15 marzo 2021

Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu – Le temps de la mue

OHGALLERY_LeTempsDeLaMue_4

Di Elisabetta Degli Esposti Merli

Dal 20 febbraio al 30 aprile 2021 presso gli spazi della OH Gallery, a Dakar, sarà esposta Le temps de la mue, prima mostra personale dell’artista camerunense Patrick-Joël Tatcheda Yonkeu.

 

Yonkeu nasce a Douala nel 1985 e resta in Camerun fino a che, dopo una formazione scientifica al college e un paio di esperienze all’università, decide di dedicarsi all’arte e si trasferisce a Bologna. Qui si iscrive all’Accademia di Belle Arti, si laurea in pittura e infine ottiene un master’s degree in Arti Visive con una tesi sullo Zen nell’arte. Dopo aver completato gli studi comincia la sua esperienza artistica tra l’Africa e l’Italia, collaborando con numerose associazioni e scuole e partecipando a diverse mostre ed esperienze collettive. È l’iniziatore e animatore del Black History Month-Bologna, quest’anno alla sua seconda edizione, in collegamento con il più “antico” BHM-Firenze, fondato dall’artista e insegnante afroamericano Justin Randolph Thompson.

OHGALLERY_LeTempsDeLaMue_6Le temps de la mue, letteramente “Il tempo della muta”, è composto da opere realizzate principalmente su carta nel corso degli ultimi dieci anni. Arriva quindi alla fine di un percorso personale dell’artista camerunense, che si chiude lasciando spazio a una nuova forma e a un nuovo capitolo, come quando gli animali mutano pelle per evolversi e passare allo stadio successivo della propria esistenza.

Al livello personale, però, Yonkeu lega anche una riflessione più collettiva, un pensiero sul posto dell’essere umano nella storia e nel mondo, in relazione ai suoi simili ma anche al pianeta sul quale cammina. La muta è infatti un momento di ripensamento complessivo, di riflessione sul tempo che passa e sui cambiamenti ancora da venire. E il lavoro di Yonkeu è fortemente influenzato dalle sue ricerche e dal suo interesse nella mitologia, nella storia e nelle modalità con le quali l’essere umano si è percepito durante il suo viaggio, modalità che fondano la nostra consapevolezza attuale: nelle sue stesse parole, quella “conoscenza essenziale che ancora oggi permea il mondo”. Le opere di Le temps de la mue vogliono essere un processo di riscoperta di un senso morale più giusto e più adatto ai nostri tempi, che ci consenta di interagire con gli altri esseri umani imparando dagli errori del passato. Come recita un proverbio africano citato dallo stesso autore, “Se, passeggiando nella foresta, ripassi sempre intorno allo stesso albero diverse volte, qualcosa è andato storto, ti sarai perso”.

OHGALLERY_LeTempsDeLaMue_7L’abbandono di una prospettiva monocentrica in favore di una multilaterale è fondamentale in questo percorso di rifondazione etica. Per questo la creazione delle opere di Yonkeu è fortemente ritualizzata: l’artista non presta attenzione tanto al risultato finale quanto al processo necessario per raggiungerlo, performando un rito che lo porta ad abbandonare la consapevolezza di sé, alla dissoluzione dell’ego nell’atto creativo. Al tempo stesso, però, l’utilizzo della carta come superficie e di pigmenti e olii naturali, in richiamo alle tradizioni del proprio Paese natìo, impongono a Yonkeu dei tempi di asciugatura e di completamento dell’opera estremamente lunghi, che rendono le tele di Le temps de la mue sono così vive e vibranti.

E proprio la scelta di tecniche e materiali evidenzia un altro aspetto della produzione dell’artista. Le tradizioni espressive camerunensi e africane in genere si radicano nella consapevolezza animista, condivisa in questo con il Buddhismo asiatico, che l’essere umano sia calato al pari delle altre creature in un mondo che non è sfondo passivo delle sue azioni, ma coprotagonista attivo di tutto quanto succede sulla Terra. Le filosofie occidentali e monoteiste, invece, che sia per conquista o per diritto divino, vedono l’uomo come fulcro del creato e sua espressione apicale. È un altro risvolto dell’abbandono della prospettiva unica in favore di una più sfaccettata, che comprenda la complessità dei sistemi in cui ci muoviamo, siano essi antropici e sociali oppure naturali.

 

Per informazioni:

https://www.ohgallery.net/

https://bhmbo.it/home 

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/patrick-joel-tatcheda-yonkeu-le-temps-de-la-mue/trackback/

10 marzo 2021

L’Africa potrà raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 solo con una rivoluzione green. Il 7° Forum africano sullo sviluppo sostenibile

Di Sandra Federici

Si è tenuto in dall’1 al 4 marzo con incontri a Brazzaville e online il 7° Africa Regional Forum on Sustainable Development (ARFSD), per fare il punto sul raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 e dell’Agenda 2063: The Africa We Want, nella consapevolezza della “devastazione economica e sociale portata dalla pandemia”, e decidere le misure politiche da adottare. L’idea che ha permeato gli interventi è che anche qui la ricostruzione post-Covid19 dovrà seguire traiettorie green e tendenti alla minima emissione di carbonio, per poter costruire un’Africa resiliente inclusiva e sostenibile.

