12 ottobre 2011

L’Italia sono anch’io!

La campagna nazionale “L’Italia sono anch’io” vuole rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri come strumento necessario per una reale integrazione e come presupposto per una fruizione concreta di tutti i diritti.

Promossa da 19 organizzazioni (fra cui Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Cgil, ecc) e presieduta dal il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, la campagna propone la modifica delle norme vigenti in materia di cittadinanza e di diritto al voto dei cittadini stranieri ed, in particolare, si propone di concedere la cittadinanza a chi:

- è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno sia legalmente soggiornante sul territorio da non meno un anno o che sia nato nel territorio italiano;

- è nato in Italia o vi è entrato entro il decimo anno di età e vi abbia legalmente soggiornato fino alla maggiore età;

- agli stranieri che risiedono legalmente in Italia da almeno cinque anni (anziché dieci, come prevede l’attuale normativa).

Inoltre, in merito alla posizione dei minori, si prevede la possibilità di acquisizione della cittadinanza per chi ha frequentato un corso di istruzione primaria o secondaria o un percorso di istruzione o formazione professionale.

Per quel che riguarda le domande di cittadinanza per  matrimonio, invece, si  chiede il ripristino del termine dei sei mesi di residenza dopo lo sposalizio.

Infine, la campagna nazionale “Italia sono anch’io” chiede, come avviene in alcuni paesi europei (per esempio Belgio, Danimarca, Olanda, Spagna e Svezia) il diritto di elettorato attivo nelle elezioni comunali e provinciali anche per chi non è cittadino italiano (qualora abbia maturato cinque anni di regolare soggiorno in Italia).

Per aderire e firmare il manifesto basta collegarsi al sito: www.litaliasonoanchio.it

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03 agosto 2011

Numero 74 di Africa e Mediterraneo: Il Senegal e la diaspora senegalese

Acquista il numero 74 sul sito dell’editore Lai-momo

Il dossier che pubblichiamo presenta alcuni approfondimenti sugli eventi socio-culturali che hanno segnato l’ultimo anno e nei quali il Senegal ha inteso interpretare un ruolo anche politico presentandosi come punto di riferimento di una visione globale e panafricana del futuro del continente e della sua proposta culturale: il Monumento al Rinascimento africano e il terzo Festival mondial des arts nègres. Queste iniziative sono approfondite e spiegate nei loro retroscena, nelle motivazioni e negli errori dagli articoli di Victoire Axiga-Dokpo e Itala Vivan.

Il dossier continua con vari approfondimenti su aspetti culturali del Senegal, con interessanti visuali storiche. Un panorama del cinema senegalese, della sua importanza nel passato con l’opera dei grandi Ousmane Sembène e Djibril Diop Mambéty così come della sua difficoltà attuale, è tracciato nell’articolo di Simona Cella.

La denuncia senza sconti dei rapper del movimento di protesta “Y en a marre” nei confronti della corruzione e dell’immobilismo della classe dirigente del Paese, così come la presa di posizione degli artisti hip hop nella vetrina mediatica del Forum sociale mondiale, tenutosi a Dakar nello scorso febbraio, sono raccontati da Fabrizio Guglielmini, assieme alla produzione degli artisti del neo ‘mbalax come Coumba Gawlo e Yossou Ndour.

Due importanti scrittori senegalesi presenti in Italia hanno dato il loro contributo a questo dossier: Cheikh Tidiane Gaye dando una personale selezione, presentazione e traduzione dei poeti senegalesi, Pap Khouma raccontando dal punto di vista di pioniere dell’immigrazione in Italia una breve storia del movimento che ha portato decine di migliaia di giovani senegalesi a spostarsi in Italia. L’integrazione linguistico-culturale di questi nuovi cittadini, con tutte le implicazioni sull’intreccio dei rapporti personali, sulla costruzione di famiglie miste, sull’educazione dei figli, è trattata dall’etnolinguista Baye Ndiaye, presidente del Centro orientamento studi africani di Milano.

Elisabetta Bevilacqua traccia una storia della presenza di scrittori senegalesi nel panorama della scrittura della migrazione in Italia, approfondendo, tra le altre, proprio l’opera di Pap Khouma, il cui libro (scritto assieme a Oreste Pivetta) Io venditore di elefanti è considerato il titolo con cui la “letteratura della migrazione” ha fatto il suo esordio in Italia.

