27 giugno 2009

Il fascino dell’Italia: tradurre Boccaccio in kikuyu

Langui wa Goro riceve i complimenti per la sua originale ed elegante mise da Alphadi il maggiore stilista africano e fondatore del Festival internazionale della moda africana che si tiene ogni anno in Niger

Langui wa Goro riceve i complimenti per la sua originale ed elegante mise da Alphadi il maggiore stilista africano e fondatore del Festival internazionale della moda africana che si tiene ogni anno in Niger

Qui al Campus ho conosciuto una studiosa kenyana che sta traducendo il Decameron in lingua kikuyu. Si chiama Wangui wa Goro, e ha studiato a Firenze letteratura italiana. Gira le università africane e europee insegnando la sua materia: traduzioni nelle lingue africane.

Dice che tradurre Boccaccio in kikuyu è molto difficile, perché è una lingua senza letteratura. Ma lei ci lavora, da 7 anni, ha tradotto circa 70 novelle e intende tradurle tutte e 100, poi pubblicherà il libro a sue spese. Con Wangui abbiamo parlato in italiano, e mi ha raccontato della sua grande passione per la nostra cultura.

Quando incontro intellettuali o giornalisti africani che parlano italiano, mi fa piacere, ma mi sorprende anche. Qui c’è anche Paul Nchoji Nkwi, professore al Centre for Applied Social Science Research and Training e presidente della associazione panafricana degli antropologi, che ha studiato a Perugia, e Jean Marc Matwaki, giovane giornalista di Radio Okapi in Congo, che ha seguito dei corsi all’ambasciata italiana di Kinshasa.

Si sa che la politica di promozione della lingua italiana all’estero, e in particolare in Africa, è debole. I portoghesi hanno gli Istituti Camoes, gli inglesi i British Council, per non parlare dei Centri Culturali Francesi, che hanno avuto tanti fondi e potere in passato che ancora oggi, nonostante i tagli crudeli di Sarkozy, restano importantissimi poli culturali nelle città africane. Adesso, con l’avanzata in Africa della cooperazione spagnola, che è giovane ma molto rampante e con Zapatero ha fatto un investimento enorme, si comincia a parlare anche questa lingua.
Gli istituti Dante Alighieri, invece, sono una tristezza e praticamente inesistente è l’attività di animazione e cooperazione dei centri culturali italiani in Africa.
Così, quando si parla di cultura africana non lo si fa mai in italiano.

Peccato, perché si sente che la nostra lingua ha un fascino enorme, che è considerata qualcosa di antico, legato all’arte e alla bellezza.
E poi, oltre che di tutto il clero cattolico (che non è poco), è la lingua ufficiale della musica classica. Viene studiata in tutti i conservatori del mondo. Non sarebbe male fare qualcosa di più per promuoverla.
Comunque, tutti ci vogliono bene: Italiani? Mamma mia! Amore mio!
Consoliamoci così, in mancanza di meglio…

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