EvhDxZZWQAICospMa molti relatori hanno affermato che, proprio ora che si è inaugurata la “decade of action” per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, si prevede che molti paesi falliranno nell’ottenerli, in particolare, a detta del rappresentante regionale per l’Africa della FAO, Abebe Haile-Gabriel, per quanto riguarda il numero 1: “fame zero”. “Ci sono troppe criticità dovute al cambiamento climatico, alla povertà economica e all’impatto negativo del Covid19, così come alla scarsità degli investimenti pubblici” che dovrebbero sostenere misure di protezione sociale verso i più vulnerabili. Tuttavia, il fatto di aver creato l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) costituisce un’opportunità unica per trasformare il sistema alimentare del continente, se gli impegni ad alto livello si uniranno a investimenti e azioni locali e nazionali.
Il report Building Forward for an African Green Recovery lanciato dall’ECA contestualmente al Forum, spiega che, prima della pandemia, i paesi africani crescevano in media di più del 3%, più che altre aree del mondo, anche se le disparità di reddito erano in aumento in tutta la regione e più del 50% della popolazione dell’Africa centrale viveva sotto la soglia di povertà estrema. Se l’impatto della pandemia non sarà limitato entro la fine del 2021, si rischia di distruggere i progressi fatti nell’ultimo decennio.

global-goals-495x400James Murombedzi, esperto dell’ECA’s African Climate Policy Centre (ACPC), ha garantito che il suo ente supporterà la Commissione dell’Unione africana nel finalizzare la African Climate Change Strategy (2020-2030), per inquadrare l’azione degli stati verso l’abbassamento delle emissioni di anidride carbonica. Il cammino verso la crescita economica, ha sottolineato, dovrà essere verde, perché il cambiamento climatico distrugge le economie nazionali, gli ecosistemi e le vite, e la possibilità per l’Africa di raggiungere gli obiettivi 2030 e 2063. Murombedzi ha indicato tra le sfide da raggiungere quella di integrare i servizi digitali di informazione climatica nei processi di sviluppo, e la promozione di interventi green che sicuramente, come è provato anche dal Report dell’ECA, genereranno posti di lavoro “ecosostenibili”.

Il forum ha dato molto spazio al tema degli investimenti e dei finanziamenti. James Kinyangi dell’African Development Bank (AfDB) ha notato che si prevede di raddoppiare i finanziamenti per la diminuzione delle emissioni di carbonio e la resilienza climatica da $12.5 miliardi nel 2016-2020 a $25 nel periodo 2021-2025. Gli investimenti pubblici sono in effetti cruciali: Chris Toe del WFP ha affermato che i paesi africani devono investire prioritariamente nella trasformazione del settore agricolo, nello sviluppo di infrastrutture sostenibili e nel capitale umano. Il rappresentante del Ministero dell’Agricoltura Congolese, Mukena Bantu, ha affermato che la nuova amministrazione è determinata a sviluppare l’agricoltura, e che vuole far sì che “il suolo prevalga sul sottosuolo”.
Germain Mpassi, il Direttore Generale per lo Sviluppo Sostenibile del Ministero dell’Ambiente e del Turismo della Repubblica del Congo, ha affermato che l’Africa deve giocare un ruolo nell’ottenimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi COP21, e ha posto l’accento sull’importanza del bacino del Congo, secondo polmone del pianeta, come riserva globale contro l’emissione di carbonio, e spiegato le misure che stanno prendendo per proteggere la foreste e le popolazioni che vi sono insediate.

downloadRazi Bozekri, del Ministero dell’Ambiente marocchino, ha sottolineato la traiettoria verso l’energia pulita intrapresa dal suo governo, attraverso l’uso del solare e dell’energia eolica. Ha citato come success story il Noor Ouarzazate Solar Complex, che nel 2016 è stato collegato alla rete principale del Marocco ed è stato finanziato anche dalla AfDB, e ricordato l’African Action Summit organizzato dal re del Marocco a margine della COP22 tenuta a Marrakech nel 2016. L’importanza del finanziamento delle azioni contro il cambiamento climatico e della digitalizzazione e dell’accesso ai sistemi di informazione climatica è stata sottolineata da Mithika Mwenda della Pan African Climate Justice Alliance (PACJA), coalizione con sede a Nairobi che riunisce più di mille ONG, comunità, fondazioni e network, e dall’attivista nigeriana Chinma George.

Numerosi documenti e studi relativi alla conferenza sono disponibili sul sito dell’United Nation Economic Commission for Africa (UNECA), che ha organizzato l’evento.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/lafrica-potra-raggiungere-gli-obiettivi-dellagenda-2030-solo-con-una-rivoluzione-green-il-7-forum-africano-sullo-sviluppo-sostenibile/trackback/

01 febbraio 2021

L’edizione Black History Month 2021 viaggia in direzione ostinata e contraria

“Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità”

Smisurata Preghiera, di Fabrizio De André

Era il 1996 quando, durante un concerto, Fabrizio De André spiegò con queste parole il senso di Smisurata preghiera, un brano che rendeva omaggio alle minoranze: «è una preghiera, una sorta di invocazione…un’invocazione ad un’entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l’invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze. Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi… dire «Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni… e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze. La preghiera, l’invocazione, si chiama “smisurata” proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso.»

Le parole del poeta e cantante De André a distanza di più di 25 anni sono ancora drammaticamente attuali: così attuali che Black History Month Florence e Black History Month Bologna hanno scelto “OSTINATO” come tema dell’edizione del 2021.

manifestoAll’inizio del XX secolo lo storico statunitense Carter G. Woodson, che non accettava l’indifferenza di una società razzista che rappresentava le persone di colore in modo distorto e fuorviante e ne ignorava i contributi, lavorò con determinazione e ostinazione per raccontare al mondo la ricchezza della loro storia. Così iniziò a organizzare una serie di eventi dedicati alla storia dei neri, ogni anno, a febbraio, in occasione dei compleanni dell’abolizionista Frederick Douglass e di Abram Lincoln. In questa settimana, gli insegnanti ed educatori proponevano rievocazioni storiche di alcuni dei momenti cruciali della storia dei neri, venivano pubblicati articoli storici e si celebravano anche le abilità artistiche dei neri nella musica, nella letteratura e nell’arte.

Dal 1976 il Black History Month è diventata poi una celebrazione a cadenza annuale, di cui Black History Month Florence e Black History Month Bologna sono le declinazioni italiane.

