Sabato 19 maggio 2012, ore 10,00 – 13,00
Sala del Consiglio Comunale, Via della Libertà 35
San Giorgio di Piano
Il territorio di Bologna e provincia ha partecipato attivamente all’accoglienza dei profughi dell’Emergenza Nord Africa, accogliendo famiglie e individui provenienti dalla Libia. Che lezioni possiamo trarre da questa esperienza, che ha coinvolto gli enti pubblici, il privato sociale, il volontariato e i cittadini stessi? Quali le buone pratiche e quali i problemi?
Continuano, affrontando il tema dell’asilo, gli incontri del ciclo “La comunità che cambia”, organizzati dal Distretto di Pianura Est in collaborazione con Lai-momo soc. coop.
Sabato 19 maggio, a San Giorgio di Piano, la Sala del Consiglio Comunale ospiterà i richiedenti asilo provenienti dalla Libia accolti nel Distretto nell’ambito della “Emergenza Nord Africa”, per un momento di incontro e scambio con la comunità.
Parteciperanno all’incontro: Anna Fini, Assessore alle Politiche Sociali di San Giorgio di Piano; Amelia Frascaroli, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Bologna; Giorgio Palamidesi, Rete “Emilia Romagna Terra d’asilo”; Mauro Pinardi, Responsabile Coordinamento Politiche Sociali della Provincia di Parma; Emilio Rossi, CIAC Onlus (Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale); Silvia Festi, Coop Lai-momo.
Curati dal Distretto Pianura Est, il ciclo di incontri prevede 3 ulteriori appuntamenti previsti tra il 24 e 26 maggio nei comuni di Pieve di Cento, Malalbergo e Argelato.
In queste sedi sarà possibile approfondire alcune questioni emergenti relative all’integrazione sociale, all’intercultura a scuola, nonché riconsiderare il rapporto tra immigrazione e comunità locali.
In allegato il volantino dell’iniziativa e il programma complessivo della rassegna, ai quali vi chiediamo di dare massima diffusione.
Parole chiave : accoglienza, asilo, comunità, emergenza, Immigrazione, intercultura, Libia, Nord Africa, Pianura Est, profughi, rassegna, San Giorgio di Piano
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/una-comunita-giorgi/trackback/
Si terrà a Roma mercoledì 16 maggio 2012, dalle 10.30 alle 16.30, presso la Sala ENPAPI in via Farnese 3 un momento di confronto sull’applicazione in Italia del Codice di condotta per il reclutamento internazionale del personale sanitario dell’OMS.
amref.it/workshop-personale-sanitario
Africa e Mediterraneo ha aderito a un’iniziativa di advocacy e di sensibilizzazione sul tema della crisi globale del personale sanitario messa in campo da AMREF Italia e lanciata il 5 aprile 2012.
In Italia non ci sono operatori sanitari in numero sufficiente per far fronte all’invecchiamento della popolazione, al prossimo pensionamento di molti professionisti e ai mutati modelli di cura. Del resto la carenza di personale sanitario è globale e si manifesta in forme drammatiche in molti paesi del Sud del mondo. In Italia il dato sul personale infermieristico è emblematico della misura del problema: mancano ad oggi 71.000 infermieri (dato della Federazione Nazionale dei Collegi di Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia IPASVI, 2008) e, a fronte di questa carenza, i posti per la formazione in questo ambito non solo non sono aumentati, ma sono anzi diminuiti. Per contro, il numero degli infermieri stranieri attivi in Italia è aumentato di quasi 15 volte tra il 2002 e il 2010, arrivando a rappresentare oltre il 10% del totale.
Infatti, dal 2002 gli infermieri stranieri possono entrare in Italia per motivi di lavoro al di fuori delle quote previste dal decreto flussi, ricevendo un permesso di soggiorno legato all’esercizio della professione infermieristica. La partecipazione ai concorsi pubblici, tuttavia, è regolata da norme che ne rendono difficile l’accesso per medici e infermieri stranieri, nonostante il sussistente requisito del possesso della cittadinanza italiana sia stato ormai messo in discussione dalla giurisprudenza. Questi professionisti lavorano dunque più spesso nel settore privato, con contratti di lavoro precari e con retribuzioni minori rispetto ai colleghi italiani.
