02 febbraio 2016

Artisti sotto pressione – Il Nigeriano Jelili Atiku arrestato e rilasciato

Jelili Atiku, photo ©Quentin Cornet

Jelili Atiku, photo ©Quentin Cornet

L’artista nigeriano Jelili Atiku è stato arrestato a Lagos il 18 gennaio 2016 insieme ad altri performers e membri del suo pubblico dopo aver recitato una delle sue ultime creazioni, “Aragamago Will Rid This Land Off Terrorism”, vicino a casa sua a Ejigbo, Lagos, quattro giorni prima. Il capo tradizionale della città, Oba Morufu Ojoola, si è sentito direttamente criticato dalla performance e ha accusato i performers di diffondere informazioni che potrebbero favorire un’opinione pubblica negativa sul suo controllo delle risorse della comunità.

Le opere di Jelili Atiku, non convenzionali e provocatorie, denunciano la violazione dei diritti umani in Nigeria e non risparmiano le critiche contro la classe dirigente nigeriana e Boko Haram. Jelili Atiku è il fondatore della prima Biennale Africana della Performance, ed è stato premiato dalla Fondazione Prince Claus lo scorso dicembre. Mentre la performance è spesso considerata come un’arte riservata a un élite di “happy few”, Jelili Atiku prova il contrario. Da Lagos a Casablanca, passando da Vancouver e Tokyo, quest’artista di fama internazionale si mette in scena nello spazio pubblico e, senza aver paura di turbare il pubblico, interroga le ineguaglianze e l’ingiustizia sociale.

Jelili Atiku e i suoi compagni sono stati rilasciati qualche giorno dopo, come dichiarato dall’artista sulla sua pagina Facebook, Atiku rivela che hanno subito minacce e trattamenti degradanti nel carcere di Kirikiri. Uno dei fattori chiave nella liberazione di Jelili è stata la pressione sui social media e la campagna messa in atto da CORA/Arterial Network Nigeria e la Society of Nigerian Artists.

Ricordiamo la sua toccante performance a Parigi a luglio 2015 davanti all’Université La Sorbonne, in strada come è suo uso, organizzata dal centro studi “Les Afriques sans le monde” nell’ambito della rassegna African Acts, una settimana dedicata alle arti contemporanee parallela alla “European Conference of African Studies” che ha visto riuniti nella capitale francese africanisti di tutto il mondo.

 

Jelili Atiku, “Earth with Trees and Water I Am (Alaaragbo VIII) – Terre et arbres et eau je suis (Alaaragbo VIII).” presso la Place de La Sorbonne a Parigi. Photo ©Sandra Federici

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17 luglio 2015

Design is the Personality of an Idea

Design is the personality of an idea

Si conferma ancora una volta la vitalità della Nigeria come laboratorio per l’arte contemporanea: il 19 luglio verrà inaugurata la mostra organizzata dalla African Artists Foundation “Design is the Personality of an Idea” presso la sede della Ford Foundation a Lagos fino al 3 agosto. Una mostra tutta al femminile, che mette in luce le visioni del mondo di otto artiste africane: Joana Choumali (Costa d’Avorio), Nkechi Ebubedike (Nigeria/USA), Akwaeke Emezi (Nigeria), Modupeola Fadugba (Nigeria), Selly Raby Kane (Senegal), Nkiruka Oparah (Nigeria), Moonchild Sanelly (Sudafrica) e il collettivo The Venus Bushfires di cui Helen Parker-Jayne Isibor (Nigeria) è l’unico membro permanente. La mostra si iscrive infatti nel programma Female artists platform dell’African Artists Foundation, un’iniziativa che mira a promuovere l’uguaglianza di genere nell’industria creativa, mettendo in luce le creazioni di donne artiste e designer che vivono e lavorano in Africa.

Attraverso tecniche miste che includono video, moda, pittura, fotografia, collage digitale e suono, la mostra è concepita come una specie di caleidoscopio che permetta al pubblico di vedere il mondo attraverso gli occhi di queste donne dalla personalità eccezionale. Tutto parte dall’idea che “siamo tutti illusi. Nei modi più pericolosi, più belli, più banali e innocui, esistiamo tutti in un mondo modellato da un design, una creazione, dei filtri che ci sono propri. Con le nostre credenze, le nostre storie, i nostri traumi, il nostro consumo, le nostre interazioni, le nostre società, le nostre abitudini, le nostre opportunità e i nostri sogni, disegniamo la nostra propria realtà.” Le opere delle artiste ci portano così a esplorare i mondi soggettivi o immaginari di queste donne, che a volte si incrociano in una stessa realtà, e più spesso allargano il punto di vista dello spettatore oltre i 360 gradi.