L’edizione del 2021 è organizzata nel quadro tematico di OSTINATO, che intende essere allo stesso tempo un invito e una critica. L’invito è quello a un atteggiamento ostinato nell’impegno e nel lavoro socio-culturale di cui la nostra società ha sempre più bisogno. Mentre la critica è rivolta all’ostinazione con cui le istituzioni e la società oppongono resistenza al riconoscimento della lotta degli afro-discendenti rispetto all’accesso alla cittadinanza, al diritto al lavoro, alla casa e a una reale inclusione sociale nel contesto italiano.
Così come nel linguaggio musicale “ostinato” è una frase o un motivo che si ripete, sopra il quale avviene l’improvvisazione, Black History Month Florence e Black History Month Bologna intendono creare ritmi ripetitivi che sostengono le culture afrodiscendenti, fornendo quella coerenza e vivacità necessarie per dare spazio ad ogni cultura per esprimersi in libertà.

Progetto senza titoloE come Africa e Mediterraneo siamo lieti di poter essere partner di questo progetto, portando il nostro contributo al dibattito, organizzando un incontro dal titolo “To Blanch an Aethiop”, discutendo il topos biblico-letterario, presente già nelle favole di Esopo, che racchiude il portato tematico-semantico della bellezza femminile legata alla pelle bianca in epoca contemporanea e che rivela le origini antiche della pratica dello sbiancamento chimico della pelle nelle popolazioni africane o di origine africana. Il tema, contenuto nell’ultimo numero della rivista “Corno d’Africa: prospettive e relazioni”, dedicato all’approfondimento di aspetti storici, politici e culturali del Corno d’Africa, sarà al centro di un dibattito che intende porre l’attenzione su quanto sia fondamentale guardare al passato, antico e recente per decostruire la memoria semantica della colonizzazione, quel sentimento di superiorità degli uni che ha come controparte il sentimento di vergogna degli altri, il razzismo che procede fianco a fianco con la fissazione dello sguardo, a volte affascinato ma quasi sempre distorto, dell’Occidente.

L’evento si terrà online il 24 febbraio dalle 16.00 alle 18.00.

Il resto del ricchissimo programma prevede workshop, laboratori teatrali gratuiti a cura di Cantieri Meticci sul tema “Corpi Che Cambiano – Corpi di versi po’ etici – Per un na(rra)zione antirazzista”, dibattiti e conversazioni sulla geopolitica dei corpi in collaborazione con Decolonising Accademy
e Black Lives Matter Bologna e tanto altro.

Per maggiori informazioni:

https://bhmbo.it/copia-di-eventi-2020
https://www.facebook.com/BHM.BO

Schermata 2021-01-29 alle 15.28.26

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/ledizione-black-history-month-2021-viaggia-in-direzione-ostinata-e-contraria/trackback/

27 gennaio 2021

Ghana. Intervista al giornalista Anas Aremeyaw Anas

di Rossana Mamberto

Giornalista investigativo pluripremiato, Anas collabora con le principali testate internazionali tra cui BBC e Al Jazeera ed è stato citato dallo stesso Barack Obama come uno come uno dei giornalisti più coraggiosi del mondo contemporaneo.
L’intervista è stata realizzata ad Accra a fine dicembre, dove Rossana Mamberto, giornalista di Controradio e collaboratrice di Africa e Mediterraneo, è riuscita a incontrarlo in un’abitazione privata. Anche in quell’occasione Anas è arrivato sotto scorta e con il volto nascosto dalla caratteristica maschera di perline, divenuta un simbolo in tutto mondo africano.
Nessuno ha mai visto pubblicamente il suo viso.
Le sue inchieste, realizzate in vari Paesi del mondo, hanno portato in tribunale centinaia di persone, ma sono anche purtroppo costate la vita a uno dei suoi più stretti collaboratori.
Anas Aremeyaw rischia la vita ogni giorno.

L’audio integrale dell’intervista è andato in onda sull’emittente toscana Controradio il 30 dicembre scorso ed è riascoltabile qui: https://www.controradio.it/podcast/lintervista-esclusiva-ad-anes-aremeyaw/.

Un ringraziamento particolare va a Maria Luisa Troncoso, senza la quale l’incontro con Anas non sarebbe stato possibile.

Accra: Anas Aremeyaw Anas e Rossana Mamberto durante l’intervista

Sei famoso in tutto il mondo per le tue inchieste, vuoi raccontare ai nostri ascoltatori chi è Anas Aremeyaw?
Sono un giornalista d’inchiesta, ho lavorato per la BBC, Al Jazeera, ed altre testate internazionali, sono anche avvocato. Il mio giornalismo non è convenzionale, io uso una camera nascosta e individuo i responsabili delle azioni illegali su cui indago, poi faccio aprire delle inchieste giudiziarie sui colpevoli. Il mio giornalismo non è convenzionale ma è un giornalismo della gente, basato su ciò che accade all’interno della società. Sono dunque un prodotto della società e faccio quello che la mia gente pensa sia giusto.

Qual è stato il tuo ultimo lavoro?
Ho svolto numerose indagini sotto copertura, mi sono fatto mettere in prigione o ricoverare come paziente in un ospedale psichiatrico. Sempre sotto copertura ho anche svolto delle indagini per aiutare bambini vittime dei trafficanti, mi sono anche mascherato, come avvocato, come professore, e anche come donna. Il mio ultimo lavoro è stato in Malawi, dove ho investigato sul fatto che molta gente veniva uccisa e fatta a pezzi per compiere rituali e produrre amuleti.
[Questa indagine, condotta per la BBC, ha dato vita al documentario Malawi’s Human Harvest https://www.youtube.com/watch?v=lgbQLLcXiUo&ab_channel=DariusBazargan N.d.R.]
Ho sviluppato questa storia insieme a una indagine sul calcio che la gente chiama “Il n.12” e la BBC ha intitolato Betraying the game [il gioco tradito] https://www.youtube.com/watch?v=-eoFI-u3m88. Questa storia riguarda il calcio, la corruzione degli arbitrii e tutta la macchina che ci sta dietro. La storia è andata oltre il calcio ghanese, ha riguardato anche la Confederazione del Calcio Africano e la Fifa, con ripercussioni sulla Coppa del Mondo. L’indagine ha portato alla rimozione di un membro della Coppa del Mondo e anche di un membro dell’esecutivo della Fifa, assieme a più di 100 persone tra arbitri e dirigenza del calcio africano.