In mancanza di un’azione forte da parte delle istituzioni in grado di colmare il crescente deficit di operatori sanitari, in molti paesi europei la carenza di personale viene oramai in parte colmata – in una prospettiva di troppo breve termine – con il reclutamento di operatori formati all’estero: essi provengono, nel caso degli infermieri italiani, sia da paesi comunitari, come la Romania e la Polonia, che da paesi extra- europei, tra i quali il Perù, l’Albania, e l’India.
Le attuali migrazioni internazionali di personale sanitario drenano risorse umane e competenze preziose e già scarse dai sistemi sanitari dei paesi di provenienza di questi operatori, nel Sud e nell’Est del mondo. In Romania, per esempio, già adesso il personale è insufficiente, e gli infermieri sono costretti a fare anche il lavoro del personale ausiliario. Una situazione simile si registra in alcuni paesi arabi, mentre l’India, il Perù, insieme alla maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana, sono classificati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) tra i paesi che sperimentano una grave crisi del personale sanitario, potendo contare su poco più di 2 operatori (medici, infermieri e ostetriche) ogni 1000 abitanti, una crisi che le migrazioni di personale sanitario non fanno che aggravare.
In alcuni paesi a risorse limitate, infatti, gli urgenti investimenti nella formazione di personale sanitario rischiano di tramutarsi in una perdita netta: è stato calcolato che i sistemi sanitari di 9 paesi africani perdono un investimento in formazione pari a 2,17 miliardi di dollari a causa dell’emigrazione dei propri medici dopo la laurea. La stessa migrazione si traduce in un risparmio in spese di formazione pari a 4,55 miliardi di dollari per i 4 paesi di destinazione di questi medici.
I paesi a risorse limitate hanno bisogno di tutto il proprio personale sanitario e di tutte le proprie risorse per garantire l’erogazione di servizi sanitari di base, di programmi di vaccinazione, di cure materno infantili, di interventi di lotta all’AIDS e per tutti gli altri servizi sanitari. In mancanza degli operatori sanitari necessari non potrà essere tutelato il diritto alla salute per tutti e un accesso equo ai servizi sanitari; gli stessi Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ai quali l’Italia ha aderito, non potranno essere realizzati né entro il 2015 né in un futuro più remoto.
Il Codice di Condotta sul Reclutamento Internazionale di Personale Sanitario dell’OMS mira ad evitare che la concorrenza internazionale in materia di “attrazione di personale sanitario” si faccia a spese dei paesi a risorse più scarse. Nel maggio 2012 l’OMS inizierà il monitoraggio dell’applicazione del Codice di condotta da parte dei paesi firmatari. Aderendo al Codice, l’Italia ha assunto un impegno che coinvolge non solo il Governo, ma anche il sistema sanitario, le Regioni, gli ordini delle professioni sanitarie, i datori di lavoro, le agenzie per il lavoro, i soggetti di cooperazione internazionale e la società civile. Per dare diffusione e promuovere l’implementazione in Italia a una corretta applicazione di questo codice internazionale, Amref assieme ad altre organizzazioni ha lanciato un “Manifesto” per l’applicazione in Italia del Codice di condotta internazionale sul reclutamento del personale sanitario. La campagna prevede anche:
- un sito web dedicato www.manifestopersonalesanitario.it anche per creare uno spazio di riferimento per i temi sollevati, con aggiornamenti, approfondimenti ecc.
- l’organizzazione di un incontro pubblico di livello nazionale sul tema delle migrazioni di personale sanitario a inizio maggio;
L’iniziativa è promossa insieme a:
** Associazione Medici di origine Straniera in Italia -AMSI,
** Centro Studi di Politica Internazionale – CeSPI,
** Federazione Nazionale Collegi Infermieri – IPASVI,
** Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri – FNOMCeO,
** Osservatorio Italiano sulla Salute Globale – OISG,
** Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – SIMM.
Agire per contrastare la crisi del personale sanitario è una responsabilità collettiva per garantire il diritto alla salute a livello globale.
