07 ottobre 2011

DAK’ART 2012: pubblicate le date e la deadline per le candidature

Il Segretariato Generale di Dak’Art annuncia che la 10° edizione della Biennale africana di arte contemporanea DAK’ART 2012, si terrà dall’11 maggio al 10 giugno 2012.

DAK’ART è un evento artistico internazionale dedicato agli artisti visivi di nazionalità africana. Per l’edizione 2012 i principali eventi riguarderanno un’esibizione internazionale di arte contemporanea, esibizioni personali di artisti residenti in Africa o nella Diaspora, seminari e proiezioni di film sull’arte contemporanea e animazioni nel Village della biennale.

DAK’ART rimane uno dei principali punti di riferimento per chi vuole seguire il lavoro degli artisti contemporanei del continente africano.

La scadenza per inviare la propria candidatura come artista è il 5 dicembre 2011.

Per maggiori informazioni: www.biennaledakar.org/2010

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03 agosto 2011

Numero 74 di Africa e Mediterraneo: Il Senegal e la diaspora senegalese

Acquista il numero 74 sul sito dell’editore Lai-momo

Il dossier che pubblichiamo presenta alcuni approfondimenti sugli eventi socio-culturali che hanno segnato l’ultimo anno e nei quali il Senegal ha inteso interpretare un ruolo anche politico presentandosi come punto di riferimento di una visione globale e panafricana del futuro del continente e della sua proposta culturale: il Monumento al Rinascimento africano e il terzo Festival mondial des arts nègres. Queste iniziative sono approfondite e spiegate nei loro retroscena, nelle motivazioni e negli errori dagli articoli di Victoire Axiga-Dokpo e Itala Vivan.

Il dossier continua con vari approfondimenti su aspetti culturali del Senegal, con interessanti visuali storiche. Un panorama del cinema senegalese, della sua importanza nel passato con l’opera dei grandi Ousmane Sembène e Djibril Diop Mambéty così come della sua difficoltà attuale, è tracciato nell’articolo di Simona Cella.

La denuncia senza sconti dei rapper del movimento di protesta “Y en a marre” nei confronti della corruzione e dell’immobilismo della classe dirigente del Paese, così come la presa di posizione degli artisti hip hop nella vetrina mediatica del Forum sociale mondiale, tenutosi a Dakar nello scorso febbraio, sono raccontati da Fabrizio Guglielmini, assieme alla produzione degli artisti del neo ‘mbalax come Coumba Gawlo e Yossou Ndour.

Due importanti scrittori senegalesi presenti in Italia hanno dato il loro contributo a questo dossier: Cheikh Tidiane Gaye dando una personale selezione, presentazione e traduzione dei poeti senegalesi, Pap Khouma raccontando dal punto di vista di pioniere dell’immigrazione in Italia una breve storia del movimento che ha portato decine di migliaia di giovani senegalesi a spostarsi in Italia. L’integrazione linguistico-culturale di questi nuovi cittadini, con tutte le implicazioni sull’intreccio dei rapporti personali, sulla costruzione di famiglie miste, sull’educazione dei figli, è trattata dall’etnolinguista Baye Ndiaye, presidente del Centro orientamento studi africani di Milano.

Elisabetta Bevilacqua traccia una storia della presenza di scrittori senegalesi nel panorama della scrittura della migrazione in Italia, approfondendo, tra le altre, proprio l’opera di Pap Khouma, il cui libro (scritto assieme a Oreste Pivetta) Io venditore di elefanti è considerato il titolo con cui la “letteratura della migrazione” ha fatto il suo esordio in Italia.