La storia del Senegal è stata a lungo, bisogna dirlo, la storia del suo rapporto con la Francia. Un rapporto a cui la figura del poeta presidente Senghor ha dato una importante connotazione letteraria, culturale e linguistica, cosa che ha portato in eredità anche una certa ambiguità. Un’ambiguità che caratterizza la storia a fumetti Le Sénégal et Léopold Sédar Senghor, creata dallo sceneggiatore francese Saint-Michel, analizzata da Francesca Romana Paci, con un’attenzione speciale proprio alle implicazioni visive e linguistiche, spesso molto sottili, che possono essere ricondotte al complicato rapporto tra Paese colonizzato e madrepatria colonizzatrice. I fumetti sono un ottimo modo per capire il tessuto sociale di un Paese, per questo abbiamo pubblicato una tavola delle avventure di Goorgoorlou, l’anti-eroe creato dalla penna di T.T. Fons, probabilmente il più famoso e popolare personaggio a fumetti del Senegal, in quanto rappresenta l’uomo medio senegalese, disoccupato, alla ricerca costante di una piccola somma per la “Spesa Quotidiana”. Anche le tavole di Lamine Dieme, sulla passione dei bambini per il gioco del calcio, rappresentano una scena energica e scanzonata della vita sociale senegalese.

Come abbiamo detto, il Senegal è da tempo molto legato anche all’Italia, anche perché quella presente da noi è la più grande tra le diaspore senegalesi. L’articolo di Anna Casella Paltrinieri ripercorre la presenza dei Senegalesi muridi nella provincia di Brescia, dove questa confraternita ha creato un centro per il culto che, se in passato è stato occasione di dialogo interculturale e interesse reciproco con le istituzioni locali italiane, negli ultimi anni è diventato pretesto per polemiche sulla sicurezza da parte di alcuni partiti, senza che da parte della comunità senegalese si sia riusciti a dare un’adeguata risposta.

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28 luglio 2011

Cucire relazioni, al femminile

A volte succede. Anzi, succede spesso, che siano le donne a realizzare i passi fondamentali verso una convivenza tra culture costruttiva e arricchente per tutti.
E spesso succede in provincia, dove gli incontri quotidiani faccia a faccia davanti a scuola, al parco o a fare la spesa fanno sì che tra donne si stringano relazioni che superano tutti i pregiudizi.

A Granarolo,  tutto ha avuto inizio da una semplice richiesta da parte di alcune cittadine straniere, desiderose di investire il proprio tempo per imparare qualcosa di pratico, utile nella vita di tutti i giorni e, nello specifico, per apprendere le tecniche di base del cucito (rammendare, attaccare un bottone o una chiusura lampo).
E la richiesta, accolta dall’operatrice di Punto Migranti (lo sportello per cittadini stranieri organizzato dalla coop Lai-momo), è stata trasmessa all’associazione “Donne Insieme”, alla “Banca del Tempo” e al centro sociale “Il Roseto” che hanno messo in gioco le loro competenze, disponibilità e voglia di fare perché la semplice richiesta diventasse un corso reale.
In breve ecco quindi prendere vita un corso di cucito che si è tenuto presso il centro sociale “Il Roseto” per sei lunedì, dai primi di aprile a fine maggio.
“Un’esperienza contagiosa di sorrisi e colori”, dice il presidente del centro sociale Remo Manferdini, mentre l’insegnante Anna Maria, che ha messo a disposizione il suo tempo e la sua professionalità, ha manifestato una grande soddisfazione e ammirazione per la bravura e l’impegno delle sue allieve.
Le signore, quasi tutte provenienti dal Marocco, ma non solo (una di loro è ivoriana), erano quasi una dozzina e hanno partecipato con entusiasmo alle lezioni, durante le quali
hanno anche realizzato dei piccoli abiti, tutti diversi, ma ognuno accomunato da una precisione non di poco conto.

Durante il corso poi, sempre in maniera estremamente spontanea, è nata l’idea, immediatamente messa in pratica, di un corso di ricamo marocchino, il Randa, che si è tenuto per alcuni mercoledì sempre presso il centro sociale.

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21 giugno 2011

Giornata mondiale del Rifugiato: la notizia da dare



Non so se questa notizia sia apparsa sui media generalisti italiani, io la trovo una notizia da breaking news. Nella Giornata mondiale del Rifugiato importanti gruppi di orientamento cristiano (non solo cattolico) hanno organizzato una veglia di preghiera per la memoria dei morti nei viaggi dell’emigrazione verso l’Europa. (Una descrizione è sul sito della comunità di Sant’Egidio. http://www.santegidio.org/index.php?pageID=2361&idLng=1062&res=1)

La veglia si intitolava “Morire di speranza”, e vi hanno partecipato migliaia di persone, ascoltando i nomi e le storie dei morti, accendendo candele, ricordando chi è morto senza un nome. Sono alcuni anni che questa veglia si tiene in Santa Maria in Trastevere a Roma, in prossimità della Giornata del Rifugiato.

Nei primi 5 mesi del 2011 si registrano già 1.820 morti in tutto il Mediterraneo, di cui 1.633 in viaggio verso l’Italia. Dal 1990 almeno 17.597 persone sono morte nel viaggio lungo le frontiere dell’Europa. Morti orribili, che hanno spesso coinvolto bambini.