[Insieme a una squadra di giornalisti locali, Anas si è finto un facoltoso uomo d’affari. Il suo obiettivo era quello di smascherare trafficanti e guaritori tradizionali che utilizzavano il sangue e alcune parti del corpo di bambini per creare amuleti, venduti in cambio di prosperità e salute. La situazione per il team investigativo degenerò quando un gruppo di persone del villaggio li accusò di essere loro stessi trafficanti e di voler assassinare la gente del posto. Anas e i suoi collaboratori furono attaccati dalla folla ed il reporter venne colpito da un sasso e da una coltellata fino a che non riuscirono a dimostrare la loro vera identità. N.d.R.]

Accra, quartiere Nima: due murales raffiguranti Anas Aremeyaw Anas; in quello di sinistra è anche ricordato il suo collaboratore Ahmed Hussein-Suale ucciso il 16 gennaio 2019, con la scritta “RIP Ahmed”

Lavori su temi molto forti esponendoti sempre in prima persona. C’è un’inchiesta tra quelle che hai condotto che ti ha particolarmente toccato?

Sono stato più toccato da una indagine sui diritti umani dove ho lavorato sotto copertura in una prigione: la gente innocente che rimane in prigione perché non può pagare un avvocato sono solo una piccola parte di quello che ho visto. Un’altra indagine che ho svolto è stata nell’ospedale psichiatrico dove mi sono finto paziente e sono stato sottoposto a tutto quello che quotidianamente subiscono i pazienti dell’ospedale. L’eccessiva somministrazione di farmaci, i cartelli della droga che seguono le persone fino dentro l’ospedale psichiatrico offrendo loro droga e rendendole dipendenti: queste sono storie che mi hanno molto colpito. Ma anche l’indagine del calcio, che ha portato all’uccisione del mio collaboratore Ahmed Hussein-Suale, colpito da due proiettili nel collo e uno nel petto.

Sei molto popolare in Ghana, dove è possibile un po’ ovunque vedere graffiti che ti rappresentano e richiamano alle tue indagini. Nel quartiere di Nima ho visto la tua immagine dipinta un muro accompagnata dalla scritta “sii l’Anas nella tua comunità”. Come è possibile secondo te essere Anas all’interno della propria comunità?
Io penso che non dipenda da una singola persona, ma dalla collettività. Anas rappresentata un obiettivo comune, quello di mantenere una società sana. Se le persone decidono di denunciare come io denuncio, se le persone mi prendono ad esempio, forse non riusciremo a sradicare la corruzione, ma la società potrà essere meglio di ora. Sono stati anni di lavoro, che hanno guidato il modo di pensare della gente e di reagire di fronte a determinate questioni che colpiscono la società, come la corruzione. Per questo si possono vedere film, graffiti, cartoni animati, che si rifanno alle indagini di Anas, ma non è una questione individuale, sono principi che io difendo con il lavoro che faccio.

Come riesci proteggere il tuo anonimato e allo stesso tempo essere così popolare?
Penso che il giornalismo sia un’arte. Proteggere il proprio anonimato non vuole dire che non vuoi essere conosciuto. Nel passato la gente usava pseudonimi che potevano diventare anche molto popolari. L’anonimato protegge, ma è l’impatto del lavoro, la sua costanza e l’effetto sulla società che ti rendono importante e popolare.

Puoi dirci qualcosa sulla maschera che porti davanti al viso? Raccontaci la sua storia
Considerando le minacce che ricevo per le inchieste su cui lavoro, la domanda che mi sono fatto è: “Come posso proteggere me stesso per potere raccontare una nuova storia domani? Cosa posso usare per coprire la mia faccia, e che sia sinonimo del continente africano?” E anche: “che materiale posso usare che non si possa usare solo in Ghana ma anche in Kenya, o in Nigeria?”.
Ecco perché ho scelto una maschera di perline, un materiale che si può trovare ovunque in Africa e che mi garantisce anche l’anonimato.

Come scegli i soggetti per le tue inchieste, come selezioni i casi che decidi di seguire?
La scelta del caso emerge direttamente dalla società. Abbiamo un gruppo di lavoro in cui vengono discussi i fatti che accadono nel continente africano. Più la gente parla di un fatto più questo diventa rilevante. Ma vorrei chiarire prima una cosa: quando definisco il mio giornalismo come un giornalismo di denuncia e di condanna, voglio dire che in Paesi occidentali come Inghilterra, Usa e anche Italia, il lavoro del giornalista rimane a livello di denuncia di un fatto. Poi ci si aspetta che le istituzioni giudiziarie prendano in carico il caso per un’eventuale condanna. Quando dico che sono il prodotto della mia società, voglio dire che quello che funziona nella vostra società non funziona nella mia. Le nostre istituzioni non sono molto sviluppate, non hanno la capacità di giudicare e condannare casi che vengono denunciati. Quindi, dopo che la mia storia è pubblicata, dopo che ho raccolto tutte le prove con la mia camera nascosta, le fornisco alle istituzioni. Offro loro i miei video e le mie foto, le persone vengono arrestate io testimonio direttamente nella Corte di Giustizia per garantirne la condanna. Non ha senso fare giornalismo e poi vivere insieme ai delinquenti. È molto pericoloso. Quindi testimonio per la loro colpevolezza. Questo crea molti problemi, vuol dire che le persone ti cercano per ucciderti ogni giorno, ma funziona.
Basta vedere la mia indagine sul traffico sessuale da parte della mafia cinese, dove alcune persone saranno in prigione per 45 anni, oppure la storia dell’uomo che rapiva ragazzine anche di solo tre anni che è stato condannato a 15 anni, o anche la storia del contrabbando del cacao, dove persone sono state condannate a 16 anni di prigione.
Sto parlando di un tipo di giornalismo che funziona nella mia società e che non funziona necessariamente nei paesi occidentali, un giornalismo definito per la mia società e non per qualcuno che vive in Colombia o altrove. Non sono un sostenitore del giornalismo sulla carta, come tutti lo intendono, ma pratico quello che la mia gente chiama giornalismo.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/ghana-intervista-al-giornalista-anas-aremeyaw-anas/trackback/

