18 settembre 2009
Ricordare e ricostruire il passato di schiavitù in Bénin
Presentazione dell’articolo “Remembering and reconstructing Brazilian slave past in Bénin” pubblicato sul numero 67 di Africa e Mediterraneo a firma di Ana Lucia Arujia, assistant professor al dipartimento di Storia all’Howard University (Washington DC).
L’articolo esamina il ruolo rivestito dalla cultura visuale per la ricostruzione della storia della schiavitù prendendo in esame le immagini presenti in un museo fondato da un discendente degli ex schiavi, che deportati dall’Africa in Brasile, fecero successivamente ritorno sulla costa beninese.
Dopo la ribellione malês (1835) di Bahia (Brasile), molti degli schiavi africani, prevalentemente di estrazione yoruba, diedero vita ad un movimento di ritorno verso la costa occidentale dell’Africa. Nel golfo del Bénin, questi schiavi tornati in Africa si stanziarono nelle città di Agoué, Ouidah, Porto Novo e Lagos e qui, unendosi ai mercanti di schiavi portoghesi e brasiliani, formarono una comunità afro-luso-brasiliana, nota come Aguda.
Mentre la storia dei discendenti dei commercianti degli schiavi è supportata da una documentazione scritta, quella dei discendenti degli schiavi, essendo legata soprattutto all’oralità, è segnata da lacune documentarie. A partire dagli anni ’90 progetti dell’UNESCO come La via degli schiavi hanno cercato di porre lo studio della storia della schiavitù e il problema dell’identità della comunità afro-luso-brasiliana al centro del dibattito pubblico. Accanto ad un interesse genuino per la storia della schiavitù maturò la tendenza a fare della discendenza dagli schiavi un modo per guadagnare potere politico.
Continua a leggere »
Parole chiave : Bénin, memoria, N67, Schiavitù
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/ricordare-e-ricostruire-il-passato-di-schiavitu-in-benin/trackback/
15 settembre 2009
Bando a sostegno dell’arte africana promosso da Pro Helvetia
Segnaliamo l’interessante iniziativa del Pro Helvetia Cape Town, Swiss Arts Council che ha aperto un bando (scadenza il 30 settembre) per sovvenzionare progetti artistici nel campo della musica, arti visuali, danza, teatro letteratura e cinema.
Al bando possono partecipare artisti provenienti dalla Southern African Development Community. Il fondo proviene dal programma della Agenzia svizzera per la cooperazione e lo sviluppo.
Parole chiave : fondi, Pro Helvetia
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/bando-a-sostegno-dellarte-africana-promosso-da-pro-helvetia/trackback/
Presentazione dell’articolo “Jacques Derrida e Paul Ricoeur: il problema della traduzione e l’identità culturale” pubblicato sul numero 56-57 di Africa e Mediterraneo a firma di Graziella Travaglini, facoltà di Lettere e Filosofia di Urbino.
L’articolo analizza il valore filosofico della traduzione attraverso le riflessioni di Ricoeur e Derrida e mostra che il problema della traduzione apre questioni che vanno al di là del senso o della verità del testo dal momento che chiama in causa la capacità di accogliere la lingua dell’altro e dunque concetti come identità linguistica, relazione culturale e interculturalismo.
Ricoeur e Derrida affrontano la questione della traduzione l’uno secondo un approccio ermeneutico, l’altro secondo una prospettiva decostruzionista.
Per Ricoeur l’esperienza umana e le culture hanno carattere narrativo e sono quindi considerabili come costellazioni di senso la cui storia è sottoponibile all’attività del “raccontare diversamente”. La traduzione è uno dei modelli del “raccontare diversamente”: essa consente un allargamento dell’orizzonte della propria lingua attraverso l’assunzione delle narrazioni molteplici delle altre culture.
Per Derrida la traduzione, essendo la legge stessa della condizione umana, vincola a dover re-inventare, nella mia lingua, quella dell’altro, e quindi a incontrare l’altro sempre e solo nel segno dell’alterità.
Mentre l’ermeneutica punta al dialogo e vede la traduzione come unità di due elementi, come eliminazione dell’opposizione e del conflitto, la decostruzione sospende tale mediazione. Vengono messi in questione il valore e il senso del dialogo e si ritiene piuttosto che la relazione debba consistere in una interruzione, in un’alterità.
