04 febbraio 2010

Tre grandi africani ad Arte Fiera 2010, Bologna

Da giovedì 28 gennaio a domenica 31 gennaio 2010 a Bologna c’è stata Arte Fiera.

Ho fatto un giro all’inaugurazione, purtroppo in fretta e senza poter vedere molto, e annoto qui tre importanti artisti africani che erano presentati da gallerie di riferimento per il mercato dell’arte.

Innanzitutto c’era Pascale Martin Tayou alla Galleria Continua di San Gimignano. Vendevano pezzi della grande installazione Human Being 2007-2009 presentata dall’artista all’ultima Biennale di Venezia, nell’esposizione internazionale “Fare Mondi // Making Worlds” curata da Daniel Birnbaum.

A Venezia era una delle opere che colpivano di più i visitatori, che si fermavano a osservare le diverse parti di questa complessa costruzione. L’artista aveva voluto evocare l’architettura di un villaggio africano, con rappresentazioni video della vita e del lavoro, creando collegamenti tra forme, storie e rumori del Nord e del Sud del mondo. L’opera appariva come un disorganico reportage di contesti locali collegati in una dimensione globale, che era difficile cogliere in maniera unitaria, simultanea: per capire era necessario fermarsi e osservare, video per video, installazione per installazione, dedicandovi del tempo.
Questo spazio allo stesso tempo vitale e misterioso era abitato da piccoli gruppi di strani, piccoli personaggi, realizzati in diversi materiali, decorati con spillette, cauri e collanine. La Galleria Continua, che da tempo rappresenta Tayou in Italia, ha portato ad Arte Fiera alcuni degli abitanti di questo strano villaggio.
Tayou
Pascal Marthine Tayou è nato in Camerun e ora vive in Belgio, ma viaggia continuamente nel mondo ed è uno dei vip della comunità di artisti africani rappresentati nelle principali biennali ed esposizioni.

L’importante James Cohan Gallery di New York esponeva un’installazione di Yinka Shonibare, Girl, Girl on Globe, 2009. Due bambini senza testa, vestiti con abiti tagliati in stile vittoriano ma realizzati con i tessuti “wax” tanto diffusi in Africa, si rincorrono su un piccolo pianeta terra. Hanno poco spazio per correre ma lo fanno in maniera molto sicura, sembra quasi che si muovano. Un’opera molto meno graffiante e inquietante rispetto a tante altre opere realizzate da questo brillante artista, nato a Londra da genitori nigeriani, cresciuto in Nigeria con i privilegi della classe alta a cui appartiene la sua famiglia, ritornato poi a Londra a completare gli studi.

Shonibare

Lui parla Yoruba e Inglese e si definisce “truly bicultural”. Nel suo lavoro, che ha avuto grandi riconoscimenti di pubblico, critica e mercato (tra l’altro, è stato nominato nel 2004 tra i finalisti del Turner Prize), esplora i temi della razza, dell’identità, delle differenze di classe, mescolando forme diverse come la scultura, la fotografia, la pittura e soprattutto l’installazione. Il tema della mescolanza tra culture e dell’ambiguità del concetto di “purezza” culturale si concentra tutto nell’uso di questi tessuti: africani nello stile e nel senso comune, ma realizzati altrove (infatti Shonibare li compra a Londra). In più, l’artista li taglia e cuce in modelli tipici dell’Inghilterra coloniale: un modo per ribadire che la cultura è una costruzione artificiale.

Infine, entrando nello stand della galleria Lia Rumma di Napoli, si poteva vedere un’opera meravigliosa di William Kentridge: un arazzo largo tre metri e mezzo e alto due e mezzo, che riproduceva una complessa costruzione dal titolo Noah: Porter Series (Géographie des Hebreux ou Tableau de la dispersion des Enfants de Noë), 2001-2005. L’opera fa parte di una serie di arazzi in cui l’artista rappresenta ombre in processione proiettate su mappe d’epoca. Tutte opere realizzate dal 2001 in poi, nelle quali Kentridge sceglie come protagoniste ombre di cavalli e cavalieri “in cerca di una terra promessa piuttosto che della Terra Promessa”, simbolo di una crociata senza speranza attraverso la storia degli uomini e dei popoli.