21 gennaio 2021

Uganda e la sfida della democrazia

Il regime di Museveni in Uganda corrompe e tortura chiunque cerchi di ostacolarlo. Nel 2017 la parlamentare Betty Nambooze, che aveva cercato di bloccare una proposta di legge che avrebbe permesso a Museveni di governare a vita, fu portata dalle forze speciali in una stanza senza telecamera. Ne uscì con due vertebre rotte. Nel 2018 il cantante ugandese Bobi Wine, dopo la sua elezione in parlamento, fu arrestato insieme ad altri suoi colleghi con l’accusa di aver lanciato pietre durante un comizio del presidente. Uscirono dal carcere che dovevano appoggiarsi alle stampelle per camminare. Lo scorso autunno, in piena emergenza sanitaria causata dalla pandemia, 16 persone sono state uccise e altre 65 sono state ferite durante due giorni di violente manifestazioni di protesta in seguito all’ennesimo arresto di Bobi Wine, candidato dell’opposizione per le presidenziali.

yoweri-museveniYoweri Museveni, 76 anni, è l’uomo forte dell’Uganda dal 1986. Quest’anno ha vinto il suo sesto mandato nonostante le accuse di irregolarità durante la campagna elettorale del 14 gennaio 2021, ottenendo il 59% dei voti contro Bobi Wine, che ha ottenuto il 35%. Museveni è anche uno dei più stretti collaboratori africani degli Stati Uniti in materia di sicurezza: gli ugandesi hanno prestato servizio militare sotto il comando statunitense in Iraq e in Somalia, e in cambio ogni anno il Paese riceve da Washington miliardi di dollari destinati al sistema sanitario e soprattutto all’efficienza dell’esercito ugandese. Come scrive Helen Epstein, nell’articolo Vietato criticare pubblicato sul numero 1392 / anno 28 dell’Internazionale, si tratta di «una forma moderna di colonialismo, anche se Washington preferisce parlare di “partenariato” (…) Per riempire le tasche di un dittatore, e far sì che i suoi soldati combattano le guerre degli stranieri, è necessario pensare che le vite degli africani siano sacrificabili».

111441833_p087tgypAttualmente Bobi Wine è agli arresti domiciliari dal giorno del voto presidenziale, ma continua a denunciare il furto elettorale, le intimidazioni e le aggressioni degli alleati al regime. Il suo attivismo poltitico gli è valso il soprannome di “presidente del ghetto” e la sua ascesa ha infiammato i giovani ugandesi, anche tra chi non aveva mai mostrato interesse per la politica. Nei testi delle sue canzoni, un misto di rap e reggae, Bobi Wine parla della disoccupazione giovanile, della povertà delle baraccopoli e della repressione del dissenso. Il cantante, dunque, si inserisce sulla scia dell’azione di protesta di diversi giovani africani che sfidano le vecchie élite al potere e aspirano al rinnovamento sociale e politico. Lo scrittore, drammaturgo e poeta nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, è intervenuto sulle elezioni ugandesi del 14 gennaio, dichiarando che «Bobi Wine, per me in questo momento, rappresenta il volto della democrazia per l’Uganda».

Segnaliamo questo documentario interessante pubblicato per DWDocumentary:
https://www.youtube.com/watch?v=9YMu55BN3Ns

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/uganda-e-la-sfida-della-democrazia/trackback/

15 gennaio 2021

Scompare il fumettista camerunense Kelly Ntep

È deceduto improvvisamente il 9 gennaio, a Yaoundé, il fumettista camerunense Kelly Ntep. Attivo come disegnatore e comunicatore, aveva fatto parte del collettivo A3 e partecipato alle riviste Bitchakala e Waka. Una sua storia sulle difficoltà e ostacoli vissuti per diventare disegnatore professionista è pubblicata nel volume Africa Comics 2007-2008, ed è visibile sul sito del nostro archivio http://www.africacomics.net/comics/profession-dessinateur/. Avremmo dovuto lavorare con lui nel progetto RIME-Refugee inclusion moves Europe, un Erasmus+ di comunicazione sulla migrazione.

IMGP3147

Yaoundé, 2018: Kelly tout seul et, ensuite, avec son ami presque frère Georges Pondy (avec la queue de cheval) et moi.

Pubblichiamo la lettera che ci ha scritto lo sceneggiatore franco-camerunese e presidente dell’associazione L’Afrique dessinée Christophe Edimo, annunciando la triste notizia. Una lettera dolorosa per un’amicizia e una collaborazione professionale così brutalmente interrotta ma che lancia anche una dura accusa al governo del Paese per la situazione sanitaria e sociale che i cittadini devono sopportare. Anche le immagini sono state raccolte da Edimo tra i lavori di Kelly e presso i suoi colleghi.

IMGP3159Una lettera di Christophe Ngalle Edimo

Très triste nouvelle, Kelly NTEP est décédé samedi matin à Yaoundé.
C’est terrible pour ses parents et pour sa petite sœur.

Il venait de terminer son footing matinal et préparait le petit déjeuner quand il s’est effondré. Le temps de le transporter à l’hôpital, puis que quelqu’un s’occupe de lui, il est décédé (Kelly habite dans un quartier “normal”, c’est à dire difficile d’accès et loin des infrastructures, notamment de santé).
Kelly avait été victime d’une intoxication aux médicaments en avril 2020 (une prescription erronée, ou une surdose), mais après quelques jours d’hospitalisation il s’en était sorti.
Là, on ne sait pas trop ce qui s’est passé. De ce qu’on m’a raconté je pense à un AVC [accident vasculaire cérébral]. Mais l’état du service public de santé au Cameroun ne permettra pas de savoir.