Parole chiave : advocacy, amref, codice di condotta, enpapi, oms, personale sanitario
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/workshop-16-maggio-2012/trackback/
09 maggio 2012
L’Open City Museum: momenti di vita fra Cina e Alto Adige.
Il Comune di Bressanone, con la Provincia Autonoma di Bolzano e il Museo Diocesano di Bressanone, hanno organizzato una mostra di fotografia e video proiezione con l’obiettivo di condurre il pubblico in un singolare viaggio fra Cina e Alto Adige, dove un cosmo di relazioni si incontrano e si arricchiscono reciprocamente.
L’iniziativa, organizzata nell’ambito del progetto interculturale d’arte Open City Museum e curata dalla promotrice culturale Martha Jiménez Rosano, avrà luogo il 18 maggio, alle ore 18, presso il Cortile del Museo Diocesano di Bressanone, e presenterà opere del fotografo brissinese Giovanni Melillo Kostner, dell’artista cinese Lei Lei e del collezionista francese Thomas Sauvin.
Giovanni Melillo Kostner dal 2007 porta avanti un’interessante ricerca sui fenomeni migratori e sulla costruzione dell’identità culturale nell’ambito della rassegna “Verso nuove culture”, all’interno della quale si inserisce anche il lavoro “Fortuna, vieni da me!”, che sarà presentato alla mostra e che contiene momenti di vita quotidiana di persone d’origine cinese residenti in Alto Adige.
Grazie al lavoro di reperimento e restauro di Thomas Sauvin, la mostra costituirà un’occasione unica per vedere in anteprima il progetto d’archivio della memoria cinese “Beijing Silvermine”, con una selezione di immagini della capitale cinese e della vita dei suoi abitanti negli ultimi trant’anni e la proiezione di una video-animazione realizzata in collaborazione con l’artista cinese Lei Lei. Il lavoro completo sarà presentato nel mese di ottobre presso il Festival Internazionale di Fotografia di Singapore.
Giovanni Melillo Kostner ha pubblicato alcune foto nel dossier 72-73 di Africa e Mediterraneo sulle “Sfide della mediazione interculturale” e ha contribuito, tra gli altri, alla produzione del materiale fotografico contenuto nell’handbook “Comunicare l’immigrazione”, curato da Lai-momo e Idos.
Parole chiave : Alto Adige, Cina, Comune di Bressanone, fotografia, Giovanni Melillo Kostner, Lei Lei, Marta Jiménez Rosano, Museo Diocesano di Bressanone, Open City Museum, Provincia Autonoma di Bolzano, Thomas Sauvin
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/opencitymuseum/trackback/
26 gennaio 2012
iPhone di guerra
L’amministratore delegato della Apple può fare molto per la pace in Congo e noi sappiamo che dobbiamo fare attenzione alle conseguenze delle nostre scelte di consumo, chiedendoci cosa sta alla base della produzione degli oggetti che acquistiamo. Un caso particolare riguarda gli iPhone e la guerra che da più di quindici anni colpisce la regione dei Grandi Laghi.
La Repubblica Democratica del Congo è stato il Paese maggiormente colpito dalla crisi politica e militare che ha afflitto la regione dei Grandi Laghi, e ha subito una delle crisi umanitarie più drammatiche e complicate dei nostri tempi. Già devastata dal genocidio rwandese del 1994, la regione dei Grandi Laghi ha vissuto il suo periodo più drammatico durante le due guerre congolesi, tra le più intense della storia moderna africana, che hanno causato 5 milioni di vittime e altrettanti sfollati e rifugiati. Diversi analisti del conflitto concordano nel descrivere la guerra dei Grandi Laghi come parte di un nuovo tipo di conflitto in cui gli eserciti nazionali, i movimenti di liberazione e le ideologie politiche sono state sostituite dai moderni “signori della guerra”, ovvero dalle reti informali dell’economia e dagli interessi legati al commercio delle materie prime.