La storia del Senegal è stata a lungo, bisogna dirlo, la storia del suo rapporto con la Francia. Un rapporto a cui la figura del poeta presidente Senghor ha dato una importante connotazione letteraria, culturale e linguistica, cosa che ha portato in eredità anche una certa ambiguità. Un’ambiguità che caratterizza la storia a fumetti Le Sénégal et Léopold Sédar Senghor, creata dallo sceneggiatore francese Saint-Michel, analizzata da Francesca Romana Paci, con un’attenzione speciale proprio alle implicazioni visive e linguistiche, spesso molto sottili, che possono essere ricondotte al complicato rapporto tra Paese colonizzato e madrepatria colonizzatrice. I fumetti sono un ottimo modo per capire il tessuto sociale di un Paese, per questo abbiamo pubblicato una tavola delle avventure di Goorgoorlou, l’anti-eroe creato dalla penna di T.T. Fons, probabilmente il più famoso e popolare personaggio a fumetti del Senegal, in quanto rappresenta l’uomo medio senegalese, disoccupato, alla ricerca costante di una piccola somma per la “Spesa Quotidiana”. Anche le tavole di Lamine Dieme, sulla passione dei bambini per il gioco del calcio, rappresentano una scena energica e scanzonata della vita sociale senegalese.

Come abbiamo detto, il Senegal è da tempo molto legato anche all’Italia, anche perché quella presente da noi è la più grande tra le diaspore senegalesi. L’articolo di Anna Casella Paltrinieri ripercorre la presenza dei Senegalesi muridi nella provincia di Brescia, dove questa confraternita ha creato un centro per il culto che, se in passato è stato occasione di dialogo interculturale e interesse reciproco con le istituzioni locali italiane, negli ultimi anni è diventato pretesto per polemiche sulla sicurezza da parte di alcuni partiti, senza che da parte della comunità senegalese si sia riusciti a dare un’adeguata risposta.

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20 maggio 2010

Bottiglie, noccioline e sacchi di riso. Sfilart, tra moda, arte e riciclo

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Bottiglie, noccioline e sacchi di riso. Sfilart, tra moda, arte e riciclo”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Simona Cella.

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Nel 1990 un gruppo di cittadini senegalesi e italiani ha creato l’onlus Sunugal, un’associazione socio-culturale che si propone di favorire iniziative di scambio tra Italia e Senegal.
Da alcuni anni Sunugal promuove un progetto alternativo di sartoria, educazione e sviluppo a sostegno del Centro socio-culturale di formazione en Coupe et Couture di Dakar. Il progetto prevede una prima fase destinata alla formazione delle giovani donne di Dakar e una seconda destinata allo sviluppo di un’imprenditoria sociale.
Le allieve del centro, una volta terminato il corso, vengono inserite presso strutture lavorative locali, riunitesi in una rete di microimprese, volta a contrastare il flusso di emigrazione e la prostituzione. La produzione di abiti da parte delle allieve è valorizzata da sfilate che si propongono come occasione di promozione, aggregazione ma anche di sostegno economico alle attività che si svolgono all’interno dell’istituto e al finanziamento delle spese annuali per quelle allieve che provengono da famiglie povere e fortemente disagiate.
Negli ultimi anni, le allieve del centro, coordinate dal sarto Mbaye Diouf, hanno realizzato alcune collezioni di “moda etica” che utilizzando materiale di recupero hanno anche lo scopo di sensibilizzare su alcune problematiche del Paese. Materiale di base sono i sacchi di iuta usati per il riso, alimento principale della cucina senegalese ma anche ricordo di una cultura imposta dalla Francia ai tempi della colonizzazione. Imposizione che ha portato il paese a dipendere dall’importazione di riso, dall’Indocina prima e dall’India ora. Altro ricordo dei tempi della colonizzazione e di una monocultura che ha causato la desertificazione è legato ai gusci di arachidi che decorano gonne e giacche. Infine bottiglie di plastica che ricordano la privatizzazione dell’acqua e il monopolio dell’acqua minerale francese e il problema della plastica che invade e inquina non solo le città ma anche i villaggi.
La collezione Sfilart è stata presentata in Senegal e in Italia.

Per aquistare online la rivista vai sul sito dell’editore.