Di fronte a una tragedia di queste proporzioni, così assurda e ingiusta, è necessario un grande lavoro di sollecitazione delle coscienze, di sensibilizzazione, di pressione sulla politica.

Ma è anche importante che ci sia chi, nei confronti di queste 17.597 singole, speciali, individuali tragedie, di queste 17.597 sconfitte, dimostri “com-passione” nel modo che chi ha fede ritiene importante e unico: la preghiera.

Una preghiera collettiva che mi fa venire automaticamente in mente il laicissimo “Restiamo umani” con cui Vittorio Arrigoni concludeva gli articoli.

TAG Giornata mondiale del Rifugiato, Comunità di Sant’Egidio, Morire di speranza, Restiamo umani, Vittorio Arrigoni, veglia di preghiera, morti dell’immigrazione

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17 maggio 2011

I Migrant Domestic Workers in Europa e i meccanismi di riconoscimento e protezione

Abbiamo partecipato due settimane fa ad una tavola rotonda a Bruxelles organizzata dalla rete di ONG “SOLIDAR”, dal titolo: “Migrant domestic workers: from modern-day slavery to equal pay”. L’intento dell’incontro era quello di riunire insieme personalità politico istituzionali, e membri della società civile che si occupano di queste tematiche, per collaborare insieme allo scopo di creare un contesto di maggiore consapevolezza sulla situazione dei lavoratori domestici migranti in Europa e sulle connessioni con il mercato del lavoro, le politiche migratorie e le questioni di genere, e per dare maggiore diffusione all’iniziativa dell‘Organizzazione Internazionale del Lavoro per la promozione e la ratifica di una Convenzione (ILO Convention on Decent Work for Domestic Workers).

Al giorno d’oggi il lavoro domestico rappresenta nella globalità del mercato del lavoro una fetta abbastanza importante, essendo la fonte di reddito di milioni di persone, in maggioranza donne e migranti. Nei paesi industrializzati, infatti, il lavoro domestico rappresenta il 5-9% di tutti i lavori.

In Europa negli ultimi decenni si è assistito ad una crescente espansione del settore, espansione che non va analizzata come fenomeno a sé stante ma piuttosto come riflesso e conseguenza dei cambiamenti socio-economici globali.
Va considerata innanzitutto la relazione tra lavoro domestico, lavoro in nero e immigrazione irregolare, che è abbastanza complessa. In generale, mentre la migrazione viene comunemente intesa come causa di crescita del lavoro informale, sta diventando invece chiaro che l’esistenza di un mercato del lavoro informale sia al contrario una spinta verso la migrazione, questo ancor di più nell’area del lavoro domestico. Questo infatti è un lavoro molto flessibile, che si basa su un rapporto di fiducia reciproca tra il lavoratore e il suo assistito, e in cui sono spesso gli stessi datori di lavoro ad alimentare l’informalità di questo mercato, cercando di sfuggire alla sua burocrazia, sebbene talvolta vengano arginati dalle leggi sull’immigrazione.
Per molti migranti che sono a vari livelli irregolari (dalla documentazione, alla condizione abitativa), il lavoro domestico più che una scelta reale è una necessità, dal momento che per loro è troppo difficile entrare nel classico mercato del lavoro, e addirittura una lunga permanenza nel mercato informale può diventare poi via di accesso per la regolarizzazione amministrativa.
Nell’Europa del Nord, dove lo stato riesce ad agire in modo incisivo in materia di protezione e assistenza nei confronti dei cittadini, la presenza dei migrant domestic workers ha dati praticamente insignificanti se comparati a quelli degli stati dell’Europa del Sud. In alcuni stati infatti la richiesta di lavoro domestico migrante è messa in relazione a recenti tagli alle spese in materia di welfare e servizio pubblico (e alla privatizzazione e liberalizzazione del settore assistenziale). Gli altri fattori che concorrono alla sua crescita sono poi la progressiva e sempre più massiccia inclusione delle donne nel mondo del lavoro e l’invecchiamento della popolazione.
Così il lavoro domestico migrante cresce sempre di più allargando anche il raggio delle sue competenze, dalla cura di bambini e anziani, alla manutenzione di case e giardini.
Eppure, pur avendo un forte impatto sulla ricchezza e sul benessere europeo, questi lavoratori continuano a rimanere avvolti nell’invisibilità, e non solo perché il loro luogo di lavoro è una casa, ma anche perché spesso non vengono inclusi nell’immaginario dei lavoratori, quindi non vengono riconosciuti e sono spesso privati di qualsiasi forma di diritti e protezione sociale.
Per il lavoro domestico infatti non esiste alcun grande sindacato, né alcuna convenzione di riconoscimento e regolamentazione. Oltre all’informalità e alla sommersione, la grande problematica legata al lavoro domestico rimane quella della violazione diffusa dei diritti umani e del lavoro, problematica comune a numerosi  lavoratori che accettano una relazione lavorativa precaria e irregolare e una vita vissuta ai margini della povertà.