Il conflitto congolese, infatti, si presenta come un complesso insieme di dinamiche politiche, etniche ed economiche, in cui la lotta per le risorse non fa altro che intensificare e rafforzare i conflitti esistenti. Non a caso l’ex colonia belga possiede l’80% delle riserve mondiali di coltan. Da questo minerale si estrae il prezioso “tantalio”, elemento fondamentale per la sua capacità conduttiva e necessario per la realizzazione di oggetti legati alle nuove tecnologie, tra le quali gli attualissimi iPhone. L’imposizione del coltan sul mercato internazionale è dovuta soprattutto all’introduzione della generazione dell’UMTS di telefonia mobile, che ha portato a una vera e propria caccia al coltan congolese. Ciò ha determinato un aumento dei prezzi incalzante, dando vita ad un nuovo sistema economico basato sul commercio legato all’ambiente militare. In un contesto sociale e politico particolarmente teso come quello congolese, la guerra tende a configurarsi in questo caso più che mai, come strumento effettivo di controllo delle risorse e come possibilità di ascesa sociale.
Per essere credibile nel suo impegno di portare la pace in Congo e nella regione dei Grandi Laghi, la comunità internazionale dovrebbe iniziare a incoraggiare il processo di democratizzazione tra i governi maggiormente coinvolti e soprattutto ridimensionare le politiche economiche occidentali che incentivano e alimentano il conflitto in atto, attraverso il supporto continuo ai gruppi che gestiscono le risorse. Indubbiamente colpevoli dell’aver sfruttato e di continuare instancabilmente a sfruttare la situazione di conflitto del Nord Kivu sono le grandi corporazioni occidentali, che entrano direttamente in contatto con i gruppi di guerriglia. Questi ultimi, a prezzi bassissimi, vendono alle multinazionali occidentali una delle risorse contemporanee più pregiate, saccheggiando in questo modo le casse dello stato e alimentando sempre di più il conflitto; infatti sembra che tale ricchezza di risorse non abbia portato alcun introito all’erario nazionale congolese. Alcuni analisti del conflitto evidenziano come il “consumismo tecnologico” occidentale sia direttamente proporzionale alle vittime mietute nella RDC, facendo notare che il picco massimo di vendite di telefonini coincide proprio con il periodo più drastico della guerra congolese.
É possibile firmare la petizione che trovate al link qui di seguito, indirizzata dall’attivista e avvocato originario del nord Kivu Delly Mawazo Sesete all’Amministratore Delegato della Apple, Tim Cook, sperando che si possa finalmente avere un iPhone con materie prime non derivanti dalla guerra nella Repubblica Democratica del Congo.
Per firmare la petizione: http://www.change.org/petitions/
Stefania Lorelli
Parole chiave : amministratore delegato, Apple, coltan, Congo, congolese, Grandi Laghi, guerra, iPhone, Nord Kivu, RDC, rwandese, tantalio, telefonini, Tim Cook
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/i-phone-di-guerra/trackback/
Dal 4 al 6 Dicembre a Nairobi si svolgerà il secondo appuntamento del ciclo di conferenze inaugurato da ARTerial Network “Conference on the african creative economy”. Gli obiettivi del congresso puntano allo studio del rapporto tra l’economia africana creativa e lo sviluppo economico del Paese al fine di attivare delle strategie di difesa a sostegno del settore artistico ed economico africano.
L’ARTerial Network ha iniziato la sua attività come un processo dinamico composto da una rete di organizzazioni non governative a livello continentale, società di industria creativa, festival e singoli artisti impegnati nel settore artistico africano, riunitisi alla prima conferenza – Rivitalizzare Africa Beni Culturali – tenutasi a Goree Island nel marzo 2007.
Alla sua seconda riunione biennale di Johannesburg, nel settembre 2009, hanno partecipato 132 delegati provenienti da 28 paesi africani, si è deciso di costruire una rete più formale che ha portato all’adozione di un quadro costituzionale, l’elezione di dieci persone per il Comitato Direttivo (due per ogni regione africana), la nomina o l’elezione di 28 rappresentanti dei Paesi e l’adozione di priorità strategiche per i prossimi 3-5 anni.
L’ARTerial Network è amministrato da un segretariato con sede a Città del Capo, con segretariati regionali (occidentale, centrale, sud e nord) presenti sul territorio.