Camminate che si svolgono su sfondi che rappresentano la “cartografia biblica” (Egitto e Palestina). Qui la cartina, realizzata come per gli altri in lana mohair con un bellissimo punto di beige (veniva voglia di accarezzarlo per sentire la morbidezza e il calore di quel tessuto luminoso), rappresentava tutto il Mediterraneo e parte dell’Egitto. In basso era riprodotta, sempre nel tessuto (intrecciato a mano in laboratori di Johannesburg diretti da Margherite Stephens) la genealogia dei tre figli di Noè: Sem Cam e Japhet. Un’opera coltissima e profonda, preziosa e unica per la fattura e senza quelle che io chiamo facili “furberie etniche”, con un contenuto profondo e tormentato che arriva dalle origini ebraiche dell’artista sudafricano. Radici di famiglia che Kentridge sa sempre reinterpretare nell’universale disgraziata storia degli uomini sulla terra, costretti a fuggire, a migrare, a subire sopraffazioni. Una storia che Kentridge riesce sempre a fare sentire come condizione che riguarda tutti gli uomini e ogni uomo.

kentridge
Dal 1997, anno della sua partecipazione alla X edizione di Documenta a Kassel, le personali di William Kentridge (Johannesburg, 1955) ospitate nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo si sono moltiplicate, a cominciare dal MCA di San Diego (1998) e dal Museum of Modern Art di New York (1999). Nel 1998 il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles ha presentato una retrospettiva delle sue opere. Una nuova antologica, curata da Carolyn Christov-Bakargiev, è stata ospitata nel 2004 nel Castello di Rivoli e poi in molti altri musei in Europa, Canada, Australia e Sudafrica. Il 2009 ha segnato l’avvio di una nuova, grande mostra itinerante, che è partita da San Francisco e ha toccato vari musei del Texas, della Florida, il MoMA di New York, prima di passare in Europa.

Insomma, Kentridge si conferma un grandissimo dell’arte africana e su quell’arazzo ci ho proprio lasciato gli occhi.
Continua a leggere »

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/tre-grandi-africani-ad-arte-fiera-2010-bologna/trackback/

12 novembre 2009

Aquino de Bragança: continuare a sognare

DSCF2165L’artista goana-mozambicana Silvia Bragança ha presentato il 22 settembre al Centro Internacional de Conferências Joaquim Chissano a Maputo il suo libro “Aquino de Bragança – Batalhas ganhas, sonhos a continuar”.

Silvia continua così la sua opera di risveglio della memoria su suo marito Aquino da Braganca, anche lui originario dell’isola di Goa, conosciuto soprattutto come il mitico intellettuale delle rivoluzioni contro la dominazione coloniale portoghese: Aquino da Bragança era il consigliere di Samora Machel, leader del movimento di liberazione del Mozambico, e viaggiò come diplomatico della rivoluzione raccogliendo sostegno politico alla lotta del FRELIMO. Purtroppo, Aquino da Bragança viaggiava assieme al Presidente Samora Machel sull’aereo che precipitò in circostanze mai chiarite il 19 ottobre 1986, portandosi via prematuramente la leadership del Mozambico indipendente.

aquino-imag-livro-22Le mie congratulazioni a Silvia, che ha altri libri in lavorazione, tra cui alcuni libri d’arte. E’ un’artista colta e raffinata, che innova continuamente i propri linguaggi artistici ed è un punto di riferimento a Maputo per tanti artisti della nuova generazione. Sulla copertina del libro è riprodotto un ritratto del marito realizzato con la tecnica della poesia integrata come elemento figurativo. Silvia de Bragança tiene anche un blog storico sulla figura del marito.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/aquino-de-braganca-continuare-a-sognare/trackback/

14 ottobre 2009

Arti plastiche beninesi: sopravvivenza delle tematiche vodun

vodooPresentazione dell’articolo “ Arti plastiche beninesi : sopravvivenza delle tematiche vodun?”, pubblicato sul numero 67 di Africa e Mediterraneo a firma di Didier Houenoude, attualmente coordinatore di Mission du Patrimoine della villa di Porto Novo in Bénin.