Nell’articolo si sottolinea che il modo decostruzionista di intendere la lingua e la cultura umana porti con sé fraintendimenti tra lingue che solo apparentemente si comprendono, e che non possono convergere nell’unità di un consenso, perché ciascuna incontra l’altra nel luogo di un’estraneità a sé, in un inceppo della comunicazione.
[Immagine: Voyages Croisés, progetto di arte contemporanea e scambio tra Italia e Senegal. Disegno su foto di Gennaro Castellano, 2004]
Parole chiave : intercultura, N56-57, Paul Ricoeur, traduzione
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/jacques-deridda/trackback/
26 agosto 2009
Che cos’è il razzismo?
E’ facile oggi sentire una persona non particolarmente preparata culturalmente affermare: “Ah, io sono razzista! Quei negri non li posso sopportare!” Oppure una persona colta e di sinistra sostenere, di fronte a una persona che afferma che gli stanno antipatici i dirimpettai neri: “Quelli sono razzisti!”. In realtà il razzismo è tutt’altra cosa.
Nel bel libro di Matteo Motterlini, Trappole mentali, Rizzoli, Milano, 2008, c’è un capitolo intitolato “Stereotipi fuori controllo”, nel quale si descrivono alcuni esperimenti molto interessanti.
In particolare, Correll, dell’università del Colorado, ha messo a punto un videogioco nel quale bisognava immedesimarsi in un poliziotto con la pistola in mano e sparare se chi ti stava di fronte estraeva a sua volta una pistola. Molti fra gli studenti bianchi sbagliavano e ammazzavano gente che estraeva un accendino o il portafoglio. E va bene. Ma la cosa tragica è che il numero di sbagli contro avventori dalla pelle nera era il doppio di quelli commessi su bianchi! In realtà tutti noi abbiamo un’istintiva diffidenza verso coloro che non appartengono al nostro gruppo e tendiamo a considerarli tutti uguali. Le conferme sperimentali di queste disposizioni sono efficacemente descritte da Motterlini.
Che cos’è allora il razzismo?. E’ una tesi sostenuta con cognizione di causa che associa un particolare gruppo a una caratteristica negativa. Se dicessi “Gli albanesi sono moralmente inferiori agli italiani” starei dicendo qualcosa che non solo è falso, ma è anche una forma di razzismo. Se invece affermo che l’attuale crisi economica in Italia è colpa di tutti gli stranieri che sono entrati, starei dicendo qualcosa di palesemente falso, ma non certo razzista.
Se infine dicessi che non voglio vedere nel mio quartiere dei marocchini starei semplicemente esprimendo un mio sentimento molto antipatico, ma non sarei razzista.
Credo che bisogna stare attenti a tenere sempre ben presenti queste distinzioni.
Parole chiave : Diffidenza, razzismo, Trappole Mentali
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/che-cose-il-razzismo/trackback/
31 luglio 2009
Il vodu in Benin, patromonializzazione di una religione
Presentazione dell’articolo “Patrimonializzazione della ‘religione tradizionale': la festa del vodu in Benin” pubblicato sul numero 60-61 di Africa e Mediterrraneo a firma di Alessandra Brivio, Università di Milano Bicocca.
L’articolo vuole evidenziare alcuni risultati del processo di patrimonializzazione del vodu nel contesto politico e sociale beninese contemporaneo. A partire dagli anni novanta la religione vodu divenne un elemento politico portante per la costruzione di uno spazio pubblico democratico in Bénin.
Perché il vodu diventasse patrimonio utile allo sviluppo democratico del Bénin è stato necessario crearne un’immagine democratica eliminando ogni suo riferimento alla stregoneria e all’occulto. Solo in questo modo è stato possibile avviare un processo di “internazionalizzare” e patrimonializzazione della religione vodu.
Tale processo è conforme alla tendenza in atto di elevare le religioni africane al livello di quelle universali, liberandole dall’appellativo dispregiativo di “religioni primitive”.
Dovendo il vodu rispondere all’esigenza occidentale di una spiritualità positiva e rassicurante, esso è stato spogliato delle sue stratificazioni semantiche, simboliche e relazionali e depurato delle sue contraddizioni intrinseche (e non alla concretezza troppo materiale tipica del vodu).
Continua a leggere »
Parole chiave : Bénin, N60-61, religione, Vudu
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/il-vodu-in-benin-patromonializzazione-di-una-religione/trackback/
21 luglio 2009
Il creolo a Capo Verde
Presentazione dell’articolo “Il creolo tra autonomizzazione e decreolizzazione. Il caso di Capo Verde”, pubblicato sul numero 59 di Africa e Mediterraneo a firma di Igino Schraffl, docente di Public Choice presso l’università Lumsa di Roma e Palermo.
