Presentazione dell’articolo “Le madri di Goz Beïda. Rappresentazioni culturali e ruoli sociali nella regione dell’Ouaddai (Ciad)” pubblicato sul numero 67 di Africa e Mediterraneo a firma di Giorgia Bricco, esperta di comunicazione, didattica e management culturale.
Le fistole vescico-vaginali (che si formano di solito in seguito ad un parto prolungato o in assenza di taglio cesareo) non curate da molte delle donne incontrate presso l’ospedale di Goz Beïda forniscono all’autrice l’occasione per riflettere sugli aspetti e le aspettative culturali, legati alla maternità, che determinano il trauma psicologico con cui queste donne subiscono le complicanze del parto o la sterilità.
La sterilità a cui vanno incontro le donne che non curano le fistole rappresenta, in paesi come il Ciad, il male per eccellenza, l’impossibilità di accedere allo stato di donna nella sua forma più completa.
Essere fertili in società basate su un tipo di economia rurale risulta socialmente determinate: da un punto di vista economico, la ricchezza viene misurata sulla base della quantità di bambini che un individuo possiede; da un punto di vista sociale, l’uomo che non ha avuto bambini, dopo la sua morte non può accedere allo stato di antenato. Morire e non aver avuto figli significa non essere mai vissuti nel mondo dei vivi: i figli sono il rimedio contro la morte e consentono ai padri di “non morire definitivamente”.
La donna che non soddisfa queste aspettative economiche e sociali è considerata incompleta, incompiuta e non di rado la sua della sterilità viene associata al suo essere per “natura” strega.
Le donne di Goz Beïda che hanno avuto problemi di salute, complicanze da parto o sterilità sono considerate njé yo, streghe, in contrapposizione alle njé kuma, levatrici che, conoscendo le cure segrete materne, permettono e favoriscono la riproduzione biologica.
Ho dato un’occhiata al vostro sito ed al blog…
Vi faccio i miei complimenti, sono molto interessanti.
Ripasserò a trovarvi.
Un saluto!