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01 aprile 2010

Polemiche roventi per l’inaugurazione del “Monumento della Rinascita africana” prevista per sabato 3 aprile

Il mondo intero è invitato ad assistere sabato 3 aprile in Senegal all’inaugurazione dell’enorme “Monument de la Renaissance Africaine”, concepito dal Presidente Abdoulaye Wade in persona.
La spaventosa statua, alta 50 metri e collocata su una collinetta di Dakar alta 100 metri, rappresenta un uomo muscoloso, coperto solo da un fazzoletto ai fianchi, nell’atto di uscire da un vulcano, spingendo verso l’alto un bambino con una mano e “tirando” dietro di sé una donna seminuda con l’altra. Il tutto realizzato in stile repubblica socialista, dalla società coreana Mop, con il coordinamento di una società francese e la supervisione dell’architetto Pierre Goudiaby Atepa, amico del Presidente.
“E’ l’Africa che esce dal ventre della terra, lasciando l’oscurantismo per andare verso la luce”, ha spiegato Wade al giornale Libération.
A parte l’orrore di questa opera, l’irrimediabile inquinamento visivo che porterà, il disagio causato dalla esasperata sensualità dei corpi ai cittadini di Dakar per la maggioranza musulmani, le polemiche vertono anche sul costo della realizzazione. Le cifre riportate dai vari giornali oscillano dai 17 ai 27 milioni di dollari.
In Agosto 2009 il presidente ha dichiarato che il monumento non è costato denaro ma terre di proprietà statale. Non ha dato cifre sul valore del lavoro né delle terre. Si parla di 50 milioni di euro di terre edificabili, tanto che l’opposizione ha richiesto un’audit indipendente su tutta l’operazione, perché si versi al tesoro statale la differenza tra il valore del terreno ceduto e il costo reale dell’opera.
Nel corso di una visita ai lavori l’estate scorsa, Wade ha affermato di essere il proprietario intellettuale dell’opera e che il 35% dei proventi derivanti dalla presenza di “centinaia di migliaia di turisti” andranno a lui, che li darà al figlio Karim per la sua associazione.
Il Presidente ha infatti voluto creare un’opera colossale che attiri turisti come la Statua della Libertà a New York o il Cristo redentore a Rio de Janeiro.

Pubblichiamo questa foto di Elena Zaccherini che esprime in sintesi l'estraneità del monumento rispetto alle 
condizioni della città

Pubblichiamo questa foto di Elena Zaccherini che esprime in sintesi l'estraneità del monumento rispetto alle condizioni della città

Diversi creativi e operatori culturali attivi in Senegal avevano fatto proposte, ma Wade ha deciso autonomamente… e le polemiche infuriano.
Questa potrebbe essere anche considerata una scelta strategica a lungo termine visto il dibattito degli ultimi anni sull’importanza della cultura per lo sviluppo in Africa. Un dibattito attualissimo fatto di dichiarazioni ufficiali, summit, conferenze, studi, che ha approfondito temi come l’identità culturale africana, l’importanza di dare spazio ai creatori di qualità, la necessità dell’aspetto partecipativo dell’animazione culturale e quindi del coinvolgimento della popolazione locale… Il tutto “demolito” da un capriccio di un presidente che si è improvvisato artista.

Gli imam di Dakar si sono coordinati per fare sermoni contro il monumento e in dicembre c’è stato un dibattito sulla Radio Televisione Senegalese tra favorevoli e contrari, discutendo se la statua debba essere cosiderata un monumento (quindi non proibito dall’islam) o un idolo (raffigurante una divinità e quindi vietato).

Ma c’è anche un coro di sostenitori. Il cantante senegalese Malick Niang ha appena fatto uscire un disco intitolato “Monument de la Renaissance africaine”, per sostenere e fare conoscere l’opera e dice di stare addirittura organizzando una carovana promozionale nel paese. Mohamadoul Lamine Sall, presidente de l’Union pour l’éducation et le secours (UNIES), ha sottolineato che la statua genererà delle ricadute economiche grazie al turismo e che avrà anche una funzionalità pratica contenendo anche sale conferenze e ristoranti per il pubblico. Il Forum de la renaissance africaine (FORA) ha espresso ‘’la sua indignazione” per le polemiche e ha “incoraggiato il presidente per questo gioioso regalo offerto ai popoli africani”.
Comunque, quello che molte persone trovano offensivo è che mentre la gente non ha acqua potabile e i quartieri di Dakar vengono inondati nella stagione dell piogge, si spendono denari in opere inutili. L’area in cui sorge il monumento, Ouakam, è molto povera e l’amministrazione è sul piede di guerra. Wade ha cercato di rimediare finanziando con 2 milioni di euro i sacrifici per gli spiriti del luogo, organizzati per far cessare gli incidenti mortali che sono frequenti alla rotonda sotto la collina da quando sono aperti i lavori.
Le agenzie senegalesi prevedono la presenza di una trentina di capi di stato africani e internazionali per il 3 aprile, giorno dell’inaugurazione. La mattina si terrà una conferenza internazionale sulla “Renaissance Africaine” (…!) e alle 15 l’inaugurazione. Il giorno dopo ci sarà la celebrazione del conquanternario dell’indipendenza del Senegal.