La decreolizzazione è un fenomeno in atto in tutti i creoli del mondo. In questo articolo viene esaminato il caso di Capo Verde e il relativo tentativo di ufficializzazione del creolo a fronte delle difficoltà incontrate nel tentativo di autonomizzazione di questa lingua rispetto a quella portoghese.
Nonostante il creolo sia stato il principale elemento identitario nazionale in opposizione alla politica coloniale e nonostante gli sforzi, durante e dopo la lotta per l’indipendenza da parte degli intellettuali per creare una grammatica, la lingua ha faticato e fatica ad ufficializzarli.
All’ufficializzazione del creolo come lingua madre di Capo Verde, da sostituire al portoghese, si affianca un lento processo di uso del medesimo da parte dei parlanti capoverdiani.
La mobilità, conseguente alla creazione di opportunità di lavoro e alla scolarizzazione, ad esempio, induce i parlanti a servirsi maggiormente del portoghese in modo da superare le difficoltà implicite nell’uso di dialetti diversi.
Va considerato, poi, che metà della popolazione ha eletto domicilio permanente all’estero e che inoltre i soggetti emigrati in Portogallo usano quotidianamente il portoghese, relegando il creolo alla comunicazione domestica. La parte istruita della popolazione, infine, tende a privilegiare il portoghese, considerato non come lingua straniera, ma come lingua alta della cultura e dell’ufficialità a fronte del creolo come strumento di comunicazione dialettale.
Sebbene il dibattito sull’istituzionalizzazione del creolo a Capo Verde sia lungi dall’essere concluso, il processo di decreolizzazione (più propriamente di rilusitanizzazione) è ormai una realtà incontrovertibile.
Parole chiave : Capo Verde, Creolo, N59
Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/il-creolo-a-capo-verde/trackback/
Mi raccontava un’amica di un esperimento che alcuni mediatori culturali hanno realizzato a Milano. Nella città lombarda viveva un gruppo di migranti provenienti da un villaggio africano che non ricordo, i quali regolarmente mandavano le loro rimesse a casa. Questi migranti avevano capito che se nel paese fossero state spedite delle canoe anzichè del denaro, l’economia, che in quel momento giaceva in condizioni disperate, sarebbe migliorata significativamente. Così si decise di trattenere parte delle rimesse, fino a ottenere la somma per l’acquisto delle canoe; dopo di che invece dei soldi si sono mandate le barche in Africa. Dopo un po’ di tempo i migranti sono tornati al loro paese e hanno trovato le canoe del tutto inutilizzate e il paese che versava nella solita miseria estrema.
Che cosa era successo? Gli anziani del paese avevano avuto la sensazione che se fosse iniziata la pesca con l’uso delle canoe avrebbero perso la loro posizione di comando e quindi avevano impedito ogni azione. Così l’amica commentava che gli operatori avevano “sbagliato”, perchè non avrebbero previsto questa reazione da parte degli anziani della comunità.
La situazione è molto complessa e occorrerebbe conoscere tutti i dati per formulare un giudizio meditato. Però credo che sia importante evitare alcuni errori nella valutazione di questo tipo di episodi. Si tende ad attribuire agli operatori occidentali il libero arbitrio di scegliere diverse strategie, mentre i poveri “negri” sarebbero del tutto succubi della loro “Cultura” e si comporterebbero come una sorta di macchine automatiche. In questa storia a me verrebbe da biasimare più il conservatorismo degli anziani del villaggio che la poca lungimiranza degli operatori.
Uno dei fenomeni tipici della sopravvalutazione di se stessi, messa in luce dalla recente psicologia delle illusioni cognitive, consiste proprio nel considerare i nostri errori come evitabili, attribuendo invece quelli degli altri alla loro indole! L’atteggiamento dell’amica, che a prima vista sembrerebbe anti-occidentale e favorevole alla cultura del villaggio africano, in realtà nasconde una sottile forma di razzismo culturale, come se la cultura del villaggio sia una sorta di monade impenetrabile che guida deterministicamente i comportamenti degli abitanti del villaggio, mentre noi avremmo la libertà di comportarci in modi diversi. Sarà sempre troppo tardi quando cominceremo a considerare gli stranieri come persone e non come pedine portatrici di una cultura altra!