30 giugno 2009

Il turismo nelle colonie. L’esempio del Maghreb

in: Turismo

Medina di Gabès. Foto di Marco Mensa, Ethnos

Medina di Gabès. Foto di Marco Mensa, Ethnos

Presentazione dell’articolo “Le tourisme dans les colonies. L’exemple du Maghreb (1880-1939)” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Colette Zytnicki, docente presso l’Università di de Toulouse-Le Mirail.

Nel 1880, in Algeria e Tunisia, si creano le condizioni per lo sviluppo di un turismo di tipo borghese profondamente condizionato dal sistema coloniale. I primi visitatori stabiliscono una selezione di siti degni di nota, contribuendo a far emergere nei cittadini europei un desiderio di viaggiare reso accessibile dalla nuova configurazione politica. La colonizzazione garantisce infatti, nei territori controllati dalla Francia, una sicurezza totale fino alle regioni più remote, poiché, in caso di necessità, i turisti possono ricorrere alla protezione dell’esercito. Inoltre, sempre sotto la spinta della colonizzazione, si sviluppano infrastrutture per i trasporti che consentono spostamenti a costi sempre più ridotti.

Hotel e mezzi di trasporto confortevoli mettono a proprio agio i turisti consigliati da guide sempre aggiornate. Alla fine del XIX secolo, in Europa e nelle colonie dell’Africa del Nord, il turismo cambia aspetto e da esperienza essenzialmente individuale diventa un’attività sociale, inquadrata in un complesso di istituzioni quali i Comités d’hivernage, sindacati e sezioni locali del Touring Club francese che appoggiano le diverse iniziative. Sollecitati dagli uomini incaricati della conservazione del patrimonio culturale, dagli ambienti finanziari e dagli intellettuali locali, i responsabili politici coloniali si interessano a loro volta al turismo, un’attività politicamente necessaria ed economicamente conveniente.
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27 giugno 2009

Cultura e sviluppo con i tessuti tinti a mano

esposizioneC’è un interessante progetto che è esposto qui al campo, il “Centro de artes Paulo Mabuno”. Si tratta della realizzazione di tessuti (sciarpe, borse, tovagliette e capulane cioè parei), di carte fatte a mano e di ceramiche da parte di giovani orfani o socialmente deboli a causa dell’AIDS. I ragazzi, che vivono in zone rurali, sono formati all’esercizio della professione in modo che abbiano un reddito, autonomia e un reinserimento sociale. I prodotti sono venduti in un negozio all’aeroporto e in alberghi di lusso. Una percentuale delle vendite è destinata a un fondo per la realizzazione di formazione e sensibilizzazione sul tema della salute nella comunità.

I tessuti e i disegni sono bellissimi, sono esposti qui al campus, ma non è facile comprarli. Non costano neanche pochissimo, ma sono fatti a mano, ed è questo il loro valore. Nello stand di fronte ci sono orribili magliette importate dalla Cina Popolare e stampate con scritte tipo Mozambique, e vestiti all’africana cuciti dalle donne ma con stoffe sintetiche sempre cinesi.

Dunque, ho dovuto faticare per convincere il responsabile della vendita a vendermi una capulana che mi piaceva, perché era della nuova collezione e non me la voleva vendere. Alla fine me l’ha venduta, e con prezzo abbastanza alto. Ci sono anche bellissime carte, quaderni e tovagliette tessute a mano.
Il progetto è sostenuto dalla fondazione di Graça Machel, vedova del presidente Samora e attuale moglie di Nelson Mandela.

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27 giugno 2009

Il fascino dell’Italia: tradurre Boccaccio in kikuyu

Langui wa Goro riceve i complimenti per la sua originale ed elegante mise da Alphadi il maggiore stilista africano e fondatore del Festival internazionale della moda africana che si tiene ogni anno in Niger

Langui wa Goro riceve i complimenti per la sua originale ed elegante mise da Alphadi il maggiore stilista africano e fondatore del Festival internazionale della moda africana che si tiene ogni anno in Niger

Qui al Campus ho conosciuto una studiosa kenyana che sta traducendo il Decameron in lingua kikuyu. Si chiama Wangui wa Goro, e ha studiato a Firenze letteratura italiana. Gira le università africane e europee insegnando la sua materia: traduzioni nelle lingue africane.

