31 gennaio 2011

Sud Sudan: un referendum e la fiducia negli uomini

Ieri 30 gennaio 2010 a Juba sono stati annunciati i risultati ufficiali del referendum iniziato il 9 gennaio. La commissione speciale del Sud Sudan, ha spiegato che negli stati del Sud oltre il 99% degli elettori ha votato per la secessione, mentre nei seggi del Nord il 58% si è espresso a favore della secessione. L’Onu ha registrato diversi attacchi che hanno provocato morti a persone che tornavano a casa dopo aver votato.
Pubblichiamo un testo di Valentina Valle Baroz, collaboratrice di Africa e Mediterraneo ora impegnata nell’ufficio stampa della Fondazione Cesar (http://www.cesarsudan.org/), che ha organizzato la visita in Italia di Mons. Cesare Mazzolari, vescovo della diocesi di Rumbek in Sud Sudan.

Non avevo mai incontrato un missionario, uno vero, di quelli che da decenni predicano il Vangelo nel “continente nero” e che nell’immaginario collettivo sono figure d’altri tempi, ormai quasi mitiche. Mons. Cesare Mazzolari, da vent’anni vescovo di Rumbek in Sud Sudan, mi si avvicina vestito di nero, mi saluta come il più normale degli uomini e poi, invece di prediche e sermoni, mi riversa addosso uno spaccato di storia, non dell’Africa ma dell’umanità.
È in Italia da meno di ventiquattro ore e dopo anni di guerra e tragedie non porta negli occhi la sofferenza del passato ma la gioia del futuro di migliaia di sud sudanesi che in fila hanno votato per la loro indipendenza.
La sua diocesi, vasta quanto Lombardia e Triveneto insieme, è ormai la sua casa, la sua patria e sentire come parla del referendum, della lunga strada che il “suo popolo” ha percorso per arrivarvi è coinvolgente ed emozionante. Ma Mons. Mazzolari è tutt’altro che un ingenuo, anzi, è un uomo di cultura ed esperienza, che non dimentica le atrocità e i torti commessi negli anni di guerra e che guarda al futuro con entusiasmo ma anche con realismo e concretezza.
Il problema più immediato sono le decine di migliaia di sfollati che si sono riversati al Sud. Emigrati nella regione di Khartoum anni fa in cerca di condizioni di vita migliori ora, per paura di rappresaglie, hanno lasciato tutto e si ritrovano profughi nel loro stesso paese, a cercare una famiglia che spesso scoprono distrutta dalla guerra. Il vescovo elenca in un italiano misto a inglese le agenzie internazionali che se ne stanno occupando, UNHCR e CICR in testa, oltre alla “sua” Chiesa che ha messo a disposizione strutture e equipaggiamenti per la creazione dei primi “campi di transito”. Ancora una volta gli Internal Displaced People sono gli ultimi degli ultimi e in tutte le interviste che gli sento fare è innanzi tutto per loro che ha parole, pensieri e speranze.
Nonostante il tenace ottimismo, la sua visione del futuro del Sud Sudan è molto realistica: il rapporto col Nord – che ha vissuto il distacco del Sud, a suo avviso, non solo come perdita di risorse naturali e materie prime ma anche, e soprattutto, come sconfitta politica – continuerà a costituire un problema, come lo saranno le relazioni internazionali che il governo di Juba dovrà intrattenere con potenze come Stati Uniti e Cina che non mancheranno di far pesare la loro influenza sullo scacchiere della regione. La crescita del Sud Sudan e la sua possibilità di sopravvivere alle sfide internazionali è legata, per Mons. Mazzolari, a tre fattori: la capacità di formare quanto prima una classe dirigente autoctona, la volontà di sanare almeno alcune delle piaghe che affliggono il paese e la disponibilità a concedere il perdono, inteso non tanto come precetto meramente evangelico quanto piuttosto come valore umano, unica speranza per ricucire e consolidare le relazioni tribali essenziali per la pace.
Parlare con lui della situazione del Sud Sudan è come leggere un libro scritto da autori diversi che concordano solo su un unico punto: la fiducia nell’uomo che, nel caso di Monsignore, sarebbe forse meglio definire fede. E forse non basterà al Sud Sudan per rimanere il 55° stato africano ma sicuramente ha giocato un gran ruolo nel diventarlo.
Valentina Valle Baroz

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