La maggior parte dei domestic workers sono migranti, e la maggior parte di questi sono donne. Questo finisce spesso per esporle a doppie o multiple forme di discriminazione: di genere e razziale. La mancanza di consapevolezza e di riconoscimento dei diritti dei lavoratori domestici da parte dei governi, datori di lavoro e lavoratori stessi contribuiscono ulteriormente al loro sfruttamento, e il  fatto che molto spesso si possano instaurare rapporti di familiarità, non deve allontanare dall’idea che essi siano comunque sottoposti a privazioni dei diritti come lavoratori e persone.
Molte delle lavoratrici domestiche arrivano in Europa col desiderio di fuggire da situazioni di difficoltà economiche in patria, ma diventano vittime di un paradosso: se  con il loro lavoro rendono altre donne libere di poter andare al lavoro lasciando i propri figli a casa, loro non sono altrettanto libere. E il numero eccessivo di ore di lavoro, la sensazione che esso spesso sia dequalificante rispetto alla formazione acquisita in patria, o anche la pesantezza dello stesso lavoro, spesso conduce le lavoratrici in stati di isolamento, solitudine e depressione.
Nonostante questo, e specialmente nei casi in cui non abbiano una valida residenza o permesso di lavoro o quando non parlano la lingua del paese, un numero significativo di migranti si prepara ugualmente ad accettare condizioni di lavoro senza alcuna protezione solo perché sembra essere l’unica soluzione ai loro bisogni.

A livello europeo c’è un grande gap tra quelli che dovrebbero essere i diritti riconosciuti e quella che è poi la pratica. Questa è una conseguenza di politiche incoerenti che hanno utilizzato due pesi e due misure, e che hanno fatto in modo che le leggi migratorie influissero sulle politiche occupazionali impedendo di fatto il trattamento eguale e la non discriminazione dei lavoratori migranti. Sin dagli anni ottanta i lavoratori domestici hanno cercato di organizzarsi per rivendicare i propri diritti,e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro adesso sta facendo pressioni sul mondo istituzionale europeo ed internazionale affinché venga ratificata una dichiarazione che provveda al riconoscimento del lavoro domestico come lavoro, e che ponga le basi per la costituzione di un quadro legale per tutti i lavoratori domestici, nei parametri di ciò che viene definito decent work.

Gli stati devono assumersi le loro responsabilità in tema di welfare e protezione sociale, perchè solo se si migliorano le condizioni di lavoro, si stimolano le capacità e si giunge a un completo riconoscimento dei domestic workers ci potrà essere un grosso beneficio non solo per i lavoratori ma anche per i datori di lavoro. È necessario quindi che vengano messe in atto pratiche non solo giuridiche, ma soprattutto concrete, che partano un right-based e gender-sensitive approach,  oltre ad azioni economiche come incentivi ai datori di lavoro nel rilascio di voucher e assicurazioni, per assicurare la coesione sociale e il benessere della nostra società.

La nostra cooperativa editrice Lai-momo realizza progetti per le lavoratrici domestiche straniere nella Provincia di Bologna.

Per info vedi:

http://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/2662010-il-pullman-delle-donne-native-e-migranti-parte-verso-mantova/

http://www.laimomo.it/a/index.php?option=com_content&view=article&id=16&Itemid=20&lang=it

http://www.laimomo.it/a/index.php?option=com_content&view=article&id=66&catid=2&Itemid=21&lang=it

Olga Solombrino

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19 aprile 2011

Migranti e rimesse: una nuova chiave per lo sviluppo. L’esperienza del progetto SME

In Italia – forse in questo periodo più che mai – manca un terreno fertile per dialogare di migrazione partendo da angolature differenti. Eppure da più parti si sottolinea la necessità di andare oltre i classici stereotipi e cominciare a considerare tutte le dimensioni del fenomeno migratorio, magari a partire dalla sua importante funzione economica.

Le rimesse rappresentano il modo con cui i migranti iniettano risorse sui mercati del proprio Paese di origine. A differenza del passato, in cui ciò che riguardava migrazione non veniva associato ad alcun concetto di sviluppo, si assiste oggi ad un’inversione di tendenza e si guarda alle rimesse come elemento in grado di agire sulla disuguaglianza, sul mercato del lavoro, e sulla stratificazione sociale dell’area di origine.

Le rimesse, nonostante abbiano subito una decrescita a causa della crisi finanziaria degli anni scorsi, rappresentano ormai una fonte finanziaria globale e di crescita economica per diversi paesi, il cui potenziale purtroppo non è ancora pienamente sfruttato.