Dice che tradurre Boccaccio in kikuyu è molto difficile, perché è una lingua senza letteratura. Ma lei ci lavora, da 7 anni, ha tradotto circa 70 novelle e intende tradurle tutte e 100, poi pubblicherà il libro a sue spese. Con Wangui abbiamo parlato in italiano, e mi ha raccontato della sua grande passione per la nostra cultura.

Quando incontro intellettuali o giornalisti africani che parlano italiano, mi fa piacere, ma mi sorprende anche. Qui c’è anche Paul Nchoji Nkwi, professore al Centre for Applied Social Science Research and Training e presidente della associazione panafricana degli antropologi, che ha studiato a Perugia, e Jean Marc Matwaki, giovane giornalista di Radio Okapi in Congo, che ha seguito dei corsi all’ambasciata italiana di Kinshasa.

Si sa che la politica di promozione della lingua italiana all’estero, e in particolare in Africa, è debole. I portoghesi hanno gli Istituti Camoes, gli inglesi i British Council, per non parlare dei Centri Culturali Francesi, che hanno avuto tanti fondi e potere in passato che ancora oggi, nonostante i tagli crudeli di Sarkozy, restano importantissimi poli culturali nelle città africane. Adesso, con l’avanzata in Africa della cooperazione spagnola, che è giovane ma molto rampante e con Zapatero ha fatto un investimento enorme, si comincia a parlare anche questa lingua.
Gli istituti Dante Alighieri, invece, sono una tristezza e praticamente inesistente è l’attività di animazione e cooperazione dei centri culturali italiani in Africa.
Così, quando si parla di cultura africana non lo si fa mai in italiano.

Peccato, perché si sente che la nostra lingua ha un fascino enorme, che è considerata qualcosa di antico, legato all’arte e alla bellezza.
E poi, oltre che di tutto il clero cattolico (che non è poco), è la lingua ufficiale della musica classica. Viene studiata in tutti i conservatori del mondo. Non sarebbe male fare qualcosa di più per promuoverla.
Comunque, tutti ci vogliono bene: Italiani? Mamma mia! Amore mio!
Consoliamoci così, in mancanza di meglio…

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25 giugno 2009

Formazione per l’industria culturale: la Escola de Artes Visuais de Maputo

ceramichemondlane
Oggi è il 25 giugno, festa dell’indipendenza del Mozambico. Ieri sera c’è stato un gran concerto in piazza per festeggiare l’anniversario, e stamattina le cerimonie ufficiali del governo. Qui la retorica della resistenza è ancora molto forte, ed è normale: l’indipendenza è stata raggiunta solo nel 1975.

Al Campus di Maputo è stata allestita una mostra degli allievi della Escola de Artes Visuais dedicata ad Eduardo Mondlane, eroe della resistenza contro il dominio coloniale portoghese, “architetto della unità nazionale e Primo presidente del Fronte di Liberazione del Mozambico”. Sono disegni, acquarelli e ceramiche, ripresi dalle foto storiche che circolano.

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25 giugno 2009

Associazioni di stranieri in terra di emigrazione, un caso di studio

Presentazione dell’articolo “Local participation and initiatives of co-development among a Senegalese migrant association in the city of Cesena” pubblicato sul numero 63 di Africa e Mediterraneo a firma di Stefano degli Uberti.

Il logo dell'associazione Yakkar

Il logo dell'associazione Yakkar

A partire dagli anni ’70 si è affermato in Italia un interesse particolare riguardo alle associazioni dei cittadini migranti. Questo interesse ha permesso di individuare un legame non automatico: quello tra il concetto di migrazione e quello di sviluppo. La migrazione avviene dal Sud del mondo al Nord e in questo caso, lo sviluppo dal Nord al Sud. Tutto prende l’avvio dalle associazioni di stranieri in terra di emigrazione. Queste infatti risultano essere attori reali dello sviluppo in quanto realizzano micro progetti rivolti al loro paese d’origine in collaborazione con altri soggetti come istituzioni locali, ONG e altre associazioni.

In più non si tratta soltanto di progetti nei loro paesi d’origine, ma gli stranieri stessi e le loro associazioni diventano anche ideatori e promotori di pratiche di intercultura, educazione e comunicazione nella loro aerea di residenza.

Queste pratiche si rivolgono sia ai membri dell’associazione sia alla popolazione urbana interessata, e hanno l’obiettivo di farsi conoscere, di porsi in opposizione a un approccio comune al tema dell’immigrazione, spesso spiacevole. È stata realizzata una ricerca specifica sull’associazione Yakkar, nata nella zona di Forlì-Cesena da un immigrato di prima generazione dal Senegal, Fallou Diagne.

