06 giugno 2019

La 58esima Biennale di Venezia 2019: May You Live in Interesting Times. Anche quest’anno l’Africa segna la sua presenza

Di Mary Angela Schroth

È stata inaugurata l’11 maggio la più importante manifestazione d’arte contemporanea al mondo: la Biennale, con un’esposizione internazionale di oltre 70 artisti curata da Ralph Rugoff, e con 87 padiglioni nazionali che vedono per la prima volta la partecipazione di Paesi come la Repubblica Dominicana, il Ghana, il Madagascar e la Malesia.

Screenshot_2019-05-11 Biennale Arte 2019 Ghana
(Biennale Arte 2019 – Ghana)

Il nuovo direttore del LACMA (Los Angeles County Museum of Art) Hamza Walker è il presidente della giuria. Come negli anni precedenti, la diaspora africana (che include anche gli afroamericani) è presente in diversi progetti, ed è incoraggiante vedere il ritorno di padiglioni nazionali di Egitto, Zimbabwe, Sudafrica, Costa D’Avorio, Mozambico. Jimmie Durham ha vinto il Leone d’oro alla carriera, mentre Arthur Jafa ha vinto come miglior artista e Haris Epaminonda come migliore giovane artista, invece la Lituania ha vinto come migliore padiglione nazionale.

Alcuni miei preferiti:

> USA: Liberty / Libertà con lo scultore afroamericano Martin Puryear, uno degli artisti più importanti degli Stati Uniti, estremamente significativo per un’interpretazione personale di oggetti monumentali che collegano la storia con la contemporaneità.

> France: Deep See Blue Surrounding You di Laure Prouvost, che ha realizzato un interessante progetto cinematografico e un’installazione, rappresentando un mondo sotterraneo fluido e globalizzato.

Laure Prouvost, Pavilion of France
(Laure Prouvost, Biennale Arte 2019 – France)

> Ghana: Ghana Freedom mostra alcune delle migliori opere d’arte attuali, in particolare il regista John Akomfrah, lo scultore El Anatsui, e la pittrica Lynette Yiadom-Boakye in uno splendido padiglione progettato da Sir David Adjaye. Questa opera non riguarda solo il Ghana come Paese, ma offre un messaggio artistico universale.

> Filippine: la scultura interattiva Island Weather di Mark Justiniani, che consente al pubblico di sperimentare il clima, la geografia (con le sue migliaia di isole!), la storia sociale e coloniale.

> Madagascar: l’artista Joël Andrianomearisoa infonde la modernità del quadrato nero con una sconfinata nostalgia nell’opera I have forgotten the night.

Martin Puryear, Pavilion USA
(Martin Puryear, Biennale Arte 2019 – USA)

L’esposizione internazionale May You Live in Interesting Times, curata da Rugoff, “include opere d’arte che riflettono sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale, fra i quali le molte minacce alle tradizioni fondanti, alle istituzioni e alle relazioni dell’“ordine postbellico”. Riconosciamo però fin da subito che l’arte non esercita le sue forze nell’ambito della politica. Per esempio, l’arte non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il tragico destino dei migranti forzati in tutto il pianeta (il cui numero ora corrisponde a quasi l’un percento dell’intera popolazione mondiale). In modo indiretto, tuttavia, forse l’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi ‘tempi interessanti’.” (R. Rugoff, comunicato stampa)

Le sue scelte che riguardano l’Africa e la sua diaspora, e che comprendono alcuni degli artisti più importanti sulla scena mondiale, che espongono per la prima volta alla Biennale: Michael Armitrage (Kenya), Frida Arupabo (Norvegia), Njideka Akunyili Crosby (Nigeria), Julie Mehretu (Etiopia), Zanele Muholi (Sudafrica), Nkanga Otobong (Nigeria), Henry Taylor (Los Angeles), Stan Douglas (Vancouver), Kemang Wa Lehulere (Sudafrica), Arthur Jafa (Los Angeles), Anthea Hamilton (UK).

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(Biennale Arte 2019 – Egitto)

Sono 20 anni di presidenza per Paolo Baratta, che ha saputo trasformare la Biennale di Venezia in un’organizzazione internazionale autonoma (rara in Italia), che include non solamente l’arte visiva, ma anche le biennali dedicate all’architettura, alla danza, al cinema, al teatro, alla musica. E’ stata visitata da oltre 600.000 visitatori e 6.000 giornalisti. È difficile integrare le scelte internazionali dei diversi curatori del progetto centrale (quest’anno è Ralph Rugoff, americano che dirige la Hayward Gallery di Londra) con i diversi contenuti dei vari padiglioni nazionali e le innumerevoli mostre parallele. Ma Baratta ha portato progressi significativi nel corso degli anni (è stato nominato direttore nel 1998 da Walter Veltroni), dall’iniziale mostra “Aperto” fuori dai Giardini allo sviluppo dell’”Arsenale”, che accoglie anche la Biennale di Architettura, offrendo spazi a quei Paesi che hanno portato alle 90 partecipazioni. Una sorta di “Olimpiadi d’arte, Venezia è diventata il fulcro universale della cultura, e questo è dovuto soprattutto a Paolo Baratta.

