08 agosto 2024

Zanzibar International Film Festival: un punto d’incontro per il cinema africano

Lo staff del cortometraggio Mirah (Egitto) sul red carpet

Lo staff del cortometraggio Mirah (Egitto) sul red carpet

Organizzare la 27a edizione dello Zanzibar International Film Festival è stata una sfida. Una delle più importanti manifestazioni culturali del continente africano, che si svolge nell’affascinante Stone Town, l’antica città dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, non ha alla base un’organizzazione strutturata e finanziamenti stabili da parte delle istituzioni locali e internazionali, e il recente cambio nella direzione ha rischiato di metterla in crisi.

Nel 2023 il fondatore, direttore e punto di riferimento del festival, il regista zanzibarino Martin Mhando, ha insistito per lasciare l’incarico che aveva ricoperto per 25 anni, portando lo ZIFF a diventare un punto di riferimento per chi è interessato/a a seguire la produzione cinematografica, in particolare dell’Africa orientale. Per succedergli era stato nominato Amil Shivji, un giovane regista tanzaniano vincitore di una precedente edizione con il film Vuta N’Kuvute, incentrato sulla colonizzazione a Zanzibar. Dopo aver preso in mano l’attività di programmazione con grande energia, a dicembre 2023 Shivji ha declinato l’incarico, senza dare spiegazioni. I rumors ipotizzano (e non è difficile crederlo) un contrasto con il board del Festival, composto da anziane personalità di Zanzibar, la cui influenza continua ad avere molto ascolto. Sono stati quindi nominati in tutta fretta due operatori con una lunga esperienza nello staff del festival: Joseph Mwale, già promotore marketing da 15 anni, come CEO, e Hatibu Madudu come direttore artistico. Era febbraio, il tempo per organizzare era pochissimo e così il festival è stato spostato dall’usuale mese di giugno a inizio agosto, e ridotto a quattro giorni.

Grazie al più grande numero di candidature (3.000) mai ricevute, il festival ha presentato 25 film, 23 corti e 12 documentari da diversi paesi: Tanzania, Kenya, Zambia, Nigeria, Pakistan, India, Francia, Ghana, Senegal, Uganda, Egitto, Sud Sudan, Canada, Iran, Russia, USA, Cina, Sudan, Palestina, Brasile, Marocco, Stati Uniti, Tunisia.

Allo ZIFF la visione dei film è aperta al pubblico e gratuita, la sede principale delle proiezioni è l’Old Fort, costruito dagli Arabi nel XVIII secolo. Non sempre l’organizzazione è adeguata e, a parte il sito web fermo al 2023, ci si può ritrovare con un film in arabo senza i sottotitoli o una proiezione che si interrompe improvvisamente. Ma poi succede che il pubblico resta seduto e aspetta che lo staff faccia ripartire il film, mentre il produttore del film invece di arrabbiarsi si alza e dice: “Avete pazienza di aspettare? Vi racconto il pezzo che è saltato e riprendiamo, va bene per voi?” E la gente resta…

ZIFF: Proiezione nello spazio tenda dell'Old Fort a cui ha assistito anche una classe di scuola primaria

ZIFF: Proiezione nello spazio tenda dell’Old Fort a cui ha assistito anche una classe di scuola primaria

Così è successo con Mungai Kiroga, produttore del documentario Searching for Amani di Nicole Gormley e Debra Aroko, dove Simon Ali, un ragazzo keniano di 13 anni aspirante giornalista, indaga sull’uccisione, avvenuta nel 2019, di suo padre, guardia forestale nell’area protetta privata di Laikipia in Kenya. Sullo sfondo i contrasti tra gli allevatori nomadi, sempre più in cerca di terra per le loro mandrie decimate dalla siccità, e gli agricoltori, che vogliono proteggere le terre che coltivano stanzialmente. Lo sguardo di Simon, e del suo migliore amico appartenente a una famiglia di allevatori messa in grave crisi dalla siccità, offre una rappresentazione estremamente poetica oltre che critica su chi sono le vittime della crisi climatica, sulla conservazione della natura e sulla giustizia per le comunità. Kiroga ha spiegato che il progetto originario prevedeva di dare la telecamera a tre giovani di tre aree del mondo colpite dal cambiamento climatico, ma il Covid ha fatto sì che solo con Simon sia stato possibile. In più, i produttori hanno capito che il suo carattere sensibile e forte allo stesso tempo e il suo entusiasmo per la professione giornalistica sarebbero stati sufficienti a nutrire l’intero film, che infatti ha già vinto vari premi, tra cui il Best New Documentary Director al Tribeca film festival. ZIFF_Old_Fort

Venendo ai premi dello ZIFF 2024, annunciati la sera del 4 agosto, Nisha Khalema, regista esordiente ugandese, ha vinto il premio del Migliore Film dell’Africa Orientale con Makula (Certainly not a Mrs), storia drammatica di una ragazza che dopo il suo matrimonio “da sogno” si trova imprigionata in una drammatica situazione di violenza e sfruttamento, da cui deve fuggire. Khalema, che ha vinto anche il premio come Migliore Attrice dell’Africa Orientale, la sera della premiazione ha affascinato il pubblico con una mise scintillante e discorsi frizzanti e ironici sul fatto che essere premiata come giovane donna ha un valore in più.