L’arte contemporanea in Bénin, così come nel resto del continente africano, costituisce una categoria marginale in cui rientra tutto ciò che sfugge una definizione. Tuttavia, negli ultimi dieci anni la scena beninense ha registrato un’apertura crescente nei confronti dell’arte e gli artisti non sono più dei perfetti sconosciuti, ma alcuni di essi, tra cui Romuald Hazoumé, Georges Adéagbo, Cyprien Toukoudagba, Dominique Zinkpè, che vivono e lavorano in Bénin, godono di grande prestigio anche a livello internazionale.

Nel territorio beninense, il quadro teorico favorevole all’emergenza e allo sviluppo dell’arte contemporanea inizia appena a costituirsi. L’insegnamento delle arti plastiche rappresenta un’attività marginale e non esiste in pratica in alcun programma scolastico, così come non esistono istituti di formazione artistica di tipo accademico. Anche lo statuto di artista viene acquisito da alcuni per il semplice fatto di dipingere o scolpire. Il presente articolo fornisce una panoramica della situazione dell’arte contemporanea in Bénin soffermandosi, attraverso l’analisi delle opere di alcuni artisti beninensi, sulle due tematiche fondamentali su cui si incentra la creazione artistica: il vodun e la tratta schiavista.

Il vodun costituisce un elemento religioso e culturale allo stesso tempo, e proprio in virtù di questa sua caratteristica continua a manifestarsi nella maggior parte delle attività delle popolazioni del Bénin meridionale. Per molti artisti beninensi, come Romuald Hazoumé, l’arte è concepita come una pratica religiosa di cui l’artista è il grande officiante e la creazione artistica propriamente detta non può aver luogo senza una precedente preparazione appartenente all’ordine del sacro che si realizza attraverso preghiere e invocazioni.

L’aspetto culturale del vodun è quello che viene rappresentato dalla maggioranza degli artisti beninensi, mentre la dimensione religiosa è sviluppata sia nel lato oscuro del vodun (Eusèbe Adjamalé, Tôkpéou), che nel suo aspetto misterioso interpretato in maniera simbolica attraverso i segni del fa, una geomanzia divinatoria al cuore della vita delle popolazioni nel golfo del Bénin. Questa pratica è diffusa tra numerose popolazioni che vivono nella zona comprendente le attuali Repubblica del Togo, il Bénin e la Repubblica Federale della Nigeria.

Già molto diffuso all’epoca della tratta schiavista, la pratica del fa trae origine dalla cultura yoruba, e si è imposta in altre culture come la cultura fon, la cultura éwé o ancora in America e nei Caraibi, importata dagli schiavi.

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/arti-plastiche-beninesi-sopravvivenza-delle-tematiche-vodun/trackback/

20 luglio 2009

Walid Raad in mostra a Como

Siamo capaci di far piovere ma nessuno ce l’ha mai chiesto: questo è il titolo della XV edizione del Corso Superiore di Arti Visive promosso dalla fondazione Ratti fino al 22 luglio (Como).

Oltre ai workshop e alle conferenze, la fondazione promuove diverse mostre fa cui segnaliamo, dal 2 luglio al 30 agosto, la prima personale di Walid Raad dal titolo Scratching on Things I Could Disavow: A History of Art in the Arab World, Part I _ Volume 1 _ Chapter 1: Beirut (1992-2005).
Continua a leggere »

Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/walid-raad-in-mostra-a-como/trackback/

08 luglio 2009

Cairoscope a Bologna

cairoSegnalo questa iniziativa (Bologna, Museo della Musica, 8 e 9 luglio), che presenta per la prima volta in Italia opere di Hala Elkoussy, Christoph Oertli, Iman Issa, Shady El Noshokaty, Hermann Huber, Doa Aly, Khaled Hafez e Ahmed Khaled.