Fino all’inaugurazione della mostra domenica 19 luglio, l’African Artists Foundation pubblica sulla sua pagina Facebook dei piccoli approfondimenti sulle artiste esposte. Seguiteli per saperne di più!

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04 aprile 2014

Donne nigeriane e sfruttamento sessuale: la strutturale produzione di vulnerabilità

Chi sono le donne che offrono il proprio corpo in cambio di denaro sulle nostre strade? Molte di loro sono migranti e nella stragrande maggioranza provengono dalla Nigeria. Come funziona il sistema della tratta? Che cos’è il madamato? Le ragazze sono complici o sono vittime? Per riflettere su queste tematiche vi proponiamo l’estratto in italiano dell’articolo Migrant Nigerian Women in Bonded Sexual Labour: The Subjective Effects of Criminalisation and Structural Suspicion, beyond the Trafficking Paradigm, scritto da Irene Peano e pubblicato sul numero 79 di Africa e Mediterraneo.

AP File Photo

Dalla metà degli anni ’80 l’Italia è meta di un significativo traffico di prostituzione  che coinvolge in buona parte le donne nigeriane. Si stima infatti che tra il 1990 e il 2010 le prostitute provenienti dalla Nigeria siano state circa la metà del totale delle prostitute migranti. La maggior parte delle donne nigeriane che finisce sulle nostre strade stipula un contratto con uno “sponsor”, accumulando nei suoi confronti un grosso debito con alti tassi di interesse. Gli sponsor molto spesso sono le madams, ovvero donne che hanno già vissuto sulla loro pelle lo sfruttamento sessuale e sono riuscite a fare il salto di potere diventando loro stesse delle sfruttatrici; si accollano le spese di viaggio, di vitto e di alloggio e pagano il dazio per la postazione che le loro ragazze occuperanno sulla strada. Il debito contratto dalle donne che stipulano l’accordo con le madams può raggiungere i 70.000 euro e viene suggellato in Nigeria presso i santuari delle divinità juju oppure in Italia, dove una volta arrivate le ragazze sono costrette con minacce e abusi. Alcune donne affermano di sapere quello a cui vanno incontro, altre si dichiarano completamente ignare al momento della stipula.

Negli ultimi anni, in Italia, soprattutto attraverso il Pacchetto Sicurezza del 2009, sono stati dati maggiori poteri alle amministrazioni locali, le quali hanno preso di mira la prostituzione in quanto comportamento immorale che lede l’immagine pubblica. Il risultato è stato quello di decentrare le aree adibite all’adescamento dei clienti spostandole in luoghi periferici e isolati, aumentando così il rischio sia per le donne, sia per i loro clienti. Le prostitute nigeriane sono particolarmente esposte alla criminalizzazione dell’immigrazione, di cui il Pacchetto Sicurezza rappresenta il climax. Basti dire che nelle sezioni femminili dei CIE, ovvero i Centri di Identificazione e di Espulsione per gli immigrati, ci sono in maggioranza donne nigeriane. Il cosiddetto articolo 18, offrendo percorsi di protezione e legalizzazione solo a fronte di una denuncia per tratta, si rivela inadeguato nel combattere la strutturale produzione di vulnerabilità.

In Nigeria, per secoli la violenza si è accompagnata a pratiche segrete e il valore della verità è collassato. Le narrazioni da parte delle donne sul loro reclutamento possono cambiare a seconda delle situazioni e  delle opportunità. Il destino delle ragazze che partono verso l’Italia è conosciuto in Nigeria attraverso il passaparola e le campagne di sensibilizzazione, ma molte si illudono che per loro sarà diverso. Inoltre esse provano rispetto e timore verso le madams, che percepiscono come autorevoli e potenti.