Khalema era tra le partecipanti alla masterclass tenuta da Rama Thiaw, regista, produttrice e scrittrice mauritano-senegalese, autrice dei film documentari ambientati in Senegal Boul Fallé. La voie de la lutte (2009) e The Revolution won’t be Televised. Thiaw ha introdotto la sessione formativa – partecipata da una trentina di filmaker provenienti da paesi dell’Africa orientale e finanziata dalla Unione Europea Thiaw si è concentrata sugli aspetti legali della produzione dei film, a partire dal momento dell’ideazione: come registrare l’idea, come negoziare per proteggere la propria parte del diritto d’autore, importante soprattutto per chi agisce in paesi in cui la debolezza dell’industria cinematografica obbliga alla co-produzione con enti del Nord. Con i/le partecipanti ha analizzato un vero e proprio contratto di co-produzione, articolo per articolo, suscitando molto interesse.

La regista Rama Thiaw (con l’abito arancione) con il gruppo che ha seguito la sua masterclass. Alla sua destra, Nisha Khalema, regista e attrice ugandese, che la sera dopo ha avuto il premio del Migliore Film dell’Africa Orientale e come Migliore Attrice con il suo film d’esordio "Makula (Certainly not a Mrs)"

La regista Rama Thiaw (con l’abito arancione) con il gruppo che ha seguito la sua masterclass. Alla sua destra, Nisha Khalema, regista e attrice ugandese, che la sera dopo ha avuto il premio del Migliore Film dell’Africa Orientale e come Migliore Attrice con il suo film d’esordio “Makula (Certainly not a Mrs)”

Il film vincitore come Best Feature Film è stato Goodbye Giulia, di Mohamed Kordofani, film di apertura del programma. Ambientato in Sudan nel periodo precedente alla secessione del Sud Sudan con il referendum (2011), caratterizzato da violenze tra musulmani del nord e cristiani originari del sud, narra la storia del rapporto tra una ex cantante (del nord) e la giovane vedova di un uomo del sud di cui lei ha causato la morte. Per rimediare al senso di colpa la donna assume la ragazza come domestica, facendo vivere lei e il figlio nella sua casa. Sullo sfondo delle tensioni tra le due popolazioni e della propaganda politica che hanno preceduto il referendum, si evolve il rapporto tra le due donne, mettendo in discussione i punti di vista dell’una e dell’altra: la complessità dei due caratteri si rivela poco a poco e coinvolge grazie a una sceneggiatura perfetta.

La scelta di premiare questo film, annunciata per ultima, ha reso felici le poche persone che avevano resistito fino alla fine della cerimonia di premiazione, iniziata con un ritardo di un’ora e mezza per aspettare il Guest of Honor, l’ex presidente di Zanzibar, e sviluppatasi con discorsi “delle autorità” in swahili abbastanza noiosi (fortunatamente alternati a musica e premiazioni con gli artisti e le artiste protagoniste). Nella cerimonia di apertura il CEO Joseph Mwale aveva ammesso che “la crisi dello ZIFF serve come allarme per tutti noi. Di questo passo, rischiamo di perdere ciò che ci è caro”, e aveva esortato tutti a sentire il festival come proprio, a collaborare per assicurare che esso non solo sopravviva, ma prosperi, continuando a ispirare le generazioni future.Arena_Ziff

Perché questo avvenga, sarà necessario che, oltre alla messa in campo di un sistema organizzativo stabile, efficiente e attento agli impatti, si realizzi davvero il tema che era stato scelto per questa edizione: la “rejuvenation”. Un ringiovanimento che la componente anziana dell’organizzazione dovrà accettare.

Altri riconoscimenti sono andati a Our land, our freedom (Kenya, diretto da Zippy Kimundu e Meena Nanji) come Miglior Documentario, Oceanmania/Baharimania (Tanzania, diretto da Alphonce Haule e Gwamaka Mwabuka) come Migliore Cortometraggio, Otis Janam in Nick Kwach (Kenya) come Migliore Attore dell’Africa Orientale, Uhuru Wangu (Zanzibar, diretto da Mohammed Sule) Premio Fondazione Emerson, Unabankable (Canada, diretto da Luke Willms) come Migliore Documentario selezionato dal Board del festival. È stata premiata anche, come Migliore Serie TV dell’Est Africa, Arday Somalia di Shukri Abdukadir.

