18 dicembre 2025

L’amore goffo. Maschio nero di Elgas.

L’amore goffo.
dal libro MASCHIO NERO (Edizioni e/o, 2025) di Elgas
recensione a cura di Roberta Sireno

«Avevo trentatré anni, ero sano, mi veniva duro anche con corpi avariati, avevo appena conseguito un dottorato, rimorchiavo, avevo successo, ero stimato e a volte addirittura ammirato dagli altri, la vita si offriva alle mie zanne da lupo come una preda smarrita o complice, il futuro era nelle mie mani, eppure ero triste.»

Le prime pagine del libro Maschio nero (Edizioni e/o, 2025) di Elgas, nom de plume di El Hadj Souleymane Gassama, sociologo, giornalista e narratore senegalese che vive in Francia, sono permeate dalla triste verità che «l’illusione di essere felici sia sempre più promettente della certezza di essere infelici.»

Essere maschi ed essere neri in una città come Parigi comporta un vivere e uno scrivere “il margine”, come riporta bell hooks nelle sue riflessioni-chiave contenute nel volume Elogio del margine, precedentemente pubblicato per Feltrinelli nel 1998 e poi per Tamu Edizioni nel 2020. Promotrice di un pensiero femminista, anticapitalista e post-/de- coloniale, bell hooks ricorda che la lotta per la liberazione è necessariamente trasversale e intersezionale:

«Tutti noi che facciamo parte dell’accademia e del mondo della cultura in generale siamo chiamati a rinnovarci interiormente se vogliamo trasformare le istituzioni educative – e la società – così che il modo in cui viviamo, insegniamo e lavoriamo possa riflettere la nostra gioia per la diversità culturale, la nostra passione per la giustizia e il nostro amore per la libertà.»

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Il protagonista del romanzo di Eglas è un intellettuale trentatreenne senegalese che vive in Francia da più di quindici anni. Non è più tornato in Africa, anche se il continente è rimasto al centro dei suoi studi di dottorato e delle sue ricerche accademiche. Attraverso la forma del diario, l’io-narrante offre uno sguardo sociologico disincantato per raccontare la realtà francese attraversata da contraddizioni, razzismo e diseguaglianze. Lo stesso rapporto con la madre, e la sua visita a Parigi dopo un decennio di separazione, sono lo sfondo ideale per rappresentare quel sentimento contraddittorio di inevitabile de-africanizzazione, in cui si è visti traditori della propria comunità. Già nel suo primo libro, I buoni risentimenti. Saggio sul disagio postcoloniale (2023; trad. it. Lorenzo Alunni, Edizioni e/o, 2024), Eglas affronta la situazione ambigua tra identità “pure”, che appunto rivendicano una purezza identitaria africana, e identità “impure” che accettano l’impurità del trovarsi emigrati: alienati dalla propria comunità originaria, chi emigra si colloca in uno spazio che è oggetto di continua colonizzazione. In un’intervista rilasciata al festival CaLibro Africa 2024 di Città di Castello, Eglas rifiuta la concezione chiusa di africanità e sceglie la complessità delle identità plurali:

«L’idea di poter “tradire” la propria comunità è importante anche perché si è responsabili solo davanti alla propria libertà, alla propria coscienza

Lo stesso tema dell’amore è pervaso da tensioni e scontri. Il protagonista rimprovera la madre di non avergli «insegnato ad amare», e la madre lo contraddice di farsi «abbagliare dalla cultura dei bianchi». Le avventure amorose sono percorse da sentimenti e pulsioni conflittuali, che vanno da un’intensa passione a una profonda malinconia segnata dalla solitudine:

«Ero possessivo nei confronti del sogno, del mio pensiero di lei, ne ero geloso, era solo mio. Non avevo chiesto niente a nessuno, eppure ero stato il prescelto di quell’impossibile compagnia.»

Un sogno che è solitudine del sogno perché appena si torna nella realtà, ricompaiono «tutte le barriere di classe, di casta, di status, il pudore dato dalla gerarchia». Così anche il rapporto con il proprio corpo subisce l’angoscia da prestazione e da pensieri ossessivi del fallimento della propria virilità. L’interazione tra esterno ed interno diventa, dunque, simbolo di un’oppressione personale costante, che è anche oppressione sociale e collettiva.

«Scappavo dalla prigione interna per richiudermi in quella esterna.»

La fuga da una fragilità interiore diventa lo specchio di un malessere profondo in cui il protagonista scopre di essere incapace di amare. E l’amore, di nuovo, si rivela una menzogna, un’abitudine o «forma di contratto» lontano da un ideale di «apoteosi». Amore e sogno sono continuamente accompagnati da una persistente sensazione di non appartenenza e sradicamento, che porta il protagonista a essere diviso tra due mondi, quello di origine e quello di arrivo, senza sentirsi pienamente parte di nessuno dei due. Se emigrare è sfuggire a una data realtà per ritrovare un possibile benessere economico in un altro Paese, tuttavia chi scrive ripete che «non ero a casa mia. Gli ultimi arrivati dovevano rigare dritto. Il sogno era modesto e quello era il prezzo, una vita subita». Allora ne consegue che «amare significava prima imparare ad amarsi. Il compito diventava doppio».