Queste infatti, proprio per loro genesi, rimangono spesso attaccate a dinamiche familistiche di piccola solidarietà e mantenimento, e con difficoltà riescono a distaccarsene e trasformarsi in investimento per il futuro, base per il ritorno produttivo in patria. Ciò risulta causato da molteplici fattori, in primo luogo l’attaccamento alla tradizione, che diventa alle volte un vincolo troppo forte, ma anche e soprattutto la difficoltà, da parte di un cittadino straniero, di comprendere le opportunità dei suoi investimenti e di entrare in contatto con la complicata burocrazia bancaria.

È nato da qui il progetto SME: Support Migrants’ Entrepreneurship, lanciato da Veneto Lavoro, co-finanziato dall‘IFAD- International Fund for Agricultural Development in collaborazione con Veneto Banca, Regione Veneto, Banca Etica, Consorzio Etimos e Fundatia Dezvoltarea Popoarelor Prin Sustinere Reciproca (Romania), e che dal 2009 opera in Veneto, Romania e Moldova.

Esso si focalizza sulla “diaspora imprenditoriale” come fattore che contribuisce alla creazione di lavoro e allo sviluppo socio-economico delle nazioni di origine e di destinazione.

Lo scopo del progetto è infatti quello di porre le basi per la creazione di un ambiente sociale e finanziario favorevole alla capitalizzazione delle risorse migranti, e che le sostenga in prospettiva dell’avviamento di un progetto imprenditoriale al momento del ritorno nel Paese d’origine.

Questo può contribuire a uno sviluppo più sostenibile, in grado di favorire la lotta alla povertà, soprattutto nelle zone rurali.

Attraverso un network transnazionale che offre conoscenze e strumenti bancari per facilitare il trasferimento di rimesse e risparmi, e la creazione di un fondo di garanza affidabile, il progetto si propone di fornire assistenza tecnica a tutti coloro che vorrebbero aprire un’attività imprenditoriale nella madrepatria, e che fino ad ora non ci sono mai riusciti, per scarsità di conoscenze, fondi e alfabetizzazione finanziaria. Non solo denaro quindi, ma anche circolazione delle conoscenze e soprattutto braingain, ovvero sfruttare il potenziale delle conoscenze formate nella diaspora, rimettendole a disposizione per progetti che possano creare sviluppo in patria. Si sviluppa così un modello di sviluppo circolare in cui il momento della migrazione può diventare una risorsa ed un valore aggiunto, un passo per realizzare progetti più ampi, piuttosto che essere relegato unicamente a via di fuga verso una speranza indefinita.

La conferenza finale, che si è tenuta al Comitato delle Regioni a Bruxelles il 5 aprile scorso, ha presentato i principali risultati e le lezioni apprese nei due anni di esperienza. In particolare è stato dato rilievo all’importanza della governance locale ed al coinvolgimento degli attori regionali, che, insieme ad un coordinamento multi-livello, diventano il perno su cui poggiare la trasformazione delle dinamiche migratorie in un fattore positivo e vincente, sia per le aree di origine e che per quelle di destinazione.

Il progetto ha raccolto il favore di molti neo-imprenditori rumeni e moldavi, ed è stato giudicato positivamente anche da altre comunità di migranti. Le problematiche connesse alla difficoltà di tradurre le rimesse e i risparmi in investimenti sono infatti condivise da tutte le comunità, e si rende sempre più necessaria l’introduzione di meccanismi che agevolino l’accesso dei migranti alle strutture finanziarie e che li supportino nelle stesure dei business plan, o dream plan, come quelli citati da Charito Basa del Filipino’s Women Council.

Il progetto, in chiusura nella primavera del 2011, ha finora finanziato idee imprenditoriali che hanno concorso in due categorie: “Eureka” e “Imprenditore nato”, e non c’è che confidare nell’ottima riuscita di queste attività e nel proliferare di nuove.

Simili al progetto SME, esistono altri progetti in Italia, diretti ad altre comunità migranti, come ad esempio quella senegalese. E’ il caso infatti del PLASEPRI: Platforme d’appui au secteur prive et a la valorisation de la diaspora senegalaise en Italie, una piattaforma di supporto agli investimenti dei senegalesi della diaspora avviata dal Governo italiano e da quello senegalese. Il programma assicura sostegno finanziario e assistenza tecnica allo sviluppo del settore privato valorizzando il potenziale economico della comunità senegalese in Italia, la più grande nella diaspora del Paese africano.

A questa piattaforma è poi collegato il nostro progetto Investir au Sénégal, volto a realizzare uno dei 5 “Punti informativi e di raccolta PLASEPRI” che aiutino gli imprenditori interessati presenti in Italia a inviare le proprie idee progettuali.