Segnaliamo anche il cortometraggio Mirah, di Ahmed Samir (Egitto), storia di una giovane biologa egiziana che in Germania fatica a farsi accettare. Su richiesta della censura, ben presente in Tanzania, per la proiezione ufficiale il regista ha dovuto tagliare alcune scene che potevano alludere a tematiche “sensibili”, ma in seguito è stato possibile ri-proiettarlo nella versione completa. Anche la proiezione del video WonDarLand, non nel programma ufficiale, non era scontata, essendo il frutto di workshop tenuti a Dar es Salaam dal danzatore francese Matthieu Nieto sul tema della sofferenza psicologica dovuta all’esclusione e dell’accettazione di sé da parte degli adolescenti.

“A festival it about a place, about audience, but it is also more about context”, ha scritto l’ex direttore Martin Mhando nell’introduzione al catalogo dell’edizione del 2022. Niente di più adatto allo Zanzibar International Film Festival.

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16 marzo 2017

La crisi della biennale del cinema panafricano

Un buon film agisce sullo spettatore, provoca emozione e destabilizzazione, genera la riflessione e la mobilitazione. Un festival del cinema illustra solitamente un ricco e variegato programma di produzioni cinematografiche che si distinguono per la loro bellezza ed originalità, e non per il semplice consumo o dilettantismo: questa è la riflessione critica di Olivier Barlet, esperto di cinema africano e giornalista fondatore di Africultures, che è stato presente, a partire dal 1993, a ogni edizione del festival del cinema panafricano FESPACO. La 25a edizione di questo festival si è svolta, infatti, dal 25 febbraio al 4 marzo, a Ouagadougou, nella capitale del Burkina Faso, visibilmente presidiata dalla polizia e dall’esercito a causa degli attacchi terroristici dello scorso anno. Questo festival vuole continuare a essere uno dei più importanti luoghi della creatività e della condivisione della cultura africana attraverso il cinema. Il film Frontières di Apolline Traore, incentrato sulla migrazione intercontinentale, è stato il più discusso in questa edizione, oltre che vincitore del Prix des institutions, mentre l’Etalon d’or è spettato al film Félicité di Alain Gomis, che narra la storia di una donna, una madre, che lotta per curare il figlio nella difficile condizione sociale di una città africana.

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(Félicité, un film di Alain Gomis)

Ma la scelta dei film, l’organizzazione della 25a edizione, sono stati giudicati decisamente di bassa qualità: ad esempio, la mancanza dei sottotitoli in molte proiezioni anglofone, l’aumento dei prezzi dei biglietti, il mimetismo con i peggiori prodotti televisivi occidentali, l’eccessivo sentimentalismo e anche la violenza di alcune pellicole e l’emarginazione di alcuni film significativi non hanno contribuito a dare a questa manifestazione fondamentale il necessario spessore culturale. La visibilità internazionale di FESPACO permette a molti giovani registi africani di far conoscere al mondo la cultura e la storia del continente, quindi è necessario e urgente reagire con un programma che colmi le lacune e dia il giusto risalto alla ricchezza delle produzioni cinematografiche africane.

Per una visione del trailer di Félicité di Alain Gomis:

 

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05 dicembre 2012

AfricanBamba: un film festival a Thiaroye (Dakar) su migrazione e ambiente

in: calcio - Cultura
Un’immagine del film La Pirogue, di Moussa Touré

Pubblichiamo il comunicato stampa di questo festival culturale che si terrà dal 5 al 9 dicembre in uno dei quartieri più significativi di Dakar per il tema della emigrazione giovanile: Thiaroye.