Questa associazione, nata nel 2001, ha saputo unire senegalesi ed italiani con l’obiettivo di promuovere integrazione in Italia e sviluppo in Senegal, evidenziando una dimensione transnazionale preziosa, dove un progetto per rafforzare una scuola senegalese è affiancato da un insieme di attività sul territorio italiano rivolte a studenti e insegnanti per portarli a riflettere sulle difficoltà dell’immigrazione.
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25 giugno 2009

Berlusconi e le città africane

tavolo-relatori-maputo

Stamattina al Campus di Maputo si è parlato di Migrazione e cultura nel contesto euroafricano.
Moderava Benigna Zamba, direttrice del Dipartimento di Storia dell’Università Eduardo Mondlane del Mozambico. Sono intervenuti: Eugene Campbell, dell’Università di Botswana; Simao Souindoula, vicepresidente del Comitato scientifico internazionale del progetto La ruta de los esclavos dell’UNESCO e assessore del Ministero della cultura dell’Angola; e Christian Kravagna, professore di Studi postcoloniali dell’Accademia di Belle Arti di Vienna.

Hanno parlato del contributo delle rimesse dei migranti africani nella lotta contro la povertà. I migranti hanno preso la decisione di partire assieme alla famiglia, dunque c’è un legame fortissimo tra gli Africani in diaspora e i loro parenti. C’è la fuga dei cervelli, che è un fatto negativo. Ma la diaspora trasferisce conoscenze, modi di vita, costumi e stili.
I politici europei hanno reso difficile per gli Africani venire in Europa, molti sono morti nel tentativo di attraversare il mare. Tutti questi sforzi e investimenti per regolare l’immigrazione, accompagnati da accordi con stati africani, non hanno fermato questa migrazione.
E’ importante lavorare sugli stereotipi attraverso l’arte e la cultura. Kravagna ha mostrato immagini da una mostra interessante fatta in Austria su Angelus Solimanus, schiavo nero alla corte dell’imperatore austriaco.
Alla fine c’era lo spazio agli interventi del pubblico e sono intervenuta.
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25 giugno 2009

Il poeta Kama Kamanda al Campus di Maputo

Kama Kamanda

Kama Kamanda

Come vi avevamo anticipato siamo in questi giorni al Campus Euroafricano di Maputo sulla cooperazione culturale. Lunedì sera siamo stati all’inaugurazione di una mostra sulla Cooperazione spagnola alla Fortaleza.
La Fortaleza è un posto bellissimo per le mostre, e soprattutto per il cocktail, che si fa nel giardino quadrato, circondato da mura basse ma possenti, con l’erba curata, le palme e i fiori illuminati discretamente. La musica, il vino, i salatini, la temperatura ideale: le chiacchiere possono scorrere all’infinito, e il primo degli scopi di questo campus, “generare dinamiche di rete tra i partecipanti, durante e dopo l’evento”, sembra raggiunto.

Ho fatto una lunga chiacchierata con Olivier Barlet, ci siamo raccontati reciprocamente le difficoltà e gli aspetti positivi di dirigere riviste sulla cultura africana (lui dirige Africultures). Ma tu paghi gli articoli? E con il sito come va? Conosci il tale? Cosa fa il talaltro adesso? A un certo punto mi ha mostrato un signore alto quasi due metri, dicendomi “Lui è Kama Kamanda”. “Kama Kamanda il poeta? – ho risposto – Noi abbiamo pubblicato un articolo su di lui nel ’96!”

Dopo ho incontrato Kamanda e gli ho detto “Signor Kama Kamanda, sono di Africa e Mediterraneo e…” Non l’avessi mai detto!
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25 giugno 2009

Africa opens its eyes to its art

La Nouvelle Liberté, sculpture monumentale de Joseph Sumegne à  Douala, Doual'art 1996

La Nouvelle Liberté, sculpture monumentale de Joseph Sumegne à Douala, Doual'art 1996

For our internet readers we publish the article “Africa opens its eyes to its art” as a preview from the last number of The Courier (special 3, June 2009):

After almost two decades characterised by the intense effort to fight the invisibility of African art in the contemporary scene – through big pan African exhibitions, important publications and participation in biennials – now the most appealing trend in African contemporary art is the involvement of the African public together with the participation of local governments, museums and sponsors.

