La normalità dell’editoria africana

Sandra Federici, Raphaël Thierry

Editoriale del numero 89 (2/2018) di Africa e Mediterraneo, “Libri in Africa, libri d’Africa”

Manoscritto di astronomia e matematica di Timbuktu. EurAstro Mission to Mali 2007, Creative Commons

Da diversi anni il tema dell’industria del libro in Africa suscitava nel gruppo di lavoro di Africa e Mediterraneo un notevole interesse e il desiderio di dedicarvi un dossier. L’occasione si è presentata quando siamo stati coinvolti nel progetto “Lettres d’Afrique: Changing the Narrative”, cinque giorni di incontri e dibattiti sull’editoria in Africa alla Fiera del libro di Francoforte 2018. Curata dalla società Agence Culturelle Africaine e coordinata in questa occasione da Raphaël Thierry – animatore del sito EditAfrica, reflection and information on the African book world e autore del libro Le marché du livre africain et ses dynamiques littéraires. Le cas du Cameroun (Presses Universitaires de Bordeaux, 2015) – questa kermesse ha ottenuto il grande risultato di mettere insieme editori, autori e promotori del settore del libro in Africa, a cominciare da quelli presenti a Francoforte, per stimolare la riflessione, attivare nuove connessioni e suscitare l’attenzione della stampa sul tema. Da questa collaborazione è nata l’idea di realizzare un dossier di Africa e Mediterraneo.
Innanzitutto, bisogna dire che il libro esiste in Africa dal III millennio AC sotto forma di papiro, mentre il codice manoscritto è stato poi ampiamente sviluppato nelle università del Sahel dall’XI secolo. Tuttavia, l’era moderna della stampa in Africa è strettamente legata alle invasioni europee, all’evangelizzazione missionaria e poi alla colonizzazione, che hanno preso piede principalmente fra il XVIII secolo e la prima metà del XX secolo. Dopo le Indipendenze, il settore del libro in Africa è stato rapidamente dominato dall’editoria del Nord, che ha conquistato il mercato scolastico del continente e realizzato in Europa collane di letteratura africana che sono state sicuramente meglio diffuse della produzione locale. Di conseguenza, l’immagine di un continente che produce pochi o nessun libro si è gradualmente sviluppata in confronto a un’editoria del Nord più competitiva e innovativa.

Mentre la realtà del dominio economico è spesso indiscutibile, quella della diversità editoriale, data l’incompletezza delle informazioni a disposizione sull’editoria africana, è soggetta a varie interpretazioni. Dagli anni ’60, l’Africa ha sviluppato un mercato del libro eterogeneo e multilingue, la cui diversità è basata su spazi nazionali, regionali e persino continentali, e che ovviamente rende inadeguata qualsiasi visione semplificatrice. In particolare, questa editoria si evolve ed è influenzata da un mutevole contesto geopolitico ed economico, nel quale i fenomeni della globalizzazione del mercato e della mondializzazione letteraria rappresentano il passo finale. Le manifestazioni di dominio economico e intellettuale spingono l’edizione africana verso forme di “reazione”, supportate dal concetto di “bibliodiversità” (la diversità culturale applicata all’industria internazionale del libro) che ha favorito, negli ultimi vent’anni, una maggiore presenza di produzioni editoriali africane nel mercato internazionale del libro e un più forte riconoscimento della loro diversità. L’edizione africana si inserisce così in una logica di “reazione” per esistere commercialmente in alternativa all’attraente editoria del Nord, nella consapevolezza comune che il settore del libro è parte integrante dell’identità nazionale e dello sviluppo culturale, sociale ed economico di un Paese. Perché l’editoria preserva, valorizza e sviluppa la cultura di una società e la sua interazione con le altre. Al di là delle logiche di reazione, ci si potrebbe interrogare sul modo in cui l’edizione africana è spesso considerata: come una particolarità da proteggere e valorizzare sistematicamente perché non sarebbe che l’espressione di una resilienza, e quasi un anacronismo. Bisognerebbe in effetti chiedersi se questa non potrebbe piuttosto essere osservata secondo la sua “normalità” e per il suo posto legittimo e indiscutibile nel campo culturale africano e mondiale.

Le realtà del libro in Africa sono ancora poco conosciute nel Nord, situazione paradossale se si tiene conto delle numerose pubblicazioni prodotte tra gli anni ’60 e gli anni 2010 da un’importante comunità di ricercatori e specialisti, tra i quali Clifford M. Fyle, John Nottingham, Hans M. Zell, Henry Chakava, S.I.A. Kotei, Walter Bgoya, Barbara Harrell-Bond o Philip G. Altbach e, negli anni ’90, da periodici come la Bellagio Publishing Network Newsletter o l’African Publishing Review dell’African Publishers Network. Bisogna però constatare che queste ora sono più rare, situazione abbastanza paradossale nell’epoca del World Wide Web. Così, lavori come l’opera collettiva Coming of age: strides in African publishing: essays in honour of Dr Henry Chakava at 70 (2016), Écrire et publier en Afrique Francophone. Enjeux et perspectives, diretto da Abdoulaye Imorou, Bernard De Meyer e Philip Awezaye (2014), il numero 88 della rivista Wasafiri “Print Activism in Twenty-First-Century Africa” (2016) o Perspectives on Book Development in Africa di Lily Nyariki (2018) o ancora le ricerche di Elizabeth le Roux, Caroline Davis, Nathalie Carré o di Pierre Fandio sono diventate abbastanza eccezionali. Bisogna d’altronde constatare che la grande maggioranza di queste pubblicazioni sono uscite nell’area del Commonwealth e sono più orientate all’Africa anglofona: sono ancora rari i ponti tra i percorsi di ricerca delle diverse aree geografiche, anche a causa delle differenze linguistiche che necessariamente influiscono nella sfera della conoscenza.