IMGP3155

Yaoundé, 2018. Georges Pondy, Hugues Bertrand Biboum (alias Gomez), Kelly Ntep, Simon Mbumbo

Mais pour moi Kelly est décédé surtout des conditions de vie et de la manière dont le gouvernement traite les gens au Cameroun et un peu partout en Afrique : supporter ça pendant des décennies, avec le stress qui va avec, c’est inhumain.
Il faut se méfier en Europe, car avec les gouvernements que nous avons, on y va tout droit. Beaucoup de gens en France ont été choqués par la terminologie utilisée lors de cette crise du Coronavirus : “les gens non essentiels doivent arrêter de travailler et se confiner”.

Pour moi, “non essentiel” c’est ce qu’on fait comprendre à tous ceux qui sont contraints à l’immigration en Afrique.

C’est la première fois que la toute petite communauté des dessinateurs camerounais perd quelqu’un, le choc est grand.

IMG_20201205_164717

“En décembre 2020 à Yaoundé, rencontre d’auteurs BD, Kelly face à moi (oui, j’avoue, je faisais le malin avec le maillot de l’Atalanta de Bergame)”

Kelly, qui était aussi vidéaste, venait de recevoir deux prix (il y a une dizaine de jours), et je devais le mettre sur son CV par rapport à un projet que nous avions (avec son camarade, presque frère, le dessinateur George PONDY, également de Yaoundé), projet de roman graphique entre Cameroun, France et USA.

RIP Kelly.

 

 

 

Alcuni disegni con cui i colleghi hanno ricordato Kelly NTEP e alcuni suoi fumetti.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/scompare-il-fumettista-camerunense-kelly-ntep/trackback/

13 gennaio 2021

Il migliore bar del centro. Storia di un’accoglienza in famiglia

Abbiamo ricevuto questa testimonianza in cui si parla di un’esperienza di accoglienza in famiglia, e abbiamo deciso di pubblicarla per condividere un messaggio positivo per il nuovo anno che si prospetta davanti a noi. Buona lettura!

Una testimonianza di
Elena Cesari e Roberta Sireno

Sembrava un incontro quasi impossibile. Due donne che si amano, in un condominio solidale di un’associazione con forti radici cattoliche, che ospitano un uomo adulto musulmano, una persona rifugiata proveniente dal Mali. È l’amore una faccenda privata da custodire gelosamente fra 4 mura? La nostra risposta è stata no, e abbiamo deciso di intraprendere questo percorso di condivisione anche se temporanea (ma per quanto tempo non lo avevamo stabilito a priori), degli spazi di casa, del cibo, della vita.

Ma non è una storia che ha a che fare con “quanto siamo brave e buone”, è una storia che ha a che fare con fatica, incomprensioni, piccoli egoismi quotidiani, dove quello che condivido con te è comunque sempre una fettina, perché in quanto bianca, italiana, di classe media, con cittadinanza italiana, con genitori e amici, il mio piatto è sempre più pieno, la mia voce sempre più alta della tua, il coltello (o il cucchiaio) lo tengo io dalla parte del manico. SEMPRE.

mani

Tu amico (sì, ora posso chiamarti amico, voglio chiamarti amico) che hai perso tutto, sei fuggito dall’odio e dalla violenza, mentre dentro morivi anche tu, senza aver nessun appiglio, se non la fuga. Tu amico che sei stato fermato in Italia su di un treno e che hai imparato a chiedere asilo politico come ultima fermata possibile. Tu che non hai studiato e che per questo ti senti inferiore a me, per questo mi rispetti, come se solo la scuola o i libri dessero il diritto di essere rispettati. Tu che ascolti e guardi in silenzio tutte le nostre conversazioni “normali”, su dove andare il weekend, sulle vacanze, i viaggi, sui regali di compleanno, come se il viaggiare come turisti fosse una pratica universale, come se il nostro quotidiano fosse quello di tutta l’umanità.

Ad ogni conversazione ho imparato a osservarti mentre ci osservavi, a chiedermi cosa stessi pensando mentre noi diamo per scontato la nostra vita, il nostro livello di benessere e lo facciamo tutti i giorni più o meno inconsapevolmente.
Ma da oggi, amico, dopo questo pezzettino di strada fatta fianco a fianco, mi sembra di esserne più consapevole, di averti visto più da vicino e di poter dire che, nonostante i litigi, ci possiamo dire amici, noi tre. Amici diseguali, amici o amiche strane, noi con questo coltello che ci ritroviamo nostro malgrado in mano, tu con le tue cicatrici profonde e che continueranno a dispetto di tutto a sanguinare.

Tu hai imparato da noi che due donne che stanno insieme non sono uno scherzo della natura, noi abbiamo imparato da te che due donne bianche e un uomo nero possono anche essere una bella famiglia.

Abbiamo tutte e tutti il diritto e dovere di imparare ad aprire le nostre menti, scardinare i chiavistelli che ci rinchiudono dentro a roccaforti di oggetti e di consumismo, che ci fanno schiavi di paure e false certezze. Soprattutto in questo periodo dove restare chiusi in casa e non vedere nessuno sembra sia l’unica possibilità, occorre il coraggio di dire no, di restare vigili e pronti ad aprire a chi bussa alla porta. Ho un adesivo in casa che ho appeso alla porta: “Se chiudi con il razzismo ti si apre un mondo”. Il bussare là fuori è sempre più forte, e ho come l’impressione che, quella porta, col nostro contributo o senza, si aprirà comunque. Anzi forse proprio cadrà a pezzi, come le frontiere che ci separano.

E allora nessuno potrà più fingere di non vedere chi c’è dall’altra parte.