Per informazioni, qui il programma della conferenza.
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/economia-creativa-africana/trackback/
Dada, pseudonimo di Coex ae Qgam, è stata una grande artista Naro, pittrice, narratrice e ballerina africana, prima donna del Botswana a rappresentare la sua gente e il suo paese nel mondo. La sua arte ha celebrato la tradizione e i valori culturali del Kalahari attraverso un linguaggio visivo potente ed espressivo, dando voce alle comunità del deserto e alle donne artiste marginalizzate.
Il volume “I don’t know why I was created”, edito da Eggsson Books, casa editrice botswaniana, racconta la vita di questa artista attraverso una serie di interviste che le autrici, Ann Gollifer e Jenny Egner, hanno posto a Dada dal 2002 fino al 2008, anno della sua scomparsa. Non si tratta però solamente di un’autobiografia o di un libro-tributo, dal momento che rappresenta anche il primo tentativo nella storia dell’arte di questo paese africano di produrre un catalogo completo delle opere di un artista. Nell’opera sono infatti catalogate tutte le stampe, le mostre e la maggior parte dei dipinti di Dada.
La catalogazione rappresenta spesso per gli artisti contemporanei africani un punto debole, che porta inconvenienti dopo la loro scomparsa, con l’emergere di falsi e incerte attribuzioni. Il tutto alimentato da ambigui mercanti e sedicenti critici d’arte che approfittano della mancanza di un catalogo ufficiale e di galleristi professionali per mettere in circolo copie o falsi. Sono quindi quanto mai meritevoli per una corretta promozione degli artisti iniziative come questa di Gollifer e Egner.

Immagini tratte da "I Don’t Know Why I Was Created. Dada - Coex Ae Qgam" di Ann Gollifer e Jenny Egner, Eggsson Books, Gaborone, Botswana, 2011
Il libro sarà presentato il 24 settembre 2011 a Gaborone, Botswana
Per maggiori informazioni http://www.anngollifer.com/current_projects.html
Parole chiave : Ann Gollifer, Botswana, Coex ae Qgam, Dada, Deserto del Kalahari, Eggsson Books, Gaborone, Jenny Egner
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/dada_botswana/trackback/
L’utilizzo dei social media per promuovere campagne è in costante crescita. Unimondo sta lavorando ad un progetto di “carbon compensation” in Kenya dal titolo “Un fan un albero”. Il progetto è stato lanciato sull’ormai onnipresente Facebook. Per capire meglio scopi, possibilità e risultati ne abbiamo parlato con Fabio Pipinato, direttore di Unimondo.
- Da dove nasce l’idea di questa campagna?
Da un bisogno. Dalla siccità. Il Kenya, e non solo, è stato attraversato da un’importante secca nel biennio 2009-2010. Il progetto di riforestazione “Tree is Life – Albero è vita” ha rischiato la chiusura in quanto non v’era acqua per innaffiare gli 80 vivai costruiti su base comunitaria.
- Quale soluzione avete trovato?
Abbiamo deciso di ridistribuire i 10.000 euro di budget annuali per la comunicazione del nostro sito internet: invece di spenderli in Italia acquistando pagine di giornale, allocando banner e così via abbiamo pensato di utilizzarli per sostenere il progetto, ed allora è stata inventata la campagna “1 fan 1 albero”. Per ogni nuovo fan che il portale avrà su Facebook verrà piantato un albero in Kenya. Così facendo da un lato ci si garantisce che i denari allocati per la comunicazione del sito raggiungano lo scopo di destinazione e dall’altro si aiuta il progetto di riforestazione “Tree si Life” a rialzare la testa dopo la batosta della siccità che ha visto molti vivai divenir aridi.
- Attraverso quali canali viene promossa e si sviluppa la campagna?
I partner di Unimondo sono più di 400. Molti di loro, come Africa e Mediterraneo, hanno consentito di allocare on line un banner che faccia direttamente riferimento alla campagna. Poi il passaparola ha raggiunto quota 8.888 fan. Una cifra più che soddisfacente e non lontana da quanto ci si è preposto.