Lanciando questo dossier ci siamo proposti di esaminare la situazione dell’editoria africana nel contesto mondiale e il suo impatto sulla diversità dell’offerta editoriale locale e internazionale nell’epoca della globalizzazione.

Il dossier è aperto da due autori che sono punti di riferimento per gli editori africani a causa del loro impegno nella promozione dell’industria del libro del Sud. Walter Bgoya e Mary Jay, nel loro lungo articolo ricco di informazioni basilari, presentano un excursus storico sul ruolo dell’editoria indipendente in Africa, dove nei primi anni post-indipendenza furono create case editrici locali parastatali e autonome, alle quali i governi africani, preoccupati soprattutto dello sviluppo economico, hanno dato poco o nessun sostegno. L’aiuto dei finanziatori negli anni ’90 non ha risolto i problemi fondamentali che ostacolano il lavoro degli editori africani e cioè le politiche educative insufficienti, le infrastrutture deboli, la mancanza di potere d’acquisto, l’adozione delle lingue coloniali nell’insegnamento, la prevalenza di società straniere nel mercato dei libri scolastici. Gli editori locali continuano a perseguire la loro autonomia, cercando di utilizzare le tecnologie digitali e la stampa su richiesta per accedere ai mercati del Nord, per essere finalmente liberi dai vincoli del passato coloniale, dal persistente dominio degli editori multinazionali, dalle politiche linguistiche regressive e dalla mancanza di riconoscimento da parte dei governi locali dell’importanza economica e culturale dell’editoria.

Il discorso di Richard A. B. Crabbe all’apertura della sedicesima edizione dell’International Book Fair in Ghana, qui pubblicato, sottolinea l’importanza di un’editoria autoctona per lo sviluppo economico di un Paese, analizzando i vari anelli che compongono la “catena del libro” (dagli scrittori ai redattori, dagli illustratori ai tipografi, fino alla rete dei distributori, alle librerie e ai lettori) e le recenti iniziative di cooperazione internazionale e networking. Per quanto riguarda il livello nazionale, Crabbe propone qualche suggerimento per il futuro: un maggiore dialogo tra industria del libro e governi, la costruzione e il miglioramento di competenze professionali, lo sviluppo di sistemi trasparenti per la selezione dei manoscritti da pubblicare e per l’attribuzione degli appalti, il superamento delle logiche “di frontiera” non solo linguistica ma anche commerciale, la raccolta di statistiche e la creazione di piattaforme informative online da parte delle associazioni nazionali di editori, la messa in opera di politiche nazionali del libro, la promozione della lettura in particolare per i bambini di famiglie analfabete.

Una visione positiva viene da Bodour Al Qasimi, editrice e Vice Presidente dell’International Publishers Associations, che sottolinea come le industrie librarie dei Paesi africani e degli Emirati Arabi Uniti stiano avendo un’influenza crescente nel mercato mondiale, reagendo ai vincoli imposti dal Colonialismo. Nel Paese arabo, in particolare, si rileva un aumento dei tassi di alfabetizzazione e, a partire dal 1982, la creazione della Sharjah International Book Fair, oggi una delle più importanti fiere del libro al mondo. Tuttavia, ammonisce Al Qasimi, se gli editori e gli scrittori arabi e africani ignoreranno la tendenza alla digitalizzazione nell’industria editoriale, rischieranno di essere sottoposti a una sorta di “imperialismo digitale”. La storia del libro in Africa non si sviluppa solo grazie all’iniziativa dei colonialisti: Valentin Moulin evoca l’affascinante esperienza di re Njoya che, in Camerun, alla fine del XIX secolo inventò la scrittura bamum, spinto in primo luogo dalla necessità di tramandare la storia del suo regno in un’opera letteraria, e ottenere tramite la gestione della conoscenza il risultato di legittimare se stesso e il proprio potere. Il sovrano fondò scuole che attirarono alunni dai regni vicini e cercò di creare una tipografia che stampasse con i caratteri bamum, fino a che la sua impresa fu bloccata dai colonizzatori francesi.