Il progetto copre le regioni Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna ed ha l’obiettivo di fornire informazione sulle strategie di sviluppo economico del Senegal, le opportunità di business e sensibilizzare i potenziali imprenditori senegalesi residenti in Italia e italiani sulle opportunità date dal programma PLASEPRI, nonché di realizzare un’attività di accompagnamento e assistenza nella compilazione di progetti eleggibili.

Oltre al PLASEPRI è stato da poco avviato anche il progetto Su.Pa. – acronimo di Successful paths, supporting human and economic capital of migrants, che si propone di sostenere i percorsi di “ritorno produttivo” dei migranti senegalesi nel proprio Paese di origine, in particolare nella regione senegalese di Kaolack, cercando di rafforzare la cooperazione istituzionale nel campo dell’immigrazione tra le Regioni di origine e di destinazione coinvolte nel progetto, sradicare le difficoltà che presenta l’accesso al credito per i migranti e promuovere percorsi innovativi per sostenere il ritorno del capitale umano ed economico in Senegal.

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11 aprile 2011

A giugno ad Arezzo la seconda edizione della scuola di leadership per immigrati di seconda generazione

Fondazione Ethnoland, in partnership con la Bosch, organizza per il secondo anno consecutivo Talea, la scuola di leadership per giovani immigrati di seconda generazione e non. Le opportunità offerte ai nuovi talenti selezionati saranno molteplici, in primis l’occasione di frequentare lezioni con docenti esperti nell’ambito di moduli innovativi quali self marketing, carisma e stile di leadership, team building. Inoltre ci sarà la concreta opportunità di conoscere e sostenere colloqui con il network di aziende motivate ed orientare al Diversity Management.

Talea costituisce anche l’opportunità di vivere un’esperienza “unica”, conoscendo e confrontandosi con talenti provenienti da tutte le parti del mondo, nel contesto dei boschi di Casentino in Toscana nella Provincia di Arezzo.

Le iscrizioni, da effettuare tramite l’invio di CV in formato Word/Pdf sulla casella email cv@taleaweb.eu, scadono il giorno 30 aprile 2011.

Il corso si terrà dal 2 al 12 giugno 2011.

Per ulteriori informazioni o chiarimenti potete rivolgervi a: FONDAZIONE ETHNOLAND, via Settembrini 60, 20142 Milano, Tel. 02/97382866, o consultare il sito di Talea.

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06 aprile 2011

Sbarchi di migranti: finalmente il permesso temporaneo a fini umanitari

Oggi finalmente il Presidente del Consiglio firmerà il decreto che consentirà il rilascio del permesso temporaneo a fini umanitari a tutti i tunisini già approdati in Italia. Riteniamo che  questa soluzione consenta di fornire una risposta diretta, immediata e perfettamente adattabile alla problematica. Il permesso di soggiorno temporaneo è, infatti,  uno strumento che il nostro ordinamento già prevedeva e pensato appunto per governare in modo razionale e rispettoso dei diritti fondamentali dell’uomo,  gli esodi di rifugiati che fuggono da guerre e da altre forme di violenza generalizzata. Questo consentirebbe non solo di allentare la pressione che la Tunisia sta subendo in merito al controllo delle frontiere (non dimentichiamo che sta accogliendo almeno 100mila persone in fuga dalla Libia), ma permetterebbe anche di evitare la creazione di nuove “tendopoli” che, come abbiamo purtroppo visto in passato, sarebbero portatrici di sentimenti di insicurezza con conseguenti  reazioni di intolleranza.

Qualche giorno fa l’Associazione Studi per gli Giuridici sull’Immigrazione, a cui la nostra cooperativa editrice Lai-momo aderisce, ha emesso un comunicato stampa dal titolo “Istituire la protezione temporanea è la sola via razionale per governare oggi l’esodo dalla Tunisia” che contiene anche interessanti precisazioni sugli aspetti giuridici nazionali e internazionali dell’attuale “emergenza sbarchi”.

Per il testo si veda anche il link http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1536&l=it

(Marina Frabboni)

Emergenza_Tunisia_Comunicato_Stampa_ASGI_31_marzo_2011

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10 marzo 2011

Laboratorio di scrittura creativa interculturale 2011

Fino al 20 marzo è possibile iscriversi al laboratorio di scrittura dell’Associazione Eks&tra. Questa associazione è stata la prima in Italia ad occuparsi di letteratura migrante con un premio che ha “scoperto” alcuni dei maggiori “scrittori migranti” presenti in Italia come Gezim Hajdari, Yousef Wakkas e Tahar Lamri. Ho letto il libretto Passaparole pubblicato dopo il laboratorio del 2010 e alcuni racconti mi sono piaciuti molto. Copio qui sotto un brano da uno di quei racconti, “… i miei, i tuoi e di tutti gli altri”, di Rosa Manrique, perché fa un accenno al “fare l’Italia” che, visto che ci avviciniamo al 17 marzo, 150esimo dell’Unità d’Italia, ci pungola un po’.