Per acquistare on line il N. 79 di Africa e Mediterraneo, conoscere o acquistare i numeri precedenti, sottoscrivere un abbonamento, vai al sito di Lai-momo, l’editore.

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08 novembre 2010

10/11/2010- L’esecuzione di Ken Saro-Wiwa: la distruzione di una bellissima testa

email_view_relatedEvento: Ti ricordi di Ken Saro-Wiwa?

Dove: Brancaleone, via Levanna 11, Roma.

Quando: Mercoledi 10 novembre 2010, ore 20.

Informazioni: Il 10 novembre 1995 il regime militare nigeriano, nonostante le pressioni internazionali, impiccò lo scrittre Ken Saro-Wiwa. Era uno scrittore molto prolifico e popolare nel suo paese, e si era impegnato come ambientalista e attivista per la difesa dei diritti umani, diventando leader del MOSOP (Movimento per la Salvaguardia del Popolo Ogoni) movimento che si batteva per difendere gli Ogoni contro i disastri ecologici causati dalle compagnie petrolifere.

Con quell’impiccagione, il regime nigeriano non si rese responsabile solo di una ignobile violazione dei diritti umani e della libertà del popolo Ogoni di difendere la propria vita e la propria terra. Spegnendo quella vita, togliendo ossigeno a quello straordinario cervello, hanno distrutto un bene prezioso, fonte di orgoglio per la Nigeria. Hanno soppresso una delle più alte voci della letteratura africana, un grande che ha dato tanto al patrimonio letterario mondiale e che chissà cosa ancora avrebbe potuto dare.

Ho amato molto “Foresta di Fiori”, la raccolta di racconti pubblicata da Edizioni Socrates nel 2004, dove la società nigeriana sia rurale che urbana viene raccontata con ironia e amarezza, con una prosa diretta e incisiva che sembra non lasciare molte speranze a miglioramenti o rinnovamenti dall’interno. Anche le figure positive, che vedono e cercano di resistere o di cambiare le cose, escono sconfitte. Ricordo che leggendolo ho pensato: per forza la gente fa di tutto per emigrare. Hanno un bel da dire “sviluppatevi, prendete l’iniziativa, lavorate 12 ore al giorno come un piccolo imprenditore italiano, e vedrete…” Ma chi ci ci può riuscire in quelle condizioni di corruzione, povertà civile, strapotere delle autorità? Questo ci diceva Saro-Wiwa, senza perdere tempo in vittimismi o stereotipate accuse all’Occidente. Lui si rivolgeva agli africani: delle élite e non, cercando di spingerli a prendersi le loro responsabilità.

Copio qui un brano del racconto “E giù, le stelle”, che mi sembra emblematico di questa situazione di impotenza e solitudine di chi è consapevole della situazione e vuole lottare per migliorarla.

Quella mattina Ezi arrivò agli uffici del ministero degli Affari esteri con quarantacinque minuti di ritardo. Fu uno dei primi a entrare. L’ascensore non funzionava; ancora una di quelle interminabili interruzioni di corrente – una peculiarità della nazione. Dovette fare a piedi le scale buie e sporche fino all’ottavo piano, dove si trovava il suo ufficio. Salì lentamente, sforzandosi di ignorare la sporcizia delle scale, che non venivano pulite da mesi: i muri erano senza pittura e pieni di graffiti e ogni pianerottolo era cosparso di schizzi di cataro. Si sentì sollevato quando alla fine raggiunse l’ottavo piano. (…)
Eliza, la dattilografa, stava mangiando rumorosamente su un piatto smaltato. La stanza era impregnata dell’odore di peperoncino, olio di palma rossa e cipolle. Ezi trattenne il respiro per un secondo.
“Eliza?”
“Signore” rispose.
“Sarebbe meglio che spruzzassi un po’ di deodorante appena finisci di fare colazione. Sarei più contento se consumassi i tuoi pasti a casa tua o nella mensa del personale”.
“Sì, signore” rispose e mise via la colazione senza averla terminata. Ezi andò a grandi passi nella stanza adiacente, che era il suo ufficio.
Non appena si mise seduto, sentì Eliza mormorare sottovoce parole che non riusciva a capire. E la risata sommessa di Ade. Aggrottò le sopracciglia. Loro pensavano che fosse pedante, fosse scemo. Lo sapeva benissimo. (…)
Mise la ventiquattrore sul tavolo e si guardò intorno. L’ufficio era pulito e ben tenuto. A veva sempre insistito che fosse pulito in modo impeccabile. Aveva perfino mostrato come spolverare la stanza ad Abel, il quale non sembrava aver gradito molto: troppo lavoro. Oltretutto, nessun altro in tutto il palazzo si interessava minimamente alla pulizia del proprio ufficio. Ezi voleva dare a vedere di essere diverso: questo pensava Abel e lo aveva detto ai suoi colleghi. Più di uno aveva detto a Ezi che la sua mania per l’ordine era considerata una malattia. Ma a lui non importava. La sua stanza era un rifugio, un rifugio dalla sporcizia delle scale, dalla puzza dell’ascensore, dal degrado dell’edificio.

