporta una panoramica generale della situazione a livello globale in termini di migrazioni forzate, sfollati interni e rifugiati.

A giugno 2020, infatti, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) segnalava che vi erano circa 80 milioni di persone a rischio di migrazioni forzate, di cui la maggioranza proveniente da soli cinque paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. La prima sezione, inoltre, pone particolare accento anche su due settori specifici quali la digitalizzazione delle procedure e il reinsediamento.

La seconda sezione del report si concentra sul Sistema Comune Europeo per l’Asilo (CEAS) presentando una panoramica della sua evoluzione e concentrandosi sulla principale novità avvenuta a settembre 2020: la presentazione da parte della Commissione europea del nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo.

Già nel 2016 e nel 2018 erano state presentate proposte di riforme dell’ambito normativo in materia di immigrazione, asilo e controllo delle frontiere nell’ottica di riformulare le rispettive Direttive (“Qualifiche”, “Procedure”, “Accoglienza”, ecc.) e il regolamento c.d. “Dublino III”, tuttavia non si era trovato un accordo comune tra i vari capi di Stato e di governo per concretizzare questo ambizioso piano di riforme.

In quest’ottica, spiega il report, a settembre 2020, è stato presentato il nuovo impianto normativo che si prefigge di partire dalle proposte già negoziate negli anni precedenti, salvo per quanto riguardo il regolamento Dublino, per cui la Commissione ha ritirato la proposta precedente sostituendola con quella di un nuovo regolamento per la gestione dell’asilo e dell’immigrazione, aggiungendo a esso nove strumenti supplementari (per maggiori dettagli vedi https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/promoting-our-european-way-life/new-pact-migration-and-asylum_it).

Questa sezione fornisce infine anche una panoramica degli indirizzi giurisprudenziali in materia di protezione internazionale, presentando le sentenze emanate dalla Corte di Giustizia Europea (CJEU), organo garante per un’applicazione della normativa sull’asilo quanto più uniforme all’interno dell’UE.

La terza sezione è dedicata all’azione svolta nel 2020 da EASO nello specifico in merito al suo ruolo di sostegno ai paesi UE nella gestione e implementazione del CEAS.

Negli ultimi dieci anni di lavoro di EASO, è stato fornito un sostegno operativo a vari Stati dell’Unione, in primis la Grecia, con la quale è stato firmato il primo accordo nell’aprile 2011. Il supporto di EASO è stato fornito a Svezia, Lussemburgo, Bulgaria, Italia, Cipro, Malta e infine, nel 2020, anche in Spagna. Il 2020 è stato un anno particolarmente complesso per gli Stati UE a fronte della situazione pandemica da Covid-19, mettendo a dura prova sia i sistemi di asilo nazionali che il CEAS nel suo complesso.

Si sottolinea che proprio il giorno di presentazione del rapporto annuale 2021 di EASO, è stato raggiunto l’accordo politico tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione europea su un nuovo, e ampliato, mandato che istituisce l’Agenzia Europea per l’Asilo (EUAA), che andrà a sostituire e ad ampliare i piani operativi di EASO.

La quarta sezione rappresenta il cuore del rapporto andando ad analizzare sia in termini qualitativi sia quantitativi tutti gli aspetti del CEAS. Di particolare interesse l’impatto della pandemia da Covid-19 sulle domande di asilo e sull’accesso alle procedure.

Nel 2020 sono state presentate circa 485.000 prime domande di protezione internazionale all’interno della zona UE+ (Paesi dell’UE con l’aggiunta di Norvegia e Svizzera). Tali numeri, se confrontati con l’anno precedente, mostrano come ci sia stato un calo del 32% in termini di domande di asilo, il numero più basso dal 2013.

Il dato è ovviamente da mettere in prospettiva con le restrizioni di movimento che hanno caratterizzato l’annualità 2020 a livello mondiale, dovute alla pandemia da Covid-19: sintomatico osservare come i dati delle domande presentate a gennaio e febbraio 2020 in realtà fossero superiori rispetto allo stesso periodo dell’anno del 2019, tuttavia il peggioramento della situazione sanitaria ha provocato un brusco calo a partire da marzo 2020. Il Paese maggiormente colpito dal calo delle domande è stata la Grecia (-37.000, -48%), mentre alcuni Paesi della fascia est-europea, quali la Romania (+3.565, +138%) hanno invece testimoniato un aumento delle stesse.

Il 63% delle domande di protezione internazionale sono state presentate in soli tre paesi: Germania (122.000), Francia (93.000) e Spagna (89.000) seguite a distanza dalla Grecia (41.000) e dall’Italia (27.000). Si può quindi affermare che solo cinque paesi dell’area EU+ hanno ricevuto più del 76% di tutte le domande presentate nel 2020.

Photo ©: Martin Leveneur

Photo ©: Martin Leveneur

Le principali nazionalità di provenienza delle persone che hanno presentato domanda di protezione internazionale nel 2020 sono rimaste pressoché immutate rispetto al 2019, con al primo posto persone provenienti da Siria (70.000), Afghanistan (50.000), Venezuela (31.000), Colombia (30.000) e Iraq (20.000).

Nel 2020, anche il tasso di riconoscimento in prima istanza rimane più o meno stabile, intorno al 42% se comprensivo anche delle diverse forme integrative di protezione nazionali. Tale tasso di riconoscimento si riduce al 31% se si analizzano invece i dati relativi esclusivamente alla protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria).

Per quanto riguarda i gruppi con esigenze specifiche è importante sottolineare che i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) hanno rappresentato il 3% (14.200) delle domande presentate. Si tratta principalmente di ragazzini maschi (90%) provenienti dall’Afghanistan (40%).

Infine, per quanto riguarda il numero di domande di protezione internazionale ancora pendenti si è visto un calo, ma non così significativo: sono infatti ancora 773.600 le domande di asilo a cui non è stata data ancora risposta, con una diminuzione del 18 % rispetto al 2019 a fronte di un calo generale delle domande del 32%.

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