Badanti, assistenti familiari, domestiche, questi sono i ruoli ricoperti dalla stragrande maggioranza delle donne immigrate lavoratrici. Figure diventate indispensabili per tante famiglie italiane, pilastri su cui poggia il difficile lavoro di cura nei confronti degli anziani di casa. Per approfondire questo tema presentiamo qui un estratto dell’articolo Donne migranti e cura delle persone anziane: un progetto di sviluppo di comunità, scritto da Paolo Ballarin e Tatiana Di Federico e pubblicato sul n. 79 di Africa e Mediterraneo in un dossier dedicato interamente al tema “Donne nella migrazione”.
In Italia negli ultimi anni si registra una presenza crescente di donne migranti, arrivate non solo attraverso i ricongiungimenti familiari, ma anche sole e con motivazioni legate al lavoro. Nel 2008 le donne migranti rappresentavano il 50,8% della popolazione straniera regolarmente residente in Italia, nel 2012 sono diventate il 53,1%. La femminilizzazione della migrazione ha un carattere internazionale e interessa tutti i movimenti migratori, come afferma anche il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, secondo il quale mai come negli ultimi 50 anni le donne hanno fatto parte di tale fenomeno. Dal Dossier Statistico Idos 2013 emerge un altro dato significativo: nel 2012 sono stati rilasciati il 27% in meno di nuovi permessi di soggiorno rispetto al 2011, ma questo andamento riguarda più gli uomini che le donne. Gli uomini hanno avuto un calo del 33%, le donne del 19,5%, rappresentando nel 2012 il 48,7% degli ingressi. […]
L’esperienza della migrazione e la costruzione di una nuova vita lontana dal proprio Paese di origine è profondamente diversa per uomini e donne e mette in campo bisogni e priorità differenti. Dal punto di vista di genere, l’analisi delle migrazioni delle donne che svolgono il lavoro di assistenti familiari evidenzia tre importanti aspetti: la globalizzazione del lavoro di cura, per cui gli stili di vita del cosiddetto “Primo Mondo” sono resi possibili da un trasferimento su scala globale delle funzioni associate al ruolo tradizionale della moglie – ovvero la cura dei figli e degli anziani, la gestione della casa – dai Paesi poveri a quelli ricchi; il care drain e l’esperienza della maternità a distanza, che porta le famiglie migranti a diventare una formazione sociale fluida e in continuo movimento. Le madri partono, questo genera forme di delega, di riorganizzazione dei legami familiari, famiglie transnazionali caratterizzate da profonde sofferenze e sacrifici, che talvolta nemmeno i ricongiungimenti familiari riescono a sanare. L’incontro tra madri e figli o tra coniugi dopo anni di separazione può rivelarsi infatti carico di tensioni e delusioni e al tempo stesso rischia di accentuare i conflitti rispetto a come generi e generazioni negoziano i propri ruoli e responsabilità; l’importanza delle rimesse economiche e sociali delle donne migranti, che sono la seconda fonte di finanziamento dall’estero per i Paesi in via di sviluppo, e sono usate per le necessità quotidiane, l’assistenza sanitaria e l’istruzione.
Oltre alle rimesse economiche, sono da considerare anche le cosiddette rimesse sociali, ovvero il fatto che le donne migranti inviando denaro trasmettono una nuova definizione di cosa significhi essere donna, con i conseguenti rischi di creare conflitti tra generi o generazioni, come detto in precedenza. Questo incide sul modo in cui le famiglie e le comunità considerano le donne ed è un fattore molto forte di empowerment per loro stesse e per le altre che rimangono nel Paese di origine.
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