Biennale Arte 2019
May You Live In Interesting Times
Dal 11 maggio > 24 novembre 2019
Chiuso di lunedì (eccetto 13 maggio, 2 settembre, 18 novembre)

Giardini: aperto dalle 10 alle 18
Arsenale: aperto dalle 10 alle 18
Arsenale: giovedì e domenica fino al 5 ottobre, aperto dalle 10 alle 20

Per maggiori informazioni: www.labiennale.org

 

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06 marzo 2012

Network Festival Africani

Il 19 e 20 aprile ad Accra, in Ghana, verrà formalmente lanciata una rete di festival africani, comprendente eventi di teatro, musica, danza, cinema, letteratura, arti visive, patrimonio culturale e diversi altri eventi di natura multidisciplinare.

L’iniziativa, proposta dall’Arterial Network, in associazione con il British Council, a seguito del seminario tenutosi all’International Film Festival (ZIFF) di Zanzibar nel luglio 2010, muove da un’analisi del contesto africano che riconosce il networking e la cooperazione come strumenti necessari per tutelare gli interessi degli operatori culturali e per rafforzare e professionalizzare le imprese creative a livello locale e internazionale.

Uno dei principali obiettivi proposti per il Network Festival Africani è quello di avviare un’advocacy per conto di festival ed eventi artistici, al fine di produrre una pubblicazione contenente gli studi più recenti e i documenti riguardanti l’impatto sociale, economico, culturale o di altro genere di ogni festival presente sul continente africano.

L’evento comprenderà un seminario sui contributi economici, sociali e di altri festival ed eventi artistici in Africa, una riunione formale per avviare la rete con l’adozione di un quadro costituzionale, un programma d’azione e l’elezione di un Comitato Direttivo.

Sono invitati a partecipare all’evento tutti i rappresentanti delle associazioni partner del Network Festival Africani e tutti i festival emergenti e già esistenti sul territorio africano.

Le organizzazioni culturali africane continuano nel loro processo di rafforzamento e messa in rete, in linea con l’idea che la cultura è fonte di sviluppo, non solo sociale ma anche economico.

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14 luglio 2009

Le parole di Obama in Ghana, c’è chi le aveva già dette

Tanto per cominciare, ha detto che nelle sue vene scorre sangue africano, e che in lui si uniscono la tragedia e la vittoria dell’Africa. La tragedia appartiene soprattutto al nonno, un keniano che lavorava come “boy” per i colonialisti britannici, e che fu imprigionato perché lottava contro il colonialismo. Ha precisato che non era un grande eroe (“era nella periferia della lotta di liberazione del Kenya”), per dire che era un uomo comune che faceva la sua parte. Un primo messaggio.

Nella vita di suo nonno, ha continuato, “il colonialismo non è stato solo la creazione di un confine innaturale o condizioni ingiuste per il commercio, è stato qualcosa di sperimentato personalmente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.” Il che equivale a dire: so di cosa parlo.
E anche la storia di suo padre, da pastore in un villaggio a studente in una università americana, è emblematica di un momento di grandi speranze per l’Africa.

Insomma, a Barack appartiene la vittoria, ma anche la tragedia, perché ha vinto risalendo da una situazione personale e famigliare estremamente sfavorevole, in una epopea entusiasmante che tutti conosciamo.

Dopo questo inizio, azzeccatissimo per tagliare le gambe a ogni contestazione, ha pronunciato una serie di constatazioni chiare e coraggiose, che il discorso terzomondista non si azzarda mai a fare emergere.

Le parole di Obama sono state accolte come incredibilmente nuove, ma io le avevo già sentite tante volte. Le hanno dette Soni Labou Tansi, Ahmadou Kourouma, Nuruddin Farah, Ken Saro-Wiwa, Wole Soyinka nei loro romanzi e racconti pubblicate soprattutto negli anni 80. Le hanno scritte chiaramente, senza nessun distinguo o premessa o captatio benevolentiae. Africani che parlavano agli Africani e denunciavano che la responsabilità dei mali presenti dei loro paesi era degli Africani che avevano potere (un qualsiasi straccio di potere: politico, poliziesco, economico…) e lo usavano per il loro vantaggio invece che per quello del popolo.

Ma incredibilmente questo punto di vista non è mai passato nel discorso corrente sulla situazione del continente africano. E questo ha avuto conseguenze gravissime nella presa di responsabilità concreta da parte delle élite africana.
Adesso che è uscito dalla bocca di Obama, forse le cose cambieranno… Intanto, appaiono improvvisamente decrepite le star degli aiuti Bob Geldof e Bono Vox.