In recent years we observed the birth of some extremely interesting initiatives in several African countries, led by curators and artists firmly convinced that it is necessary to bridge the huge divide between African artists (cultivated, recognized worldwide, and with international relations) and African citizens living in widely different conditions. These initiatives move from the assumption that all people have the right to access the knowledge and input that contemporary art can give them. They have the right to be educated in art interpretation, and to experience its richness and aesthetic pleasure that it can give. They have the right to visit a contemporary art gallery and enjoy it. Africa must open its eyes to its artistic production.

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24 giugno 2009

Le donne migranti nel sistema sanitario italiano

Angèle Etoundi Essamba, Veil in the wind 3, Dak’art 2008 Afrique: miroir?. Photo by Iside Ceroni

Angèle Etoundi Essamba, Veil in the wind 3, Dak’art 2008 Afrique: miroir?. Photo by Iside Ceroni

Presentazione dell’articolo “La salute delle donne migranti: un viaggio tra diversi mondi e modi culturali di cura del corpo” pubblicato sul numero 64 di Africa e Mediterraneo a firma di Tatiana Di Federico, esperta di genere, e Marco Minarelli, Medico pediatra.

Dei 3,4 milioni migranti (circa 4 calcolando gli irregolari) presenti in Italia quasi la metà sono donne e presto probabilmente saranno numericamente maggiori degli uomini. In tale cornice la salute della donna migrante rappresenta un tema di grande importanza. L’articolo, affrontando la questione dal punto di vista dell’antropologia medica, indaga sul confronto fra il sistema sanitario e la complessità culturale del fenomeno migratorio. E’ necessario adeguare la risposta medica tenendo conto delle diverse provenienze delle pazienti, dando particolare attenzione agli aspetti di pregiudizio riferibili soprattutto alla maternità, alla fertilità e al disagio mentale.

Viene riportato il caso di un laboratorio di auto-narrazione sulla cura del corpo tenutosi in Emilia Romagna. Dai racconti delle partecipanti (provenienti da Pakistan, Marocco, Tunisia, Moldavia e Sudan) emerge soprattutto l’importanza centrale della rete amicale-parentale per quel che riguarda la cura e il passaggio della conoscenza delle tecniche di cura, in forte contrasto con il nostro approccio individualizzante alla medicina ospedaliera.

Nelle conclusioni si traccia il percorso che l’attuale legislazione dovrebbe compiere per migliorare le condizioni di cura della donna migrante. In particolare l’accento va posto sulla facilitazione dell’accesso ai servizi e alla risorsa della mediazione linguistico culturale.

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23 giugno 2009

La migrazione e il rapporto con la salute

In cerca di accoglienza, Roma 2006. Foto di Sarah Klingeberg

In cerca di accoglienza, Roma 2006. Foto di Sarah Klingeberg

Presentazione dell’articolo “La salute delle persone in viaggio” pubblicato sul numero 64 di Africa e Mediterraneo a firma di Rabih Chattat, professore associato di Psicologia Clinica presso l’Università di Bologna e responsabile Ricerca e Aggiornamento presso SOKOS, associazione per l’assistenza a emarginati e immigrati a Bologna.

Un viaggio migratorio richiede, paradossalmente, più risorse di quanto l’individuo in realtà possegga. Il migrante si trova generalmente esposto a fattori di stress che hanno un impatto significativo sulla possibile relazione tra la provenienza e lo stato di salute attuale. Il tema della salute delle persone in viaggio può essere analizzato seguendo una prospettiva di tipo trasversale, collocando all’estremo di una retta il luogo fisico di partenza e all’altro estremo lo stato attuale di salute in un dato momento nella nuova realtà.

Lungo questa linea si collocano poi tutti quei fattori che in grado di modulare l’esito della condizione di salute. Sono tre gli ordini di fattori importanti: uno di tipo biologico/genetico (vulnerabilità di determinate popolazione a determinate malattie; selezione della prima generazione di migranti sulla forza fisica) uno di tipo socioculturale (rischio di “esaurimento” a distanza di 2-4 anni dalla partenza, necessità di ricomporre la separazione) e un altro relativo alla condizione socioeconomica (prevalentemente aspetti relativi alla mansione svolta nel paese di destinazione e accesso a reti sociali).

L’articolo prende in esame gli elementi connessi alla prima fase dell’immigrazione (circa i primi tre anni) focalizzandosi sul caso degli immigrati non assistiti dal servizio sanitario nazionale. In particolare l’autore attinge dall’esperienza e dalle ricerche condotte dall’associazione SOKOS per illustrare le problematiche connesse al rapporto salute/migrazione.

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