AfricanBamba Thiaroye Film Festival sur le Droit de l’Homme inaugura al Centre Culturelle Jacques Chirac di Thiaroye,Senegal mercoledì 5 dicembre 2012 presentando un ricco programma di cinema, musica e sport dedicato ai diritti umani che animerà le serate della banlieue sino a domenica 9 dicembre.  Focus di questa prima edizione sono la migrazione e l’ambiente, per sensibilizzare i giovani sulla verità dell’esperienza migratoria e creare consapevolezza sulle cause delle inondazioni che regolarmente influiscono sulla vita delle comunità di Thiaroye e Pikine. AfricanBamba Thiaroye Festival è il progetto di Abdoulaye Gaye, direttore del festival e fondatore di AfricanBamba, lui stesso migrante in Europa, e ora ritornato nel quartiere di Thiaroye dove è nato per riportare la sua esperienza e creare opportunità di espressione e sviluppo per i giovani del quartiere. In apertura, un omaggio a Camp Thiaroye, con il corto animato L’Ami y a Bon di Rachid Bouchareb che ricorda il massacro dei tiralleur senegalesi alla fine della seconda guerra mondiale proprio qui a Thiaroye, brutalmente repressi perchè chiedevano una giusta paga per il loro impegno a fianco dell’armata francese. La serata dell’inagurazione dedica inoltre un omaggio al padre del cinema senegalese, Ousmane Sembene, che per primo ha iniziato a usare la videocamera come strumento di denuncia e di rivendicazione dei diritti umani. Il primo cortometraggio africano, Borom Sarret sarà presentato insieme al film La Noire de… ancora attualissimo nel ritrarre il contrasto tra i sogni del viaggio verso l’Europa e la realtà della vita che si incontra tra discriminazioni e mancati riconoscimenti. Altri film dedicati al tema della migrazione: la premiere di La Pirogue di Moussa Tourè, presentato quest’anno a Cannes nella sezione Un Certain Regard e già ultra premiato nei festival internazionali, che sarà proiettato a Thiaroye sabato 8 dicembre in anteprima nazionale, in presenza degli attori principali. Una sorta di titanic africano, è uno sguardo importante sul sacrificio umano che i giovani senegalesi affrontano per raggiungere il sogno dell’Europa, spinti dalla mancanza di  lavoro e realizzazione qui. Life in the City di Abdoulaye Gaye, L’Afrance di Alain Gomis e Tukki Bi di Dame Sarr sono ancora altre rappresentazioni filmiche per raccontare e discutere insieme della realtà della vita del migrante in Europa, al di là del sogno. Venerdì 7 dicembre sarà invece dedicato ai bambini, con una conferenza sui Talibe, la tratta e lo sfruttamento dei bambini di strada, seguito dal film di Daniela Kon, Talibe: les enfants moins favoris de Senegal, e dal corto Mbeubeus di Simona Risi, sui bambini della discarica della banlieue. Per i bambini della banlieue, sarà presentato Kirikou cartone animato di Michel Ocelot, e offerta la cena dalla bouvette del festival di Penda Gaye. Eventi speciali sono organizzati infine in collaborazione con: Puma.Creative, che presenta i corti Films 4 Peace, interpretazioni sulla pace e l’ambiente attraverso la video-arte di 11 artisti di diverse parti del mondo; e con l’Ambasciata del Brasile a Dakar, che porta al festival le percussioni afro-brasiliane di Sambaobab e il film Favela Rising, sulla forza della musica afro-reggae come forma di resistenza contro la violenza e la droga nella favelas brasiliane. La musica è centrale per AfricanBamba Thiaroye Film Festival, come strumento per la rivendicazione dei diritti umani e la resistenza dei giovani delle banlieue. Giovedì 6 dicembre sarà presente a Thiaroye in concerto live il gruppo al completo Daara-J. I Daara J (che significa “School of Life” in Wolof) sono N’Dongo D, Aladji Man, and Faada Freddy, rapper senegalesi famosi a livello internazionali, con una musica che prende influenza dall’Hip Hop, ritmi afro-cubani e reggae. Come altri gruppi africani hip hop, i Daara J sono attivi per i diritti umani e la pace. Faada Freddy: “Parliamo di pace e di come vogliamo vivere iinsieme perchè ci sono tanti conflitti attualmente. Noi siamo qui per gli Africani, per ricordare a tutti che non dovrebbe essere così… vivere in pace e insieme… questo è l’unico modo per sopravvivere. Sabato sarà invece Simon Djolof 4 Life, artista hip hop che dopo diverse esperienze all’estero è ora ritornato in Senegal e promuove la musica urbana senegalese con 99 records e la sua etichetta Djolof 4 life entertainment. Flamm JSector TectorSeven Shots, le percussioni africane Silaba, le musiche tradizionali SabarSimb le faux lions, e Bongo e la chitarra acoustica di Awa Sara Mondo animeranno l’atmosfera del festival e di Thiaroye, al Centre Culturelle Jacques Chirac tutte le sere del festival. Delizie culinarie senegalesi saranno invece preparate ogni sera da ingredienti freschi dal mercato locale, da Penda Gaye. Infine lo sport come strumento di empowerment: torneo di calcio e rap attack basket sono organizzate a Camp Thiaroye e al Centre Culturelle Jacques Chirac, domenica 10 dicembre, per la pace e i diritti umani. Festival info Il programma dettagliato del festival si trova sul nostro sito www.africanbamba.org Info: Abdoulaye Gaye, africa.thiaroye@gmail.com – +221 777631604, +221 779059067 AfricanBamba Thiaroye Film Festival sur le Droit de l’Homme è promosso da AfricanBamba in partnership con Human Rights Nights, e in collaborazione con Movies that Matters / Amnesty International, Puma.Creative, Cooperazione Italiana in Senegal, Ambasciata del Brasile a Dakar.

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