- Di cosa si occupa l’associazione Tree is Life, partner locale nel vostro progetto?
Tree is Life, attraverso il sostegno di una forte expertise locale, sostiene le comunità ad avere cura e salvaguardare la natura. L’approccio è piuttosto interessante in quanto la sfida è “creare cultura” con molte iniziative in decine di scuole come la “festa dell’albero” e molti percorsi comunitari. �
- Attualmente a che stadio è il progetto?
Sono attivi più di 80 vivai sia nelle comunità di villaggio che nelle scuole. Ogni vivaio viene curato da un “gruppo di mutuo aiuto” che ha un presidente ed un direttivo. Le piante da legno e da frutta prodotte in ogni vivaio vanno ad integrare il reddito di ognuno che ha lavorato alla cura dello stesso. Il rimanente va venduto al mercato. Ogni anno Tree is Life contribuisce indirettamente all’impianto di 800.000 piante.
- Come si può sostenere il progetto?
Diventando fan di Unimondo su Facebook ed invitando i propri amici a fare lo stesso.
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/un-fan-un-albero-unimondo-lancia-una-nuova-campagna-sui-social-media/trackback/
Dal 22 al 27 marzo 2011, saremo presenti con la mostra “Africa Comics- South Africa”, all’interno del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina di Milano. La mostra presenta le migliori storie di autori sudafricani arrivate nelle ultime 5 edizioni del “Premio Africa e Mediterraneo per il migliore fumetto inedito di autore africano”.
Attraverso il fumetto, gli artisti sudafricani raccontano la storia del loro paese, dall’esperienza coloniale, il rapporto tra classe dominante bianca e manodopera nera, alle dure condizioni dei lavoratori nelle miniere, o rappresentano, anche in modo ironico, la disparità di classe in Sudafrica e la condizione della donna, o storie surreali e di fiction.
Il fumetto e la creatività sono due strumenti importanti per comprendere l’Africa di oggi, ed in questo gli artisti sudafricani si sono sempre distinti per qualità, innovazione e ironia delle storie, ricevendo alcuni anche riconoscimenti internazionali per l’editoria a fumetti.
Parole chiave : Fumetto africano, Sudafrica
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/22-27032011-africa-comics-south-africa-al-festival-del-cinema-africano-dasia-e-damerica-latina/trackback/
26 febbraio 2011
Breve ricordo dell’artista Goddy Leye
Il 19 febbraio 2011 l’artista camerunese Goddy Leye è morto dopo una breve malattia all’ospedale di Bonassama a Douala.
Era uno dei più conosciuti artisti africani, presente in numerose mostre e progetti sull’arte contemporanea africana e internazionale, e promotore lui stesso di iniziative artistiche importanti, punto di riferimento per tanti artisti, non solo in Camerun. Nel 2003 aveva iniziato il progetto Art Bakery, un programma di residenze artistiche ospitato nel suo studio di Bonendale, vicino a Douala.
Goddy Leye realizzava soprattutto video e video installazioni.
Il suo lavoro si concentra sui temi della memoria, della costruzione della storia, dell’identità, del postcolonialismo, sulle trasformazioni urbane.
Oltre che per la sua importanza nell’arte contemporanea, lo ricordiamo come un intellettuale colto, intelligente e gentile.
Alcune frasi dal suo sito (http://goddyleye.lecktronix.net/):
My work is about MEMORY. I am interested in stories and histories, myths and mysteries lying underneath the surface of things, events , places, people.
Having been born and bred in an environment where the past was either forbidden or intentionally distorted in order to create a schizophrenic mind in the post-colony, I guess there has always been/there is still, the need to rewrite HISTORY.
For a decade now, I have been busy exploring my memory
Parole chiave : Art Bakery, arte contemporanea africana, Douala, Goddy Leye
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/breve-ricordo-dellartista-goddy-leye/trackback/
31 gennaio 2011
Sud Sudan: un referendum e la fiducia negli uomini
Ieri 30 gennaio 2010 a Juba sono stati annunciati i risultati ufficiali del referendum iniziato il 9 gennaio. La commissione speciale del Sud Sudan, ha spiegato che negli stati del Sud oltre il 99% degli elettori ha votato per la secessione, mentre nei seggi del Nord il 58% si è espresso a favore della secessione. L’Onu ha registrato diversi attacchi che hanno provocato morti a persone che tornavano a casa dopo aver votato.
