04 dicembre 2018

Senegal. L’inaugurazione del museo panafricano

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Il ministro della cultura del Senegal Abdou Latif Coulibaly ha dichiarato, durante la conferenza stampa di presentazione del Musée des civilisations noires a Dakar, che il Paese chiederà alla Francia la restituzione «di tutte le opere d’arte identificate come appartenenti al Senegal». Anche altri Paesi africani, come il Benin e la Costa D’Avorio, hanno richiesto la restituzione di opere d’arte portate in Francia a fine Ottocento, in piena epoca coloniale. Si sta infatti discutendo di un processo di decolonizzazione culturale all’interno delle società africane contemporanee: lo scorso 23 novembre Felwine Sarr – economista e scrittore senegalese – e Bénédicte Savoy – storica dell’arte francese – hanno presentato al presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron un rapporto sul patrimonio africano conservato in Francia, con lo scopo di chiedere la restituzione di beni culturali al proprio contesto di origine. Il nuovo museo senegalese, costruito grazie a una donazione dalla Cina e che sarà inaugurato il 6 dicembre 2018, vuole aprire la strada, infatti, alla più grande collezione di arte africana raccolta in un unico luogo. Questo edificio circolare, la cui idea era stata lanciata per la prima volta nel 1966 proprio dal padre dell’indipendenza senegalese, il poeta-presidente Léopold Sédar Senghor, fa parte del parco culturale conosciuto con il nome di Parco delle sette meraviglie di Dakar, dove hanno attualmente sede il Gran Teatro, il Museo d’Arte contemporanea, la Biblioteca nazionale, gli Archivi nazionali, l’Accademia delle Belle Arti, la Scuola di Architettura e il Palazzo della Musica.
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(Abdoulaye Konaté / Photo: Peter Mallet)

L’obiettivo principale di questo museo, secondo il suo direttore, non è quello di diventare un monumento statico, ma di aprire uno spazio in costante movimento, dove sia possibile un incontro di civiltà e un dialogo tra culture differenti. Il tema della mostra inaugurale Civilisations africaines: création continue de l’humanité celebra il valore e l’opera umana dell’uomo africano nella storia: in uno spazio su due livelli, i visitatori viaggeranno dal Neolitico all’Età del Ferro fino a scenografie più moderne e contemporanee, che vantano anche dell’uso delle ultime tecnologie. Si scopriranno così manufatti, dipinti, sculture, maschere e capolavori di artisti africani affermati come Abdoulaye Konaté, tra i maggiori rappresentanti delle arti plastiche del Mali, che espone sculture tessili che racchiudono i simboli segreti delle società maliane, e lo scultore haitiano Edouard Duval-Carrié, che ha realizzato un baobab in argilla di 20 tonnellate e alto 12 metri. Questo museo è, dunque, un progetto definito «panafricano», che si propone di valorizzare il ruolo determinante delle civiltà africane nella storia mondiale.

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27 novembre 2017

Afrotopia. La biennale di Bamako

Nelle costruzione delle società cosiddette post-coloniali sono state applicate delle soluzioni prêt-à-porter, ovvero dei modelli che poco avevano e hanno a che fare con la loro storia. Questi modelli sono così radicati che difficilmente vengono messi in discussione o interrogati, mentre una società si dovrebbe chiedere sempre: “qual è il progetto di vita insieme che vogliamo costruire?”. Su questi temi ruota il neologismo afrotopia, creato dall’economista Felwine Sarr, uno dei pensatori più originali del continente africano. Dunque, afrotopia: «une utopie active qui se donne pour tâche de débusquer dans le réel africain les vastes espaces du possible et les féconder», afferma l’intellettuale senegalese.
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(Anarchie productive, 2017. Fototala King Massassy)

In relazione all’Africa si parla sempre di sottosviluppo e di inefficienza, mentre l’Africa è un continente promettente e pieno di ricchezza. Per questo nell’immaginario dell’”essere africano” occorre una decolonizzazione delle menti e una riappropriazione della storia del continente.
Da questa parola intrisa di significato prende il titolo la 11° edizione dei Recontres de Bamako. Biennale africaine de la photographie, il maggiore evento dedicato alla fotografia africana che si terrà dal 2 dicembre 2017 al 31 gennaio 2018 nella capitale del Mali. L’intento di questa Biennale di Bamako è creare le basi di una comunità artistica capace di riflettere sul continente e sul mondo, cercando di superare la crisi di rappresentazione che la riguarda.
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(Afroeucentric Face On, 2016. Lola Keyezua)

Infatti, tra le 300 candidature di qualità ricevute, il comitato di selezione ha scelto 40 proposte di artisti e collettivi residenti in Africa o nelle diaspore, che utilizzano linguaggi visivi di grande impatto, capaci di volgere lo sguardo al futuro e al rinnovamento. Un esempio di sfida alle norme istituzionali può essere dato dalla serie di Anarchie Productive di Fotolala King Massassy, un artista del Mali, che vuole restituire al pubblico una realtà africana vibrante, giocosa e affermativa. Veri e propri paesaggi emotivi sono costantemente interrogati nel lavoro della fotografa nigeriana Zina Saro-Wiwa, mentre i corpi sono visti da Lola Keyezua in una prospettiva pittorica visionaria che vacilla tra la crudezza e la resa. Questa mostra vede la presenza anche di diversi curatori ospiti che approfondiscono i temi e le domande degli artisti, in particolare quelli che riguardano le identità marginali con Clémentine de la Ferronière e Nathalie Gonthier.
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(The Invisible Man, 2015. Zina Saro-Wiwa)

L’indagine sulla musica africana sin dall’epoca dell’indipendenza è affidata a Justin Davy, mentre il progetto sul tema dell’Afrofuturismo è curato da Azu Nwagbogu. Come in risonanza alle domande aperte dalle proposte artistiche, si attivano anche gli spazi per la riflessione collettiva e la condivisione delle conoscenze, attraverso forme libere e plurali con relatori provenienti da tutti i campi del pensiero – filosofi, poeti, musicisti, storici, sociologi, scrittori. Particolare attenzione è dedicata anche all’apertura e al coinvolgimento con il pubblico maliano. I protagonisti di questa esibizione pongono, dunque, le basi per una visione ampia e viva del continente, ricco di spiritualità e culture, che sono tutte componenti dell’economia relazionale di cui parla Felwine Sarr. Un’economia, quindi, non basata sui criteri logico-valutativi dello sviluppo/sottosviluppo ma sulla storia e sulle voci di comunità capaci di creare e inventare.
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(Nothing, 2017. Lola Keyezua)

Per maggiori informazioni: www.rencontres-bamako.com

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