21 maggio 2010

Diventare un vodun: gli abiti come agenti della performance rituale

In Moda

Presentazione dell’articolo “Diventare un vodun: gli abiti come agenti della performance rituale”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Alessandra Brivio, ricercatrice in Antropologia Culturale presso l’Università di Milano-Bicocca

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Partendo dall’affermazione di Hildi Hendrickson, secondo cui “il vestire e gli altri trattamenti della superficie del corpo sono i principali simboli della performance attraverso cui la modernità – e quindi la storia – sono state concepite, costruite e sfidate in Africa”,

Porto novo, Benin, novembre 2006. Foto A. Brivio

Porto novo, Benin, novembre 2006. Foto A. Brivio

l’autore analizza il ruolo dei vestiti, indossati dalle vodussi, cioè le adepte del vodù. In particolare Brivio prende in considerazione le vodussi di un particolare ordine religioso, il gorovodu, ovvero il vudù della noce di cola. Questo ordine, diffuso in Togo e Benin, si distacca dal panorama dei vodù “tradizionali” per la sua presupposta “modernità” e per l’attenzione alle religioni universali.
Gli abiti indossati dalle adepte del gorovudu durante la trance sono carichi di significati storici oltre che simbolici; i tessuti, i colori, le forme si discostano infatti da quelli abitualmente usati dalle vodussi. Infatti la natura delle divinità, la cui presenza viene messa in scena attraverso gli abiti, ed il loro percorso storico e geografico (in questo ordine normalmente le divinità provengono dal Nord dell’attuale Ghana), mostra la particolare attenzione all’altro, all’incontro, al conflitto e alla pluralità degli elementi culturali, propria di questo ordine. Rispetto ad un vudù “tradizionale” c’è quindi uno sbilanciamento verso l’alterità, il nuovo e l’esotico. L’origine e il percorso delle divinità sono quindi alla base della costituzione di uno spazio identitario che ha come cardine una certa idea di “modernità” veicolata dalle affinità con le religioni universali, dalla memoria degli incontri coloniali, da un’estrema plasticità, e dal forte spirito imprenditoriale che caratterizza gli adepti.
L’articolo mira innanzitutto a mostrare come la pratica del vestire sia un linguaggio attraverso il quale la storia è stata costruita e sfidata in Africa. In secondo luogo, vuole mostrare come gli abiti, oltre a veicolare significati e storia, siano parte integrante della pratica rituale, partecipando a essa come soggetti attivi. I vestiti incorporano forza spirituale e diventano parte del corpo dell’adepta e della sua relazione con il mondo dell’invisibile: una “trama” attraverso cui il visibile e l’invisibile si uniscono.

Per aquistare online la rivista vai sul sito dell’editore.

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