Mercoledi 10 novembre a Roma un evento celebrativo ricorderà l’anniversario dell’impiccagione dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa, autore di Sozaboy, avvenuta nel 1995 ad opera del regime militare di allora. L’iniziativa vuole riportare alla memoria il coraggio civile e la generosità di uno straordinario artista e intellettuale che denunciò lo scempio dell’ecosistema del Delta del Niger a causa dello sfruttamento petrolifero selvaggio.

Sandra Federici

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25 maggio 2010

Moda e design in Nigeria: una breve valutazione delle tendenze e delle particolarità

in: Moda

Presentazione dell’articolo “Moda e design in Nigeria: una breve valutazione delle tendenze e delle particolarità”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Uche Nnadozie, curatore e ricercatore presso la National Gallery of Art ad Abuja in Nigeria.

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Nelle due scorse decadi, la Nigeria è diventata il centro della moda africana contemporanea, seguita subito dal Sudafrica. Gli stilisti nigeriani, ridimensionata una certa fascinazione per i prodotti esteri, hanno saputo reinterpretare la ricca tradizione locale in fatto di tessuti e tinture.
Tradizionalmente, grazie a telai verticali o orizzontali si lavoravano le fibre per produrre tessuti che venivano poi ricamati e/o tinti. La tintura poteva essere semplice (uniforme) o esser eseguita secondo le tecniche del batik o dell’adire (conosciuta in Occidente come “tie and die”, letteralmente “lega e tingi”). Una volta pronto il tessuto, venivano confezionati gli abiti, che consistevano, in linea di massima, in pantaloni fermati in vita con un cordoncino e una maglia di forma rettangolare.
In Nigeria, un paese multiculturale che conta 250 lingue e 300 etnie, ciascun gruppo elaborava questi elementi base secondo un’idea propria di moda e stile. Con l’avvento del colonialismo e del mercato trans-sahariano, alcuni abiti o accessori occidentali furono adottati da queste etnie seppur mantenendo l’uso degli abiti e dei tessuti tradizionali, magari d’importazione, come nel caso del tessuto denominato George.
Con la colonizzazione, la globalizzazione, la commercializzazione e probabilmente la graduale computerizzazione della società nigeriana, quindi, la moda “indigena” si è aperta alle influenze esterne. Perciò, i tessuti tradizionali, come l’ebiras della popolazione tiv, l’akwete degli igbo, l’indigo tinto con la tecnica adire degli hausa, aso-oke e l’adire degli yoruba, ecc. hanno cominciato ad assumere nuove connotazioni socio-culturali e un ruolo socio-economico nuovo rispetto a quello religioso-spirituale del periodo precoloniale.
Oggi, ciò che apparteneva a una dimensione tradizionale e desueta, sta prendendo un nuovo carattere moderno. Tessuti tradizionali come adire, angyre, aso-oke, achinogontoro, aso-ofi, akwete e altri tessuti precoloniali sono tagliati e cuciti in uno stile armonioso con tessuti moderni come cotone, lino, chiffon, ankara, e altri. Inoltre, una serie d’attività sono state sostenute allo scopo di promuovere l’industria della moda in Nigeria, come i Premi della moda nigeriana. Ci si augura che il governo incoraggi la creazione d’istituti privati di moda e design, come strumento per perseguire le finalità indicate dai Millennium Development Goals (MDGs) e dalla New Partnership for African Development (NEPAD).

Per aquistare online la rivista vai sul sito dell’editore.

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