È bello viaggiare, quando fai il turista è differente, non ti devi “integrare”, non devi preoccuparti di nascondere la tua diversità, la tua originalità, il turista è sempre benvenuto. Come cambiano le cose invece quando ti devi fermare. Ogni giorno sempre c’è qualcosa o qualcuno che ti fanno ricordare che sei straniero. Che la tua casa, i tuoi amici, la tua famiglia non sono lì. Perché l’esotico è bello da vedere nei safari, allo zoo, nei musei, nei documentari. Ma non a casa tua, la deturpano, la rendono pericolosa. Come puoi integrarti in un posto che rifiuta l’essere diverso? Io vorrei sentirmi a casa, ogni giorno: non è questo il segnale più forte di integrazione? Aspettai per un momento in silenzio guardando i mille volti diversi, chiusi gli occhi e ripensai a tanti eventi che non dimenticherò mai, come quando ero sull’autobus in direzione del lavoro. I controllori salirono chiedendo i biglietti ai passeggeri, ma questa volta controllavano solo gli stranieri. A tale stranezza rispose uno con una bella tunica colorata, chiese che venissero controllati tutti i biglietti; i controllori si rifiutarono, ecco che iniziarono le proteste. L’autista si vide obbligato a intervenire per il troppo disordine. Per calmare la situazione, si cominciò a controllare tutti. Risultato: sette italiani senza biglietto. Addirittura i controllori volevano fermare l’autobus per farglielo comprare, che scandalo! E nuovamente iniziarono le proteste. Alla mia fermata scesi indignata da tale prova di discriminazione ma contenta di essere stata partecipe. Perché se l’Italia non la fanno gli italiani, l’Italia la facciamo noi.

INFO:  Sono aperte fino al 20 marzo 2011 le iscrizioni alla quarta edizione del laboratorio di scrittura creativa interculturale, ideato dal Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna e dall’Associazione interculturale Eks&Tra.
Aperto a cittadini, italiani e migranti, con la passione per la scrittura, il Laboratorio di scrittura creativa
interculturale si svilupperà per un totale di quattro moduli di carattere teorico-pratico.
Gli incontri si svolgeranno il venerdì pomeriggio e il sabato mattina presso l’Aula Forti del Dipartimento
di Italianistica dell’Università di Bologna, via Zamboni 32 a Bologna, nelle seguenti date: 1-2 aprile, 15-16caprile, 6-7 maggio, 27-28 maggio.
Al sito www.eksetra.net è disponibile il modulo di iscrizione, da compilare e inviare on line.
La partecipazione al laboratorio è gratuita e sono previsti al massimo 40 partecipanti.
il Laboratorio sarà realizzato sotto la direzione scientifica del Prof. Fulvio Pezzarossa, docente di Sociologia della letteratura presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna, con il coinvolgimento dei tutor: Christiana de Caldas Brito (Brasile), Livia Bazu (Romania), Pina Piccolo (italo-americana).
Anche quest’anno è prevista la realizzazione di una pubblicazione cartacea con i racconti dei partecipanti al laboratorio ritenuti meritevoli di pubblicazione. I racconti verranno inoltre pubblicati on line sul sito
dell’Associazione Eks&Tra www.eksetra.net.
Contatti: eksetra@libero.it – cell. 333/6723848

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25 febbraio 2011

Appunti sulle sollevazioni arabe

Pubblichiamo un articolo del sociologo e saggista Adel Jabbar che traccia una interessante analisi delle rivolte di Egitto e Tunisia.

In questa analisi dello storico cambiamento a cui stiamo assistendo, apprezziamo in particolare i punti 5 e 6, dove si  propongono interpretazioni che danno fiato alla speranza che inizi un nuovo e più autentico rapporto tra cittadini del mondo arabo e dell’Occidente, a cominciare dai giovani.

14 gennaio 2011: E’ questa la data che segna la svolta tanto agognata dalle moltitudini dei paesi arabi, in cui  il despota (al-taghiya) Ben Ali è fuggito. Il tiranno  che ha tenuto in ostaggio la Tunisia per ben 23 anni non c’è più.

25 gennaio 2011: E’ stato il giorno in cui in Egitto la gioventù ha accolto l’invito del movimento giovanile 6 aprile a manifestare per porre fine al strapotere di un altro  dittatore arabo che ha fatto delle leggi di emergenza una sistematica prassi di governo trasformando l’intero paese di ben ottanta milioni di cittadini in una tenuta di famiglia.