Immagini di alcuni di questi artisti sono stati pubblicate da Africa e Mediterraneo:

  • Hala Elkoussy sul 49/2005, a commento di un articolo di Vittorio Ricci su Jacques Derrida; Peripheral, Videoinstallation 2005, 28 min., college of FineArts Nueremberg, Iwalewa Haus Bayreyth; Einstein Forum Postdam, June 2005; e la bella immagine di copertina del numero 47-48/2004 (Re)constructione #2, 2003.
    Hala El Koussi, (Re)constructione #2

    Hala El Koussi, (Re)constructione #2

  • Iman Issa sul 50/2004, il progetto Going Places; questo è il link alla scheda su Going Places fatta da Iolanda Pensa nell’ambito del nostro progetto “Glocal Youth. Testi e contesti mediatici per giovani nel Nord e nel Sud del mondo”.
  • Khaled Hafez, Anubis-Batman and other gods on downward motion, 2002 sul 47-48/2004.
  • Abbiamo pubblicato anche un articolo di William Wells sulla Townhouse Gallery del Cairo, che realizza progetti di arte urbana ambientati nel quartiere, sul numero 50/2004.
  • Sul 47-48/2004 compare l’articolo di Basim Magdy Walk like an Egyptian. The issue of diversity concerning representation of contemporary Egyptian art, dove l’autore, artista trentenne che vive e lavora al Cairo, lamenta il fatto che gli artisti del “terzo mondo” che vogliono esprimersi in modo personale mescolando influssi ed interessi diversi si ritrovano ingabbiati da chi li vuole concentrati su argomenti socio-politici e chi li accusa di essere troppo occidentali e di ignorare la loro identità locale. Lo ripubblico qui (Pdf).
  • Finalmente a Bologna qualcosa di interessante.

    Segue il comunicato stampa dell’iniziativa:

    Continua a leggere »

    Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/cairoscope-a-bologna/trackback/

    25 giugno 2009

    Africa opens its eyes to its art

    La Nouvelle Liberté, sculpture monumentale de Joseph Sumegne à  Douala, Doual'art 1996

    La Nouvelle Liberté, sculpture monumentale de Joseph Sumegne à Douala, Doual'art 1996

    For our internet readers we publish the article “Africa opens its eyes to its art” as a preview from the last number of The Courier (special 3, June 2009):

    After almost two decades characterised by the intense effort to fight the invisibility of African art in the contemporary scene – through big pan African exhibitions, important publications and participation in biennials – now the most appealing trend in African contemporary art is the involvement of the African public together with the participation of local governments, museums and sponsors.

    In recent years we observed the birth of some extremely interesting initiatives in several African countries, led by curators and artists firmly convinced that it is necessary to bridge the huge divide between African artists (cultivated, recognized worldwide, and with international relations) and African citizens living in widely different conditions. These initiatives move from the assumption that all people have the right to access the knowledge and input that contemporary art can give them. They have the right to be educated in art interpretation, and to experience its richness and aesthetic pleasure that it can give. They have the right to visit a contemporary art gallery and enjoy it. Africa must open its eyes to its artistic production.

    Read the rest of the article

    Continua a leggere »

    Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/africa-opens-its-eyes-to-its-art/trackback/

    10 giugno 2009

    L'arte a Capo Verde

    Patrick Monteiro, Senza titolo
    Presentazione dell’articolo “Arte a Capo Verde, un caleidoscopio di stili e di influssi” pubblicato sul numero 49 di Africa e Mediterraneo a firma di Igino Schraffl.

    Se della musica e letteratura capoverdiana si parla e ci si può documentare con facilità, lo stesso non si può dire per quanto riguarda l’arte che si produce nell’arcipelago. L’assenza di scuole d’arti ufficiali, la discontinuità territoriale e la mancanza di luoghi deputati, infatti, non hanno mai permesso l’affermarsi di una tradizione artistica consolidata. In questo quadro e in condizioni di relativo isolamento operano alcune personalità della pittura e della scultura di rilievo. Quasi tutti gli artisti sono il più delle volte di rientro dalle accademie europee, e spesso dall’arte europea sono influenzati in maniera maggiore che dalle radici dell’arte africana. Questa situazione si pone come un dilemma identitario che produce un’estetica che oscilla fra il nomadismo artistico e una più marcata tendenza a seguire alcuni stereotipi dell’arte europea.
    L’articolo introduce un’esauriente carrellata dei principali artisti di Capo Verde.

    Trackback url: https://www.africaemediterraneo.it/blog/index.php/larte-a-capo-verde/trackback/