Torna prepotente all’interno della struttura narrativa il focus sul privilegio e di quel sentimento definito di «esotismo gentile» da parte di chi manifesta un «amore goffo» per l’Africa senza averla conosciuta realmente, se non per vie turistiche o istituzionali.

«Esprimeva un esotismo gentile, quasi umanitario, un privilegio che era la nuova moda. Si vedevano giovani e vecchi professare a più non posso il loro amore per il continente nero, sfoggiarlo portandolo come a tracolla […] Il privilegio era diventato l’empatia che conferiva ben singolari diritti in nome dell’amore.»

Il fatto che si poteva «amare male» è un’ossessione per l’io-narrante, che porta la tematica amorosa al centro di tutte le questioni relative al vivente, o meglio, a un vivere sui margini, non sentendosi completamente riconosciuto nella propria identità fatta di continue contaminazioni. La stessa tematica del sesso è affrontata nelle sue mille sfaccettature perché «ai neri negavano tutto in questo mondo tranne l’energia sessuale». Il corpo nero e l’immaginario relativo a un’estetica nera sono argomenti che sono messi continuamente in relazione ai nodi storici propri della dominazione coloniale.

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Le stanze fisiche e immaginarie del protagonista si riempiono così di vuoti interiori e di sensazioni proprie di questo «amore goffo» che non trova vie di fuga o soluzioni. La consapevolezza di una verità bruciante, ossia che «amare significa imparare a dubitare» porta il protagonista a distanziarsi da quell’amore ammortizzante che fonde gli uni e gli altri fino a sparire, ritrovandosi così dentro un viaggio di ricerca di una libertà che è completa solitudine. Successivamente l’io-narrante comprende che ciò che resta è la tenerezza. La tenerezza delle piccole cose quotidiane e del vivere semplice.

«La felicità non costava niente.»

Uno sguardo acuto e critico è rivolto alla società francese, in particolare alla settimana africana della prestigiosa UNESCO che si svolge ogni anno da vent’anni nel cuore di Parigi, a cui il protagonista è invitato per una conferenza sull’argomento della sua tesi di dottorato.

«L’attrazione assolveva a molteplici funzioni: appagamento della curiosità esotica a portata di metropolitana, liberazione dal senso di colpa coloniale, comunione dei popoli […] Era il luogo della verginità nuova, la grande preghiera dell’assoluzione e la scrittura della Storia su nuovi fogli bianchi.»

La celebrazione dell’Africa nella società parigina assume le forme contorte e ostentate del capitalismo occidentale, che vende i prodotti di tendenza africana per celebrare trionfalmente un’illusoria comunità internazionale, mentre «a nessuno importava che laggiù l’Africa soffrisse». Per attuare un’emancipazione completa e concludere un’apparente decolonizzazione, la settimana francese dell’UNESCO si trasforma in una vera e propria vetrina di prodotti africani offerti come irresistibile attrazione.

La conoscenza di una donna proveniente dalla Costa d’Avorio porta il protagonista ad allontanarsi da una relazione duratura con una donna bianca europea per vivere una relazione clandestina nuova, dove è possibile trovare il «proprio posto nel mondo». Le declinazioni del sentimento amoroso si complicano ulteriormente in relazione alla presenza di diverse figure femminili nella vita del protagonista: dalla madre rimasta in Senegal alle due donne, una bianca e una nera, che fanno breccia nella sua solitudine e gli fanno conoscere le diverse forme dell’amore, a cui non vuole rinunciare.

Attraverso la forma del diario autobiografico, il romanzo di Elgas sonda così in maniera semplice e acuta le profondità psichiche e le contraddizioni insite nei processi dell’immigrazione, dell’integrazione e del disagio postcoloniale. Collocandosi all’interno della tradizione del romanzo europeo contemporaneo, questo esordio narrativo mantiene tuttavia la propria autonomia, stimolando nuove domande e nuovi interrogativi sulla letteratura africana francofona e italiana.

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Sociologo, giornalista e scrittore, Elgas è nato in Senegal ma vive da lungo tempo in Francia. Della sua variegata produzione, ricordiamo il diario di viaggio Un dieu et des moeurs e il saggio I buoni risentimenti (E/O 2024), che esplora il disagio postcoloniale e la diplomazia culturale degli ex colonizzatori. Maschio nero è il suo primo romanzo. Il suo sito personale: www.elgas-site.fr

 

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