Queste due date indicano una radicale rottura con decenni di stagnazione, che rischiava di diventare un aspetto peculiare delle società arabe. Le proteste (al-tadhahurat) l’insurrezione (al-wathba), la sollevazione (l’intifada) e la rivoluzione (al-thawra) che stanno attraversando l’intera area araba, dalla Mauritania fino allo Yemen, evidenziano il desidero di una primavera di rinascimento (nahdha), delle popolazioni e la volontà di riscatto oltre che  di rinnovamento (tajdid). Questi accadimenti avvengono dopo un lunghissimo periodo caratterizzato da infinite angherie, repressioni, persecuzioni, impoverimento generale dell’intera società ad eccezione di una  ristretta cerchia di familiari e di cortigiani. Sono stati anni di arretramento politico e socioculturale,  di pesanti sconfitte sul piano della politica estera e della perdita di sovranità. L’intero mondo arabo, in effetti,  si è ritrovato, di nuovo, a subire dei condizionamenti che rimandano alla memoria l’epoca coloniale.

Grazie ai movimenti giovanili milioni di abitanti dell’area araba, cominciano in questi giorni a scorgere la fine del tunnel e a intravedere la luce di un nuovo e necessario risveglio (sahawa).

Gli avvenimenti che stanno scuotendo  le società arabe e travolgendo i vari vassalli e satrapi dimostrano:

1) che le popolazione hanno superato  la paura che li ha paralizzati per decenni e, di fatto hanno trovato la forza di  sconfiggere la cultura dell’intimidazione e del terrore  che i tiranni  hanno usato e usano  come unico modo per governare;

2) che  le élite,   spesso  secolari,  non  sono altro che combriccole familistiche di stampo mafioso;

3) che i poteri dell’occidente democratico hanno sostenuto regimi corrotti e violenti mettendo in primo piano i propri interessi materiali dimenticando del tutto la cultura dei diritti umani, della quale fanno uso, non di rado, in termini meramente strumentali;

4) una  maturità e una  consapevolezza politica delle fasce giovanili smarcata da riferimenti ideologici novecenteschi;

5) che  larghi settori assumono la nonviolenza e la disobbedienza civile come prassi per rivendicare i propri diritti e  la propria dignità, quindi smentendo e confutando il luogo comune che vuole le società arabe  imbevute  di violenza e di fanatismo religioso, appiattendo  l’immagine degli arabi sulla figura di Bin Laden e di al-Qa‘aida;

6) l’assenza di retorica anti occidentale – non sono stati presi di mira né interessi né persone né simboli occidentali – e il sapere parlare un linguaggio transculturale in grado di comunicare in un mondo di differenze e di molteplicità attraverso parole d’ordine quali dignità, libertà e giustizia.

In molti  si chiedono quali saranno le conseguenze di queste sollevazioni. Si può tentare sommariamente di indicare due plausibili cambiamenti,  uno di natura interna e l’altro di natura esterna. Relativamente alla realtà interna, si potrebbe avviare un corso politico caratterizzato  dal riconoscimento di soggetti politici diversi che tenderanno a posizionarsi in un primo momento nel nuovo scenario creatosi e in un secondo momento competeranno per l’acquisizione del consenso popolare  tramite le urne. In questo panorama le varie e variegate visioni di stampo islamico giocheranno certamente  un ruolo significativo, tuttavia non si tratterebbe di un ruolo totalizzante e egemonico, a differenza di quello che sostengono alcuni analisti.

Anche se qualche formazione islamica occuperà una posizione determinante nei nuovi assetti sarà comunque molto vicina all’esperienza dell’attuale compagine turca democratico-islamica e quindi avrà delle similitudini con  alcune delle esperienze democratiche cristiane in Europa. Riguardo al secondo aspetto, cioè quello esterno, i cambiamenti  che avverranno saranno più lenti e si svilupperanno con una certa cautela.

Uno dei cambiamenti prevedibili riguarderà un ripensamento delle relazioni interarabe in funzione di una maggiore collaborazione al fine di ripristinare un qualche ruolo sulla scena mondiale e acquisire un peso politico rispetto alcuni temi caldi e sensibili, come per esempio la questione del popolo palestinese, la situazione della Somalia e i rapporti con l’Iran. In oltre si cercherà di smarcarsi da alcune decisioni della politica statunitense e di trovare una voce autonoma, senza doversi appiattire sulle scelte di Washington com’è avvenuto negli ultimi decenni (per esempio la partecipazione alla guerra contro l’Iraq, l’appoggio alla guerra contro l’Afghanistan e l’adesione ad un eventuale attacco contro l’Iran).

Quello che è certo e lo dimostrano gli accadimenti in atto, è che le genti arabe hanno già conquistato un ruolo determinante nell’agenda politica sia nazionale che internazionale, avendo oggi una perfetta consapevolezza del proprio ruolo, dei propri diritti e della propria dignità.

Adel Jabbar

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