Faccio qui solo un elenco dei concetti espressi da Obama, come promemoria.
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10 luglio 2009

Obama va in Africa

Oggi Obama va in Africa. Io sono nel gruppo di quelli che ancora si entusiamano per lui, insomma non mi ha ancora deluso. Se devo dire la verità, in questi giorni ha fatto un po’ troppi sorrisi al padrone di casa del G8. Ma bisogna sempre pensare a chi c’era prima, e a cosa ha combinato.

Quindi, mi sembra bello godermi la prima visita in Africa di un Presidente di origine africana (Obama è un americano di origine immigrata di seconda generazione! Se Maroni ci pensa un attimo su, lo espelle).

Segnalo due articoli interessanti. Uno di Giovanni Carbone sul nuovo ottimo sito di informazioni sull’Africa, Afronline. Carbone si chiede perché Obama abbia scelto il Ghana, che non ha petrolio e demograficamente non è molto importante. Si risponde che praticamente, dovendo avere un partner simbolico dal punto di vista della rispettabilità democratica e del rilancio economico, non c’era molta scelta. Le elezioni presidenziali di dicembre 2008 si sono svolte democraticamente: dopo due mandati, John Kufuor ha deciso di rispettare la Costituzione e di ritirarsi. Il candidato dell’opposizione, John Atta Mills, ha vinto per pochi voti, e il partito al governo ha riconosciuto questa vittoria. Una situazione che in Africa è rara, basti pensare a quanto successo alle ultime elezioni in Zimbabwe e in Kenya.

Un altro articolo che fa il punto sulla visita lo si trova su Nigrizia. Loro mettono in evidenza un altro motivo secondo me importante nel determinare la scelta del Ghana. E’ un paese simbolo della tratta degli schiavi e la diaspora africana residente negli Stati Uniti lo ha recentemente scoperto come luogo per il cosiddetto “turismo delle origini”.

Tanto che nel 2006 hanno rinominato il ministero del turismo “Ministry of Tourism and Diaspora Relations” e nei depliant turistici, oltre alle bellezze naturali e alla “cultura tradizionale”, si nomina sempre la “tratta negriera”. Obama visiterà Cape Coast, antica capitale e scalo delle navi schiaviste, da dove migliaia di africani sono stati portati nelle Americhe.

Nel nostro ultimo numero 65-66 su Africa: turismo e patrimonio c’è un interessante articolo di Gaia Delpino dal titolo “Il turismo delle origini. Esperienze di incontro con la diaspora nera in Ghana”.

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22 giugno 2009

Il turismo delle origini in Ghana

in: Turismo

Presentazione dell’articolo “Il turismo delle origini, esperienze di incontro con la diaspora nera in Ghana” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Gaia Delpino.

Il forte Gross Friedrichsburg in un'illustrazione

Forte Gross Friedrichsburg

Il turismo svolge un ruolo di grande importanza per l’economia del Ghana. L’anno scorso ha contribuito per quasi il 10% allo sviluppo economico del paese e per il prossimo decennio si prevede una crescita del 5% annuo. Se in passato il centro dell’economia turistica ruotava intorno alle attrazioni naturali e culturali, a partire dagli anni ’90 il governo ha cominciato ad interessarsi anche al “turismo di ritorno” o “delle origini”. Questa nuova prospettiva è stata favorita dall’emergere negli Stati Uniti, alla fine degli anni ’80, di una classe media afroamericana desiderosa di conoscere le terre da cui potevano essere giunti i propri avi.

L’articolo si concentra sul caso di Prince’s Town, un centro dell’Ahanta West Distric della Western Region del Ghana dove l’autrice dell’articolo ha condotto diverse ricerche etnografiche. Il luogo è noto per via del forte Gross Friedrichsburg costruito dai brandeburghesi nel 1683 e, oggi, tradizionale meta turistica per i tedeschi in vacanza in Ghana. Nel 2007, però, un primo gruppo di afroamericani si presenta a Prince Town spiegando alla comunità locale di aver ragione di credere che quello era il luogo da cui i propri antenati erano stati deportati. La sovrapposizione del turismo culturale dei tedeschi, con quello delle origini degli afroamericani ha creato effetti sulla rielaborazione della memoria da parte della popolazione locale.

Dalle ricerche condotte nel 2008 emerge come il forte Gross Friedrichsburg abbia smesso di essere soltanto e principalmente testimonianza del rapporto fra ghanesi e brandeburghesi, ma anche e soprattutto sia diventato il monumento che ricorda la tratta atlantica e la partenza degli schiavi per le Americhe. L’articolo approfondisce questo mutamento rapportandolo anche con i fattori economici da cui è, inevitabilmente, interessato.

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