Toun è arrivato qui 2 anni e mezzo fa a giugno del 2018. Era disorientato, ha bevuto un the, è uscito sul terrazzo ed è restato immobile diversi secondi che poi sono diventati due anni e mezzo a guardare gli alberi, a sentire il vento, a fumare sigarette, in quel posacenere troppo pieno. Mi ricordo che ho pensato subito che la sofferenza che portava dentro sarebbe stata l’ostacolo da combattere, non più da solo però, ma insieme.

AACM-COVER-2-756x620Insieme. Insieme come abbiamo potuto, ma insieme. Insieme alla nostra prodigiosa, magica, solare rete di amici e amiche, che ci hanno sostenuto. Prima di tutto a Marco che ha traghettato Toun dal centro di accoglienza a noi e a Ivana che ha seguito tutto il percorso legale per il riconoscimento della protezione sussidiaria di Toun. Alla piccola comunità, a Ursula, Nicola, Lorenza, Andrea, agli amici della montagna e soprattutto a Rosa, amica da sempre e per sempre e a Manuele che hanno assunto Toun nella loro piccola ditta di pulizie, a tutti gli amici di Campi Aperti: a Carlo e Germana, Franco e gli altri di Fermenti Sociali, a Pier Paolo e a Lucrezia a con la quale ha lavorato nelle lunghe giornate dei mesi di marzo, aprile, maggio scorsi, senza i quali avremmo letteralmente perso pazienza e speranza. E grazie a Mcf per averci permesso con i fondi del progetto “Accoglili a casa mia” di coinvolgere queste piccole aziende contadine, in un circolo virtuoso che avremmo voluto non finisse mai… Ancora grazie a Teresa per aver captato i messaggi astrali e averci dato il contatto giusto al momento giusto per la nuova prossima casa dove Toun si appresta a trasferirsi.

E infine grazie a te Toun per ogni cosa, per averci sopportate nelle nostre sfuriate, perché:

– di notte avevi il vizio di aprire la finestra e fumarti una sigaretta guardando il fiume (e noi non sentivamo niente di poetico, ma solo la puzza di fumo);
– Toun potresti andare a prendere la legna per la stufa visto che ci sei sempre incollato (come se stare a guardare un bel fuoco non fosse una virtù);
– perché ci hai preso due uova senza dircelo? Non è perché le prendi ma almeno diccelo…

Quanto siamo state piccole, abbiamo capito di esserlo state, ma per te ci siamo sentite grandi e la casa da trilocale è diventata una reggia ( “pensa alla persone che con questo freddo dormono fuori”, ci hai detto,“come fanno?”), la nostra tavola un ristorante di tutto rispetto, il nostro caffè quello del migliore bar del centro città. E abbiamo capito, grazie a te, che oltre ad essere ricche fuori, forse potevamo permetterci il lusso di esserlo anche dentro.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/il-migliore-bar-del-centro-storia-di-unaccoglienza-in-famiglia/trackback/

04 dicembre 2020

Corno d’Africa: prospettive e relazioni. Presentiamo il nuovo numero di Africa e Mediterraneo il 16 dicembre alle 14,45

Il dossier n. 92-93 di Africa e Mediterraneo “Corno d’Africa: prospettive e relazioni” è dedicato all’approfondimento di aspetti storici, politici e culturali di quest’area che l’attuale conflitto nella regione etiopica del Tigray sta mettendo a forte rischio d’instabilità.
Volendo andare oltre la persistente immagine negativa del Corno, dando spazio soprattutto a dinamiche che apparivano ben poco realistiche fino a poco tempo fa, come, oltre alla pace Etiopia-Eritrea del 2018, la progressiva costruzione di uno Stato somalo, con istituzioni ed economia fragili, ma non prive di una certa credibilità, e l’ascesa di una nuova classe media giovane, istruita e connessa con il mondo esterno, sempre meno incline a pensare la propria vita secondo i modelli tradizionali.

Aida Muluneh, The World is 9: Postcards to Asmara, 2016

Aida Muluneh, The World is 9: Postcards to Asmara, 2016

Il dossier sarà presentato Mercoledì 16 dicembre dalle ore 14,45 alle ore 16,15 sulla pagina Facebook di Africa e Mediterraneo con il seguente programma:

Matteo Lepore, Assessore alla Cultura del Comune di Bologna
Stefano Manservisi, Docente a Sciences Po – Paris School for International Affairs e al Collegio Europeo di Parma, co-curatore del dossier
Emanuela C. Del Re, Vice Ministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale
Romano Prodi, Presidente Fondazione per la Collaborazione tra I popoli, già Presidente dell’United Nations-African Union High-level Panel for Peacekeeping in Africa
Nicolás Berlanga Martínez, Ambasciatore dell’Unione Europea in Somalia
Irma Taddia, Professoressa di Storia dell’Africa all’Università di Bologna
Tekeste Negash, Professore emerito di Storia moderna
Modera: Sandra Federici, Direttrice di Africa e Mediterraneo
L’evento è organizzato in collaborazione con:

Fondazione per la Collaborazione tra i popoli
Fondazione per l’Innovazione urbana

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/corno-dafrica-prospettive-e-relazioni-presentiamo-il-nuovo-numero-di-africa-e-mediterraneo-il-16-dicembre-alle-1445/trackback/

05 agosto 2020

L’arte digitalizzata. I fumetti africani in una mostra virtuale

Realizzare una mostra virtuale non è un processo semplice: le scelte progettuali devono scaturire da un’analisi attenta delle modalità espressive, dell’architettura e dei linguaggi in modo da creare percorsi narrativi accessibili ai diversi gruppi di utenti. Una mostra virtuale consiste in un ipertesto multimediale pubblicato sul web, in cui gli oggetti digitali sono collegati fra loro da nessi evidenti e resi fruibili attraverso le potenzialità offerte dalla tecnologia. Sempre più frequentemente i soggetti culturali ricorrono a questo tipo di forme espositive, che escono dai parametri spazio/temporali reali per collocarsi all’interno di piattaforme web. È il caso della Afropolitan Comics, una mostra virtuale che presenta caratteristiche originali ed inedite, e che fa parte del programma del National Arts Festival che si è svolto online dal 25 giugno al 5 luglio. La mostra, ancora visitabile sul sito, presenta il lavoro dei principali artisti di tutto il continente africano, e ruota intorno a tre temi principali: “Autobiografia”, “Eroi e storia” e “Folklore e il futuro”; e conterrà le opere dei maggiori artisti di fumetto, tra i quali gli artisti sudafricani Loyiso Mkize (che ha disegnato il poster della mostra) e Luke Molver, l’artista nigeriano Tayo Fatunla e l’artista camerunese Rene Dibussi.