Per mesi ha circolato un’immagine generata al computer del monumento, sulla quale gli internauti si sono divertiti a lavorare: ecco allora il monumento con il President Wade, sua moglie e suo figlio Karim. Effettivamente Wade sostiene nella sua carriera il figlio, che è stato nominato nell’ultimo anno ministro della Cooperazione internazionale, della Pianificazione regionale, dei Trasporti aerei e delle Infrastrutture.

Sandra Federici

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16 luglio 2009

L’UNESCO e l’isola di Gorée, diaspora senza memoria collettiva

in: Turismo

gore-senegalPresentazione dell’articolo “L’isola di Gorée, patrimonio mondiale dell’UNESCO: le contraddizioni memoriali di un sito riconosciuto e abitato” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.

L ’isola di Gorée (Senegal), dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, costituisce un sito turistico di notevole interesse in quanto rappresenta un simbolo e un riferimento identitario strettamente legato sia ai suoi visitatori occidentali sia agli “Africani della Diaspora”. Tuttavia, oltre ad essere un luogo della memoria, Gorée è uno spazio abitato e, in virtù di tale duplice identità, costituisce l’oggetto di usi e rappresentazioni estremamente diversi. Inoltre, la popolazione locale si caratterizza per la sua costante ricomposizione, un fenomeno strettamente legato all’attrattiva turistica che il sito genera a partire dagli anni 80 del secolo scorso.

Le politiche culturali, locali e internazionali si sono interrogate troppo poco rispetto al duplice valore di questo patrimonio dell’umanità che, di fatto, si rivolge ai visitatori stranieri. Ne consegue che la popolazione dell’Isola di Gorée non ha costruito una “memoria collettiva” attorno a questo sito e ancor meno si è ancorata al ricordo di una schiavitù fortemente mediatizzata, commemorata dai turisti, dallo Stato e dall’UNESCO.

Gli studi e le ricerche condotte in Senegal mostrano che tale assenza di identificazione e di memoria collettiva locale in relazione alla tratta degli schiavi non concerne solo la popolazione dell’isola, ma anche quella di Dakar, quindi del Paese nel suo complesso. Gorée, a livello locale, rappresenta una vecchia città coloniale divenuta meta turistica, dove si va per piacere, solitamente durante il periodo estivo, a godere della tranquillità delle spiagge. Il ricordo della tratta schiavista resta qualcosa di molto teorico: il periodo storico che evoca ha radici troppo lontane per poter ravvivare qualunque tipo di investimento locale.

La società senegalese, infatti, non si è strutturata a partire dalle conseguenze socio-politiche della tratta atlantica, contrariamente a quanto si è verificato per le comunità sorte dalla schiavitù delle piantagioni, ma si è costituita principalmente at- torno all’evento storico della colonizzazione. Inoltre, la valorizzazione di tale passato non può essere il frutto di una rivendicazione locale comu- ne, in quanto non è compreso in un più ampio patrimonio culturale transgenerazionale: solo i membri delle antiche famiglie meticce dell’isola possono essere portatori di questa memoria collettiva. Il problema è che le famiglie in questione, designate dall’amministrazione come “antica anima di Gorée”, non contribuiscono all’elaborazione di una memoria locale della storia dell’isola poiché non vi abitano più.

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