13 giugno 2014
Gender studies e migrazione femminile
A Bentivoglio, nell’ambito della Festa dei Sapori, il centro sociale Il Mulino ha organizzato una presentazione di Africa e Mediterraneo. Ha introdotto la vicepresidente Marinella Ghelfi, spiegando le attività che il centro organizza per le donne migranti (corsi di italiano, asilo, laboratori). In seguito, Letizia Lambertini, consulente nel campo delle Politiche di Genere e Interculturali, ha esposto i contenuti del suo articolo “Donne in movimento, una riflessione sul rapporto tra gender studies e migrazione”, pubblicato nell’ultimo numero di Africa e Mediterraneo. Infine è intervenuta la ricercatrice su tematiche di genere Sara Bruni. Dalle volontarie del centro sociale presenti tra il pubblico sono arrivate tante domande, ispirate da riflessioni sorte durante il lavoro che esse svolgono per favorire l’integrazione tra donne native e migranti. E’ stato interessante il confronto tra il livello concreto e operativo e quello teorico che può aiutare a capire i meccanismi della relazione. Tra il pubblico c’erano diverse signore nord africane che non hanno voluto perdere quest’occasione. Vi proponiamo qui un estratto dell’articolo sopra citato di Letizia Lambertini pubblicato sul numero 79 di Africa e Mediterraneo.
Fin dai suoi esordi l’epistemologia femminista è aperta ad accogliere la riflessione sulla migrazione e a offrirle un campo di articolazione libero da connotazioni discorsive culturalmente dominanti e stereotipate. I gender studies sono, all’interno del femminismo, un approccio interdisciplinare nello studio della produzione delle identità e del rapporto tra soggetto/società/cultura. Essi sono caratterizzati da una forte impronta politica correlata, in particolare, ai processi emancipatori delle società post-coloniali e globalizzate. La teoria dei “saperi situati”, così come formulata nei gender studies, pone al centro della conoscenza l’esperienza soggettiva, riconoscendo valore e dignità ai percorsi individuali, contro le pretese di validazione dei sistemi cosiddetti oggettivi e universali. Questa teoria configura uno spazio libero di espressione, nel quale ogni soggetto ha diritto di cittadinanza e infinite possibilità di ridefinizione.
In un contesto sociale e politico nel quale ciò che porta chi migra è generalmente poco interessante – o tutt’al più è folkloristico – i gender studies offrono una cornice interpretativa che non è né quella del distanziamento critico, né quella del voyerismo. Essi delineano un campo di azione che contempla il dialogo e la contaminazione delle esperienze e che guarda con rispetto e attenzione alle indefinibili combinazioni provocate dal superamento, reale e simbolico, delle frontiere geografiche e culturali. Così scrive Rosi Braidotti: L’obiettivo di oggi per il pensiero femminista è di elaborare un progetto di saperi situated, cioè situati, dove la questione della soggettività femminile si lascerà attraversare da altri assi di interrogazione, provenienti da altre regioni di frontiera. La condizione di pariteticità che tale cornice determina svuota di senso termini definitivi come immigrata o emigrata e ne introduce di più mobili – migrante per esempio – accentuando l’accezione provvisoria e dinamica dell’esperienza del viaggio o sottolineando il senso anche metaforico sotteso alla parola.
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Parole chiave : centro sociale Il Mulino, Festa dei Sapori, gender studies, Immigrazione, Letizia Lambertini, Migrazione femminile
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20 gennaio 2014
Donne nella migrazione: il nuovo numero di Africa e Mediterraneo
È uscito il numero 79 di Africa e Mediterraneo con un dossier dedicato alle donne migranti. Pubblichiamo qui un estratto dell’editoriale “La pietra d’angolo”, scritto dalla Direttrice Sandra Federici.
La questione migratoria in Italia e in Europa è stata, in passato, letta principalmente attraverso una lente maschile, trascurando la dimensione femminile o relegandola a un ruolo passivo e subalterno: le donne migranti entravano nella discussione accademica in quanto mogli, madri, figlie di uomini migranti. Ora, negli studi sull’immigrazione, grazie anche all’apporto di altre discipline, in particolare dei gender studies, il genere è arrivato a occupare un rilievo non secondario. Sono numerose le ricerche che applicano questo approccio ai vari aspetti della migrazione, mettendo in luce il fatto che sempre più le donne si spostano indipendentemente dal proprio nucleo familiare, che nel percorso migratorio le donne risultano capaci di costruire difficili relazioni transnazionali e mantenere i piedi in due mondi, che è con le donne che è opportuno lavorare per ricostruire le relazioni e mettere in moto il processo circolare e reciproco della convivenza.
E’ stato rilevato che questa attenzione al genere potrebbe essere dovuta anche alla presenza negli studi sull’immigrazione di un grande numero di studiose; in ogni caso, rileviamo che al lancio del nostro appello a ricevere proposte per il dossier hanno risposto quasi esclusivamente donne, alcune ricercatrici, altre, la maggior parte, operatrici attive in progetti sociali, culturali, sanitari indirizzati a donne migranti, che hanno colto l’occasione di condividere con gli altri una riflessione sulla loro esperienza.
In Italia nel 2012 le donne erano il 53,1% del totale degli stranieri regolarmente residenti in Italia (Immigrazione Dossier Statistico IDOS/UNAR, 2013) e a livello europeo esse rappresentavano il 48,71% (Eurostat) del totale dei flussi migratori del 2011. Queste donne sono lavoratrici, studentesse, professioniste, madri di famiglia che fruiscono di servizi, intessono relazioni e negoziano quotidianamente il loro ruolo di genere in bilico tra vecchie e nuove identità. A volte sono persone in difficoltà che stanno vivendo percorsi di isolamento, sfruttamento, esclusione, violenza. […]
In questo dossier sono consegnate, da parte di chi pratica e studia il lavoro sociale partendo dalla prospettiva di genere, numerose testimonianze dirette delle donne immigrate. L’ascolto dell’altra in un rapporto paritetico è possibile se viviamo la consapevolezza della “parzialità” del nostro punto di vista, della necessità di comprendere ogni percorso individuale nella sua specificità e senza imprigionarlo in categorie universali, del fatto che il concetto-prigione dell’identità non è applicabile a soggetti che sono il risultato di un insieme di esperienze, saperi e poteri. Le donne sono la pietra d’angolo su cui si costruisce la convivenza: la loro forza e autonomia è la variabile che determina l’integrazione dell’intero nucleo familiare. E anche quando sono sole, separate dalle famiglie, esse si mostrano maestre della transnazionalità delle famiglie, del welfare, del lavoro. La dimensione della relazione è vitale, e se le difficoltà degli spostamenti e degli incontri portano a vivere una chiusura, uno scacco, essa va ricostruita, segnalando la possibilità di una relazione nuova, da vivere nella consapevolezza del proprio valore, della propria capacità di essere ponte tra culture, dell’efficacia potente dell’aiuto reciproco tra donne.
Sandra Federici
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