Nella complessità sociale e politica dell’Africa di oggi, un’editoria fiorente è fondamentale per favorire la libertà di espressione, i valori democratici e il confronto intergenerazionale. Alcuni interessanti casi nazionali sono proposti in quattro articoli. Jama Musse Jama, promotore dell’Hargeysa International Book Fair, propone una riflessione su alcune fasi fondamentali attraversate dalla società somala in relazione alla produzione artistica e culturale, soprattutto alla luce dello sforzo realizzato con il lancio della Fiera nel 2008, nella convinzione che l’arte e la cultura, già nel breve termine, possono aiutare a ricostruire la società ed essere strumento di trasformazione culturale del Somaliland. Questa piattaforma di scambio, in cui una volta all’anno autori e artisti possono incontrare il pubblico, promuovere la scrittura e la lettura, è stata affiancata dal 2014 dall’iniziativa permanente dell’Hargeysa Cultural Centre, dedicato alle arti e alla cultura, sede della fiera del libro.

Un’altra esperienza di promozione della lettura è quella della casa editrice indipendente rwandese specializzata nella letteratura per bambini e ragazzi, le edizioni Bakame, create nel 1995 da Agnès Gyr-Ukunda per pubblicare testi della tradizione orale, soprattutto in kinyarwanda, e così creare e promuovere una letteratura di qualità basata sulla cultura rwandese. Questo caso, raccontato nella sua evoluzione da Agnès Girard, è emblematico delle difficoltà e dei successi delle case editrici nei Paesi africani, ma anche delle linee politiche che un governo può mettere in campo per rafforzare l’industria del libro, in particolare la facilitazione dell’accesso al settore scolastico.

In Egitto, il mercato del libro si trova di fronte a un momento di crisi, ci racconta Chiara Comito. Gli arresti di autori e giornalisti, la chiusura di case editrici e librerie da parte del regime politico hanno danneggiato un mercato, quello del libro e della cultura, che dopo la rivoluzione del 2011 stava riacquistando spazi di autonomia e libertà rispetto ai decenni precedenti. Gli operatori del settore della cultura devono barcamenarsi tra censura e repressione politica, che virtualmente possono colpire ovunque e chiunque, ma molti giovani autori della nuova generazione hanno trovato proprio sul web uno spazio di libertà ancora poco sorvegliato dalle autorità. Un ritratto molto particolare della complessa storia dell’editoria algerina è dato da Anita Magno, a partire dall’iniziativa di Edmond Charlot, pied-noir innamorato dell’editoria che aprì nel 1936 la libreria-casa editrice Les vraies richesses, che riuscì a catalizzare la vita culturale di Algeri e le energie degli intellettuali europei, pubblicando autori come Albert Camus, Alberto Moravia, Rainer Maria Rilke, Gertrude Stein, Garcia Lorca, Virginia Woolf. Magno prosegue sollevando il tema della letteratura in lingua amazigh e descrivendo l’iniziativa di Selma Hellal e Sofiane Hadjadj, fondatori delle Éditions Barzakh, che in 18 anni hanno pubblicato oltre 150 opere di francofoni e arabofoni.

Infine, un punto di vista sulla presenza in Italia dei libri d’Africa è offerto dall’articolo di Cecilia Draicchio, Giulia Riva, Francesco S. Longo, nato dall’esperienza della Libreria GRIOT di Roma, una realtà che da più di dieci anni si occupa di letterature africane e afrodiscendenti. Ripercorrendo la presenza di opere letterarie di autori africani nel mercato italiano, a partire da classici come Il crollo di Chinua Achebe pubblicati da case editrici specializzate, il percorso prosegue rilevando la progressiva apertura del mercato. Un punto di svolta è individuato nell’uscita di Metà di un sole giallo della nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (2008), e del successivo Americanah (2014), dopo i quali, assieme ad Einaudi, altre case editrici grandi e medie di rilievo nazionale come Bompiani, Rizzoli, Garzanti e La Nave di Teseo hanno iniziato a pubblicare giovani autori e autrici africani/e.

Questo dossier ci porta quindi spunti positivi sulla presenza dell’editoria africana nel mercato globale, anche se restano numerose fragilità nelle diverse catene del libro nazionali e regionali: diffusione e distribuzione sono anelli deboli, e pesano i costi (produzione e stampa cartacea, distribuzione e promozione, trasporti, ecc.), la mancanza di punti di diffusione (librerie rare e biblioteche con scarsi fondi per le acquisizioni), la scarsa formazione tecnica. Per questo sono ancora necessarie le iniziative che puntano alla messa in rete dei vari editori per la promozione della visibilità “internazionale” del libro africano. A un altro livello, è essenziale oggi che il mondo del libro guardi l’edizione africana più come uno spazio di produzione del sapere e della letteratura, parte essenziale e necessaria di un equilibrio della bibliodiversità e di un “global welfare” editoriale. Senza dubbio, l’autosufficienza e l’indipendenza sono le vie da seguire. Come per altri fattori socio-culturali, le eredità negative del periodo coloniale possono essere superate dalle buone prassi dei governi africani e da politiche internazionali che diano la priorità all’autosufficienza economica e allo sviluppo sostenibile del continente.