Pubblichiamo un testo di Valentina Valle Baroz, collaboratrice di Africa e Mediterraneo ora impegnata nell’ufficio stampa della Fondazione Cesar (http://www.cesarsudan.org/), che ha organizzato la visita in Italia di Mons. Cesare Mazzolari, vescovo della diocesi di Rumbek in Sud Sudan.
Non avevo mai incontrato un missionario, uno vero, di quelli che da decenni predicano il Vangelo nel “continente nero” e che nell’immaginario collettivo sono figure d’altri tempi, ormai quasi mitiche. Mons. Cesare Mazzolari, da vent’anni vescovo di Rumbek in Sud Sudan, mi si avvicina vestito di nero, mi saluta come il più normale degli uomini e poi, invece di prediche e sermoni, mi riversa addosso uno spaccato di storia, non dell’Africa ma dell’umanità.
È in Italia da meno di ventiquattro ore e dopo anni di guerra e tragedie non porta negli occhi la sofferenza del passato ma la gioia del futuro di migliaia di sud sudanesi che in fila hanno votato per la loro indipendenza.
La sua diocesi, vasta quanto Lombardia e Triveneto insieme, è ormai la sua casa, la sua patria e sentire come parla del referendum, della lunga strada che il “suo popolo” ha percorso per arrivarvi è coinvolgente ed emozionante. Ma Mons. Mazzolari è tutt’altro che un ingenuo, anzi, è un uomo di cultura ed esperienza, che non dimentica le atrocità e i torti commessi negli anni di guerra e che guarda al futuro con entusiasmo ma anche con realismo e concretezza.
Il problema più immediato sono le decine di migliaia di sfollati che si sono riversati al Sud. Emigrati nella regione di Khartoum anni fa in cerca di condizioni di vita migliori ora, per paura di rappresaglie, hanno lasciato tutto e si ritrovano profughi nel loro stesso paese, a cercare una famiglia che spesso scoprono distrutta dalla guerra. Il vescovo elenca in un italiano misto a inglese le agenzie internazionali che se ne stanno occupando, UNHCR e CICR in testa, oltre alla “sua” Chiesa che ha messo a disposizione strutture e equipaggiamenti per la creazione dei primi “campi di transito”. Ancora una volta gli Internal Displaced People sono gli ultimi degli ultimi e in tutte le interviste che gli sento fare è innanzi tutto per loro che ha parole, pensieri e speranze.
Nonostante il tenace ottimismo, la sua visione del futuro del Sud Sudan è molto realistica: il rapporto col Nord – che ha vissuto il distacco del Sud, a suo avviso, non solo come perdita di risorse naturali e materie prime ma anche, e soprattutto, come sconfitta politica – continuerà a costituire un problema, come lo saranno le relazioni internazionali che il governo di Juba dovrà intrattenere con potenze come Stati Uniti e Cina che non mancheranno di far pesare la loro influenza sullo scacchiere della regione. La crescita del Sud Sudan e la sua possibilità di sopravvivere alle sfide internazionali è legata, per Mons. Mazzolari, a tre fattori: la capacità di formare quanto prima una classe dirigente autoctona, la volontà di sanare almeno alcune delle piaghe che affliggono il paese e la disponibilità a concedere il perdono, inteso non tanto come precetto meramente evangelico quanto piuttosto come valore umano, unica speranza per ricucire e consolidare le relazioni tribali essenziali per la pace.
Parlare con lui della situazione del Sud Sudan è come leggere un libro scritto da autori diversi che concordano solo su un unico punto: la fiducia nell’uomo che, nel caso di Monsignore, sarebbe forse meglio definire fede. E forse non basterà al Sud Sudan per rimanere il 55° stato africano ma sicuramente ha giocato un gran ruolo nel diventarlo.
Valentina Valle Baroz