share

Concepita all’interno dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, quest’esperienza multimediale innovativa è stata realizzata dal The French Institute of South Africa (IFAS) in partneriato con Cité internationale de la Bande Dessinée et de l’image. La parte relativa ai fumetti sudafricani è stata curata da Tara Weber, curatrice della Johannesburg Art Gallery e dal fumettista Raymond Whitcher, mentre la parte dedicata ai fumetti degli altri paesi del continente è stata gestita dal consulente scientifico della Cité Jean-Philippe Martin e dalla fumettista e regista Joelle Epèe Mandengue. Il progetto creativo e digitale è stato sviluppato dallo studio Cher Ami.

africa-comicsComix3

L’insieme delle percezioni sensoriali ed emotive provocate dalla partecipazione a una mostra “fisica” non potrà mai essere sostituito da un’alternativa sul web, tuttavia l’esperienza virtuale può essere un’opportunità di apprendimento e arricchimento della conoscenza, in particolare se si è fruitori attivi della proposta espositiva. Queste esperienze realizzate con linguaggi informatici stanno assumendo sempre più una rilevanza istituzionale: musei, archivi, biblioteche e istituzioni culturali vi fanno ricorso. Anche Africa e Mediterraneo in collaborazione con Lai-momo ha realizzato una grande collezione di fumetti, disegni e illustrazioni di autori africani che, dopo un lungo e scrupoloso lavoro di catalogazione, è stata digitalizzata e resa disponibile online per appassionati e addetti ai lavori sul sito http://www.africacomics.net/.
Queste esperienze vanno considerate perciò come un’importante attività creativa da sostenere per la crescita futura: le opere digitalizzate possono diventare protagoniste del discorso culturale.

Per maggiori informazioni sulla mostra: http://www.ifas.org.za/

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/larte-digitalizzata-i-fumetti-africani-in-una-mostra-virtuale/trackback/

15 aprile 2020

Il coronavirus e il senso di invulnerabilità

Un articolo di
Nelly Diop per Africa e Mediterraneo

“I Senegalesi vivono le loro vite come se niente fosse! Ci prepariamo al peggio!” Questa è la risposta che ho ricevuto ieri quando ho chiesto ai miei familiari a Dakar come andava. Il mio primo riflesso è stato condannare la loro incoscienza. Però, ripercorrendo l’ascesa della malattia in Europa, ci si accorge che questa “incoscienza” ha pervaso tutti i Paesi europei, e soprattutto i giovani, almeno all’inizio del diffondersi della malattia. Ospitando l’Africa il venti per cento della popolazione giovane del mondo, la conclusione era ovvia.
Tutte le nazioni europee, mentre la pandemia faceva già una strage in Lombardia, hanno continuato a vivere come se la cosa riguardasse soltanto l’Italia. L’errore di sottovalutazione è stato commesso da tutti. Ogni Paese si è considerato invulnerabile, per non si sa quale motivo, all’attacco del virus. La personificazione più nota è Boris Johnson. Senso di invulnerabilità e visione degli altri come alterità, dovremmo saperlo, non vanno di pari passo con il senso di responsabilità.

goorgoorlou_eroe_senegalese
Goorgoorlou, eroe a fumetti della débrouille senegalese, ideato da T.T. Fons

Per tornare al Senegal, dopo la paura dei primi giorni di marzo, dopo la dichiarazione del coprifuoco dalle ore venti all’alba del 23 marzo, ora i Senegalesi hanno ripreso a vivere “come se niente fosse”. In realtà l’affermazione è in parte superficiale. Nel paese, come del resto, in gran parte del continente africano, la maggior parte delle famiglie vive giorno per giorno con un sistema informale conosciuto in Senegal come le système D – da débrouillein altre parole l’arte di arrangiarsi. La certezza di uno stipendio mensile è un lusso. Per mangiare un pasto oggi o l’indomani, molti devono andare in città per vedere cosa porta la giornata. L’economia di sussistenza non permette di fare risparmi e quindi scorte di cibo. Come non permette di poter mantenere le distanze di sicurezza e di curarsi quando il bisogno si presenta. Quando le funzioni che dovrebbero essere dello stato sociale, quello permanente, organizzato e certo, sono lasciate alle famiglie e, in non pochi casi, alle rimesse degli emigrati, che adesso non possono più provvedere, ci si maschera dietro un senso di “invincibilità”, che in realtà rappresenta l’unica scelta di chi non ha scelta.
Secondo la BBC, le cifre ufficiali in Senegal hanno registrato, in data 12 aprile, 280 casi, il numero di pazienti guariti, 171, è superiore a quello dei contagiati “attivi”, 107. Sono numeri, appunto. L’altra faccia del Coronavirus. Nessuno crede più ai numeri ufficiali. Nessuno sa realmente quando è arrivato il virus (si fanno soltanto ipotesi). Nessuno sa chi è deceduto “con coronavirus” o “a causa” del coronavirus. Il silenzio di questo virus, che può abitare i nostri corpi senza dare assolutamente sintomi, rende la conta dei malati e una possibile previsione di cosa sarà del nostro futuro ancora più difficile. Aspettando di saperne di più, tutti prevedono una pandemia in Africa, tranne gli Africani che, di epidemie e di malattie gravi ne hanno conosciute nel corso degli anni una quantità spaventosa… Si preparano al peggio, augurandosi che non arrivi mai.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/il-coronavirus-e-il-senso-di-invulnerabilita/trackback/